I droni degli sciiti yemeniti colpiscono il cuore petrolifero dell’Arabia Saudita, dimezzata la produzione di greggio

I sauditi: ci vorranno settimane per tornare alla normalità. Scontro tra Usa e Iran

[16 Settembre 2019]

Due droni degli Houthi sciiti al potere a Sana’a – ma sull’agenzia iraniana Pars Today Davood Abbasisi parla di  «Uno squadrone di droni bombardieri della resistenza yemenita» composto da 10 velivoli –  hanno colpito dall’alto i due impianti petroliferi di Abqaiq e Khurais della  compagnia Saudi Aramco i più grandi dell’Arabia saudita, uno dei quali, in grado di lavorare 7 milioni di barili di greggio al giorno, è il più grande impianto di trattamento del petrolio del mondo». L’Aramco ha detto che la produzione di petrolio del regno è scesa da circa 9,8 milioni di barili al giorno   a 5,7 milioni di barili al giorno. Colpendo il cuore petrolifero del regno wahabita nemico, gli Houthi hanno quasi dimezzato l’estrazione di petrolio saudita, facendo impazzire anche le borse. Intanto il presidente Usa Donald Trump smentisce sé stesso e il suo segretario di Stato Mike Pompeo su un eventuale incontro con il presidente iraniano senza alcuna “precondizione”. Trump dopo aver autorizzato ieri l’uso delle risorse petrolifere strategiche degli Usa ha scritto: «Le fake news stanno dicendo che desidero incontrare l’Iran “senza alcuna condizione”. Questa è una dichiarazione non corretta (Come sempre!)».

Dopo l’attacco dei droni, Pompeo ha accusato  su Twitter l’Iran di aver lanciato  lanciato «Un attacco senza precedenti contro il rifornimento di energia del mondo». Gli iraniani hanno risposti che si tratta di accuse «inaccettabili e senza fondamento». Ma Trump li ha avvertiti: «Il rifornimento petrolifero dell’Arbia Saudita è stato attaccat. Abbiamo ragione di credere di conoscere il colpevole, siamo preparati per agire, dipende dalle verifiche, però stiamo aspettando che ci dicano chi si crede che sia stato la causa di questo attacco, e dopo che avremo concluso procederemo!» La minaccia a Teheran è abbastanza chiara. Il portavoce del ministero degli esteri iraniano, Abbás Mousaví, ha ribattuto che le dichiarazioni di Pompeo e Trump sono «Incomprensibili e senza senso. La politica di esercitare la massima pressione [su Teheran],che gli statunitensi seguono apparentemente, dovuta al loro fallimento, e precipitata fino alla massima menzogna».

Il movimento di resistenza yemenita, Ansarallah ha rivendicato gli attacchi, battezzati ”Seconda Operazione di Equilibrio Dissuasivo”  e l’Iran dice che i droni che hanno volato per 800 Km senza essere intercettati dalla contraerea saudita, «Sono un chiaro esempio di quanto, la loro potenza militare [degli Huthi], si stia rafforzando». Dai filmati subito pubblicati da vari siti sauditi si vede l’impianto di Buqyaq sotto attacco e numerose colonne di fumo che si alzano mentre in sottofondo si sente il rumore delle mitragliatrici anti-aeree che s parano al drone/i.

L’rabia Saudita sta probabilmente leccandosi le ferite e pensando amaramente in che guaio si è cacciata attaccando i ribelli sciiti yemeniti in quella che doveva essere una guerra lampo e che si è trasformata in una pluriennale strage di civili e nella più grave crisi umanitaria del mondo, mentre nello Yemen del sud ormai si combatte tra le stesse fazioni alleate della coalizione arabo/sciita a guida saudita.

Quello che è certo è che i sauditi ammettono che  gli attacchi dei droni ai due impianti Saudi Aramco hanno provocato danni così enormi che serviranno settimane per tornare alla normalità. Una fonte del settore energetico saudita ha rivelato alla Reuters che «Non si può dire esattamente fino a quando continuerà l’arresto della produzione di greggio causato dall’attacco dei droni degli Houthi alle strutture della compagnia petrolifera saudita Aramco; e quando la produzione potrà tornare alla normalità. Ormai le entità dei danni provocati sono talmente enormi che è impossibile ricostruirli in una sola “notte” e ci vorrà almeno qualche settimana».

Il segretario all’energia Usa Rick Perry, ha di tranquillizzare i mercati ricordando che gli Usa e gli altri Paesi importatori useranno le loro riserve strategiche per rimediare alla mancanza di petrolio innescata dalla riduzione della produzione saudita e l’International Energy Agency, che gli iraniani accusano di essere «di fatto amministrata dagli Stati Uniti» ha dichiarato che «L’Iea sta monitorando attentamente la situazione in Arabia Saudita. Siamo in contatto con le autorità saudite nonché con i principali Paesi produttori e consumatori. Per ora, i mercati sono ben forniti con ampie scorte commerciali». ha però ammesso che il prolungamento della crisi, potrebbe far schizzare verso l’alto il prezzo del barile di petrolio.

