L’Afghanistan dopo la strage degli Hazara a Kabul

Perché gli Usa hanno bisogno dei Talebani per sconfiggere lo Stato Islamico/Daesh

[27 Luglio 2016]

L’attentato che il 23 luglio ha ucciso a Kabul 81 civili e ne ha feriti più di 230 è stato compiuto da tre Kamikaze dello Stato Islamico Daesh e il bilancio sarebbe potuto essere ancora più pesante se anche il terzo terrorista fosse riuscito ad attivare l’esplosivo che nascondevano sotto il burqa. Mentre in Europa guardiamo con crescente orrore agli attacchi di giovani esaltati che credono di essere martiri dell’Islam per aver brutalmente sgozzato un povero vecchio prete di campagna, dalla Siria all’Iraq, arrivando fino all’Afghanistan si uccide nel nome della purezza dell’Islam sunnita facendo strage di centinaia di musulmani sciiti.

Infatti, l’ultima strage nel quartiere di Dehmazang nella capitale afghana è avvenuta durante una pacifica manifestazione della minoranza hazara che chiedeva semplicemente di non essere esclusa dal governo di Kabul dai progetti per portare l’energia elettrica nelle comunità che ne sono ancora prive.

L’attacco contro gli Hazara è stato mirato e i numerosi container dislocati dalle forze di sicurezza per sbarrare l’accesso al centro di Kabul hanno reso difficilissimo il lavoro dei soccorritori, al punto che numerosi cadaveri sono rimasti sull’asfalto ancora ore dopo l’esplosione. Al corteo partecipavano migliaia di persone e l’attentato è avvenuto mentre i manifestanti si stavano dirigendo verso il palazzo presidenziale, quindi proprio mente erano in atto consistenti misure di sicurezza. Dopo gli attentati suicidi il ministero degli interni dell’Afghanistan ha proibito qualsiasi raduno pubblico per 10 giorni. L’Afghanistan è un Paese a maggioranza sunnita e gli sciiti costituiscono il 9% della popolazione. Negli ultimi due anni la comunità hazara è stata vittima di diversi sequestri di massa e di omicidi settari da parte di talebani e altri gruppi militanti sunniti. Gli Hazara inoltre sono “scomodi” perchè hanno il difetto di vivere in aree con grandi risorse minerarie e da dove potrebbero passare le rotte del petrolio e del gas dell’Asia centrale, posti troppo delicati per lasciali in mano a sciiti alleati dell’Iran.

Il Daesh ha rivendicato il massacro di Kabul del 23 luglio definendolo un atto di martirio contro gli sciiti  Ma parlando con la Reuters, Omar Khorasani, un comandante Daesh, ha detto che l’attentato è stato una rappresaglia per il sostegno dato al presidente  siriano Bashir al-Assad – alauita-sciita – da alcune comunità Hazara, che sono passate dall’Iran per andare a combattere a fianco del regime e contro il Daesh  in Siria. Khorasani  ha aggiunto: «A meno che non la smettano di andare in Siria e non la smettano di essere schiavi dell’Iran, tali attacchi continueranno sicuramente. Li possiamo colpire di nuovo»

L’attentato contro questa minoranza sciita che parla un dialetto persiano e che è stata perseguitata anche dai talebani, ha sollevato inquietanti interrogativi sulla presenza e la forza delle milizie nere del Daesh in Afghanistan ed è sembrata un’aperta sfida alle Afghan national forces (Anf) e gli Usa e i loro alleati si trovano di fronte ad una nuova minaccia che devono eliminare il più rapidamente possibile.

Ma su The Canary Sophia Akram scrive che «Uno sguardo più attento mostra che questo non è proprio il  Daesh come lo abbiamo visto prima. La cosa preoccupante è che la loro debolezza può dipendere dalla forza di un altro nemico: i talebani».

In Afghanistan la presenza del Daesh è in crescita. All’inizio le bande jihadiste nere sono comparse al confine col Pakistan, più o meno 5 anni fa. L’esercito pakistano aveva lanciato un’offensiva contro le aree tribali (Orakzai e Khyber Agencies) e i jihadisti pakistani hanno iniziato a infiltrarsi in Afghanistan portandosi dietro le loro famiglie, poi – sentendosi traditi dai servizi segreti pakistani e dai talebani – hanno giurato fedeltà a Daesh. Questi primi gruppi del Daesh si sono trovati in una posizione ottimale nella provincia del  Nangahar  ed hanno fatto dell’area montagnosa e inespugnabile di Achin la loro base.

