La Gran Bretagna anticipa al 2035 il divieto di vendere auto a benzina, diesel e ibride

Ma è bufera sul licenziamento della responsabile dell'organizzazione della COP26 Unfccc di Glasgow

[5 Febbraio 2020]

Tra una minaccia e l’atra all’Unione europea sul dopo Brexit, il vulcanico premier conservatore britannico Boris Johnson ha annunciato che il divieto di vendere nuove auto a benzina, diesel o ibride nel Regno Unito sarà anticipato dal 2040 al 2035 al più tardi. Una svolta che arriva dopo che molti esperti avevano detto che, se il Regno Unito vuole davvero raggiungere l’obiettivo emissioni net-zero entro il 2050. il 2040 sarebbe troppo tardi perché le vecchie auto inquinanti sarebbero rimaste sulle strade fino al 2050.

Johnson ha presentato le nuove misure durante un evento di lancio – al quale ha partecipato anche il presidente del Cosignio italiano Giuseppe Conte –  della 26esima Conferenza delle parti dell’Unfccc che si terrà a Glasgow, in Scozia, a novembre e ha sottolineato che «Il 2020 sarà un anno decisivo per l’azione climatica per il pianeta». Accanto a lui c’era Sir David Attenborough . noto per le sue simpatie laburiste – che ha detto di non vedere l’ora che ci sia la COP26 e ha definito «incoraggiante che il governo del Regno Unito stia lanciando lo “year of climate action”. Più a lungo lasciamo perdere … peggio andrà a finire. Quindi il momento è ora. Sta a noi organizzare le nazioni del mondo per fare qualcosa al riguardo».

Johnson ha affermato che, se sarà possibile, «Il divieto di vendere nuove auto a benzina e diesel potrebbe arrivare anche prima del 2035« e c ha fatto notare che ora sono inclusi anche i veicoli ibridi, cosa che non faceva la proposta originaria del 2017. Dopo l’entrata in vigore del divieto in Gran Bretagna si potranno acquistare solo auto e furgoni elettrici o a idrogeno. La data del 2035 è comunque meno ambiziosa di quella che si è dato il governo autonomo – e indipendentista e pro-Europa – della Scozia che si è già impegnato a eliminare gradualmente le auto a combustibili fossili entro il 2032 e ha avviato un ambizioso ampliamento della rete di ricarica per le auto elettriche.

Johnson ha sottolineato che l’impegno net-zero per il 2050 si è reso necessario perché «Le emissioni storiche del Regno Unito significano che abbiamo una responsabilità nei confronti del nostro pianeta per guidarlo verso quella direzione».

Il problema è che l’annuncio arriva a pochi giorni dal licenziamento – il 31 gennaio – di Claire O’Neill, la ex ministro conservatore dell’energia (2017 – 2019) che poi Johnson aveva nominato presidente della COP26 solo nel settembre 2019, incaricandola di preparare il vertice Onu sul clima a Glasgow. La rabbiosa reazione al licenziamento della O’Neill – che quanto a stranezze e carattere focoso non scherza – ha rovinato la festa al premier conservatore. Infatti, in una lettera aperta a Johnson la ex ministro Tory lo ha accusato di non aver mai preso sul serio il cambiamento climatico e di aver «dimostrato un’enorme mancanza di leadership e impegno» riguardo alla COP26 di Glasgow, Secondo la O’Neill il premier conservatore avrebbe più volte ammesso di non capire di cosa si tratta e che sull’emergenza climatica «Il Regno Unito sta giocando ai livelli dell’Oxford United quando avremmo davvero bisogno di essere Liverpool».

Dopo essere stata messa alla porta dal principale consigliere di Johnson, Dominic Cummings, la O’Neill dice che il Regno Unito «E’ miglia fuori strada» e che le promesse di azione sul clima «Non sono prossime a essere rispettate».

Intervistata da BBC Radio 4 ha rincarato la dose: «A livello globale, siamo a miglia di distanza da dove dovremmo essere (…) e c’è stata una grande mancanza di leadership e impegno« da parte dell’attuale governo. Poi ha aggiunto di essere stata lasciata da sola e che lo capisse davvero”, anche se altri attorno a lui lo hanno fatto. O’Neill ha affermato che il Cabinet sub-committee on the climate conference non si mai incontrato da quando è stato nominato nell’ottobre 2019.

Inoltre ha rivelato che l’aver scelto Glasgow come città ospitante non solo ha fatto aumentare continuamente i costi dell’organizzazione ma ha anche subito il clima di scontro tra il governo conservatore britannico e quello indipendentista di sinistra scozzese. E sul premier non ha usato mezzi termini: «Il mio consiglio a chiunque a cui Boris abbia promesso qualcosa – che si tratti di elettori, leader mondiali, ministri, impiegati o addirittura di familiari – è di farselo mettere per iscritto, chiedere a un avvocato di guardalo e assicurarsi che i soldi siano in banca».