Abbasisi, in un editoriale su Pars Today evidentemente gradito dai vertici della Repubblica islamica dell’Iran, scrive con malcelata soddisfazione che «Le implicazioni e le conseguenze politiche regionali e mondiali del gesto della resistenza yemenita sono però molteplici. In primo piano, gli Houthi che insieme al resto degli yemeniti si sono ribellati alla dittatura filo-saudita nel loro Paese, erano praticamente incapaci di rispondere in alcun modo alla macchina da guerra saudita a partire dall’inizio dell’aggressione, nel marzo del 2015. Per anni, gli yemeniti sono stati costretti a subire bombardamenti a tappeto che hanno reso in miseria la loro terra, causando la morte di oltre 50 mila persone; in più, l’embargo imposto dai sauditi, ha scatenato un’epidemia di colera in Yemen con oltre un milione di contagiati, riducendo alla fame 15 milioni di persone. Questa situazione ingiusta imposta ad un intero popolo, ignorata dalla comunità internazionale per tutti questi anni, forse perché lo Yemen non ha petrolio e non è una terra ricca, ha spinto la resistenza yemenita a sviluppare tecnologie sempre più progredite». Ma statunitensi, sauditi e israeliani dicono che in realtà quelle tecnologie sono state sviluppate a Teheran.

Quel che è certo che i sauditi non sono riusciti a schiacciare gli sciiti di  Ansarullah e che questi ultimi dopo aver subito praticamente inermi i primi micidiali bombardamenti aerei, hanno iniziato a contrattaccare anche in territorio saudita, colpendo obiettivi prima a 100 – 200 km dal confine e poi arrivando a colpire la capitale saudita Riyadh e gli impianti petroliferi della monarchia assoluta wahabita vicini al Golfo Persico. Su Pars Today Abbasisi scrive  addirittura che gli houti non avrebbero subito perdite nei clamorosi attacchi af Abqaiq e Khurais: «I 10 droni bombardieri degli yemeniti, che hanno volato per 800 km e sono tornati indietro nelle basi dopo aver percorso la stessa distanza, possono ora colpire ancora, e di fatto l’Arabia Saudita si trova indifesa dinanzi alla forza yemenita, sviluppatasi in questi anni». Poi smentisce che Teheran sia dietro il blitz: «Gli Stati Uniti accusano l’Iran di aver fornito lo Yemen di armi, ipotesi abbastanza remota, considerando che in Yemen non si riescono a mandare nemmeno cibo e medicinali, gli yemeniti stessi dicono di avere lavorato gli Scud che avevano acquistato negli anni passati e di essere arrivati ai droni ed ai missili con maggiore gittata. Qualunque sia la fonte delle armi yemenite, il loro zelo per difendere la patria o l’appoggio presunto dell’Iran, il punto è che in questo momento l’Arabia Saudita si trova in una situazione di totale smarrimento; intrappolata nella gabbia che ha costruito con le proprie mani. Il fatto che la produzione petrolifera saudita si sia dimezzata, mette in grandissime difficoltà gli Stati Uniti, che per ottusità hanno anche proibito ai propri alleati l’acquisto del petrolio iraniano. Sicuramente, l’attacco degli yemeniti agli impianti petroliferi sauditi non sarà l’ultimo, anche perché la furia distruttrice di Mohammed bin Salman non sembra aver fine; e cosi, con la mancanza di petrolio, il prezzo salirà, ma soprattutto ci saranno maggiori pressioni sugli Usa per rinunciare al divieto imposto sull’acquisto di petrolio iraniano».

Secondo gli iraniani quel che sta succedendo in Arabia Saudita alla fine si risolverà in un clamoroso fallimento per la politica di “massima pressione”, annunciata da Washington contro l’Iran e Abbasisi è convinto che «Già questa politica, aveva iniziato a dare segni di cedimento con la rimozione di John Bolton, sicuramente il più anti-iraniano del team di Donald Trump. La via d’uscita per tutti, soprattutto per il fronte composto da Arabia Saudita e Stati Uniti, sarebbe la pace. In altre parole, il principe saudita Mohammed bin Salman, alla quale piace giocare alla guerra, comprare armi e fare la voce grossa, dovrebbe rassegnarsi a non bombardare più lo Yemen, e accettare il naturale sviluppo democratico di questo Paese, dove la gente chiede il diritto all’autodeterminazione, senza dover obbedire al dittatore filo-saudita di turno. Insomma, come è avvenuto anche per il Qatar, l’Arabia Saudita deve rassegnarsi al fatto di aver perso il controllo di un altro dei paesi limitrofi, che solitamente erano di fatto un loro vassallo. Ciò permetterebbe ai sauditi di ripristinare la loro produzione petrolifera. Per non parlare della popolazione yemenita, dove c’è veramente una crisi umanitaria, e dove c’è davvero bisogno di pace, per milioni di persone ridotte inutilmente a condizioni disumane. L’Iran, da 4 anni, chiede la fine di questa guerra attraverso il dialogo; i media occidentali continuano a tacciare questa soluzione come filo-iraniana, ma bisognerebbe chiedersi quale altra soluzione è possibile auspicare per una guerra inutile».

Poi Pars Today sferra un attacco diretto alla politica regionale che tenta di isolare l’Iran: «Probabilmente, la preoccupazione saudita, e sullo sfondo quella statunitense, è che il nuovo Yemen, quello formato dai rivoluzionari, come accaduto per Turchia, Iraq, Siria e Libano, diventi un nuovo alleato dell’Iran nella regione. Il punto però è che questi alleati dell’Iran, hanno scelto Teheran perché le autorità iraniane, negli ultimi anni, anche a livello regionale, hanno sempre agito mettendo al primo posto il dialogo, tentando di allentare le tensioni e sviluppare gli scambi economici. E’ chiaro che Usa e Arabia Saudita non potranno impedire la volontà di indipendenza di una nazione, anche decimandone la popolazione, e fin quando riporranno i loro interessi nelle guerre e nella morte della gente, per forza di cosa, non avranno un indice di gradimento tanto alto tra le popolazioni mediorientali».

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  • Attacco con i droni alle raffinerie dell'arabia Saudita (RT)