Il Daesh in Afghanistan è quindi in gran parte costituito da jihadisti pachistani provenienti da oltreconfine –  Tehrik-i-Taliban, Lakshar e Taiba – ma riceve anche il sostegno di altri combattenti salafiti, così come di disertori talebani e di altri gruppi  dissidenti come il Jundullah.

Quello che attrae chi si unisce ai tagliagole del  Daesh sembra essere il rifiuto delle rivalità tribali e delle differenze etniche (tra sunniti), mentre alcuni vogliono entrare a far parte della jihad globale. Attrattiva del Daeh è aumentata dopo la morte del Mullah Omar, il precedente indiscusso capo dei Talebani morto nel 2013, anche se la sua scomparsa è stata resa nota solo nel 2015. Da allora i Talebani si sono disuniti ed hanno cominciato a perdere alcuni alleati.

Attualmente lo Stato Islamico/Daesh sarebbe presente in 5 province afghane: Nagahar, Kunduz, Farah, Helmand e Logar, mentre ci sarebbero sue cellule armate in alcune zone centrali e settentrionali del paese.

Ma in tutte le province afghane sono ancora i Talebani ad essere la più grossa forza di opposizione armata, quando non di governo vero e proprio del territorio, e non tollerano la concorrenza del Daesh.

Anche le forze armate afghane hanno effettuato offensive contro Daesh, in particolare nella loro roccaforte orientale, mentre gli Usa hanno attaccato i comandanti del Daeh con i droni. Fino ad ora i jihadisti neri hanno occupato brevemente alcune località, ma poi si sono sempre ritirati.

Però l’attuale situazione nel nord-est è un esempio di quello che potrebbe succedere in Afghanistan: al tempo del governo dei Talebani, dal 1996 al 2001 il Movimento Islamico dell’Uzbekistan aveva promesso loro fedeltà, ma dopo la scomparsa del Mullah Omar ha giurato fedeltà a Daesh, lo stesso ha fatto un altro gruppo di tagliagole: il Jundullah perché gli uzbeki non venivano trattati bene dai talebani, in gran parte pashtun.

La Akram spiega che «Questo ha portato a controlli paralleli di territorio. Ma alla fine, grazie alla forza dei talebani, vennero cacciati e si ritirarono nella roccaforte orientale del “califfato” afghano del Daesh».

Quindi i Talebani si trovano a svolgere un improbabile ruolo utile: disprezzano il Daesh quanto i loro nemici americani  e il governo “fantoccio” di Kabul e gli “apostati” sciiti Hazara e sono gli unici che sembrano in grado di tenere sotto controllo la rivolta del Daesh.

Gli Usa, l’Italia e gli altri occidentali che avevano promesso di andarsene dall’Afghanistan hanno preso atto del fallimento della guerra che hanno scatenato per “liberare” il Paese dai talebani e sono costretti a rimanere a difendere Kabul e i centri abitati ancira sotto controllo del governo centrale.

Il portavoce militare Usa, il generale Charles Cleveland, ha detto che la strage di Kabul non dimostra la forza del Daeh, ma è una risposta alle sue crescenti difficoltà per gli attacchi dell’ANF e statunitensi contro le milizie dello Stato Islamico e ha ricordato che uno dei principali leader del Daesh era stato ucciso il 22 lugluio, il giorno prima della strage.

Ma il non detto e il non ammesso è che se i talebani continuano a scovare e eliminare i jihadisti del Daesh nell’est del Paese, questo rende più facile l’offensiva delle forze appoggiate dagli Usa. «Ma – conclude The Canary – complica la dinamica della  sicurezza in un Paese che sta lottando per vedere la pace per decenni». Una pace che probabilmente arriverà con un accordo che riporterà al potere quegli stessi Talebani che si volevano cacciare con una guerra scatenata dagli Usa su falsi presupposti e nella quale l’Italia si è buttata a capofitto.