Nella sua lettera a Johnson, la O’Neill scrive che la animosità personale del premier britannico nei confronti della premier scozzese, Nicola Sturgeon, sta mettendo in pericolo il successo dalla COP26 e che Johnson starebbe prendendo in considerazione la possibilità di trasferire il summit climatico in una località inglese a causa del gonfiarsi dei costi.

Il portavoce del primo ministro ha detto che Downing Street non ha nulla da commentare, ma ha ringraziato la O’Neill per il suo lavoro fatto per la COP26. Johnson non ha voluto rispondere ai giornalisti sulle accuse della O’Neill e ha invece sottolineato che «Ospitare la COP26 è un’importante opportunità per il Regno Unito e per le nazioni di tutto il mondo per intensificare la lotta ai cambiamenti climatici. Mentre quest’anno definiamo i nostri piani per raggiungere il nostro ambizioso obiettivo net-zero 2050, così esorteremo gli altri a unirsi a noi impegnandosi per le emissioni net-zero. Non ci può essere responsabilità maggiore che quella di proteggere il nostro pianeta e nessuna missione che una Gran Bretagna globale sia più orgogliosa di servire».

Il premier britannico ha ricordato che «Un periodo catastrofico di dipendenza globale dagli idrocarburi ha portato il pianeta ad essere avvolto in un tea cosy di anidride carbonica».

E la deputata del Green Party Caroline Lucas ha subito ribattuto su Twitter:«Le emissioni di carbonio non avvolgono il pianeta come un tè accogliente. Sono dietro gli incendi in Australia, i record della temperatura in aumento e le vite distrutte di coloro che ne sono meeno responsabili. Il Primo Ministro deve capirlo e agire».

Mike Childs, responsabile politico di Friends of the Earth Uk ha commentato: «Il governo fa bene ad accelerare l’eliminazione graduale delle auto a benzina e diesel per ridurre l’inquinamento atmosferico e affrontare l’emergenza climatica, ma il divieto dovrebbe iniziare nel 2030, non nel 2035. Il nuovo obiettivo del 2035 lascerà comunque il Regno Unito nella corsia lenta della rivoluzione delle auto elettriche e nel frattempo permetterà a più gas serra di diffondersi nell’atmosfera. Se il governo del Regno Unito vuole mostrare una vera leadership in vista del vertice sul clima di quest’anno, deve anche tornare indietro urgentemente dai suoi piani per più strade e autostrade devastanti per il clima e staccare la spina al suo sostegno per i nuovi progetti di gas, carbone e petrolio».

Il presidente dell’Automobile Association (AA), Edmund King, ha detto che «Gli automobilisti sostengono le misure per ripulire la qualità dell’aria e ridurre le emissioni di CO2, ma questi obiettivi allungati sono incredibilmente difficili da rispettare» e Mike Hawes, chief executive della Society of motor manufacturers and traders ha accusato il governo di «spostare i pali della porta. Con l’attuale domanda di questa tecnologia ancora costosa, che è ancora solo una frazione delle vendite, è chiaro che l’accelerazione di un’ambizione già molto impegnativa richiederà più investimenti del settore. I piani del governo devono salvaguardare l’industria e l’occupazione, oltre a garantire che le vendite attuali di veicoli a basse emissioni non vengano compromesse».

Johnson è stato difeso dal ministro del governo Michael Gove che ha respinto le accuse della sua «Cara amica» O’Neill e ha detto a BBC Radio 5 Live che «Il governo si sta ponendo obiettivi ambiziosi e sta spingendo altri Paesi a seguire la sua leadership. Conosco il primo ministro da oltre 30 anni e la prima volta che l’ho incontrato mi ha detto che era un Tory verde».

Johnson vuole utilizzare il palcoscenico della COP 26  – organizzata con la partnership dell’Italia – per mostrare i progressi del Regno Unito nel campo delle energie rinnovabili, delle tecnologie pulite e dei veicoli elettrici e la potenza della City di Londra come centro finanziario globale, dove investire i miliardi di dollari, sterline, yuan ed euro necessari per passare a un’economia low-carbon. Ma alla COP26 dovrà vedersela con il suo amico Donald Trump – se verrà riconfermato – ormai uscito dall’Accordo di Parigi, con una Cina sempre più riottosa e con Paesi come Brasile e Arabia Saudita che hanno fatto fallire la COP25 di Madrid.

Inoltre Johnson ha anche commesso un grave errore ed è stato accusato di essere un ipocrita al recente vertice tra Regno Unito e Africa, dove si è impegnato a bloccare gli investimenti britannici nel carbone in Africa, peccato che dal 2002 il Regno Unito non più fatto investimenti di questo tipo nel continente africano, mentre allo stesso vertice Johnson ha firmato accordi per quasi 2 miliardi di sterline di investimenti nel petrolio e nel gas africani. Forse la O’Neill non ha tutti i torti ad essere così arrabbiata.