Referendum del 17 Aprile, i No Triv: «Renzi prende in giro gli italiani»

Ecco perché il referendum riguarda anche le nuove trivellazioni

[21 Marzo 2016]

Dopo il pronunciamento della maggioranza del PD per l’astensione al Referendum contro le trivelle del 17 Aprile, lo scontro si inasprisce ed è intervenuto a reti unificate il presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi che ha affermato: «Non fatevi prendere in giro: non è un referendum sulle nuove trivelle, che hanno già la linea più dura d’Europa. E’ un referendum per bloccare impianti che funzionano. Io lo considero uno spreco. Ciascuno quando voterà sì o no pensi se sia giusto che 10mila persone perdano il posto».

Il Coordidinamento nazionale No-Triv risponde punto per punto alle dichiarazioni di Renzi e sottolineando che «Il referendum serve anche ad evitare nuove trivelle, l’unico spreco è quello del governo, che ha evitato l’election day (esponendo gli italiani a sanzioni), Inoltre, con una vittoria dei sì, non andrà perso alcun posto di lavoro».

Ecco, punto per punto, come i No-Triv smentiscono le dichiarazioni del nostro premier: v

Nuove trivellazioni – Votare Sì al Referendum del 17 aprile servirà, invece, anche per evitare nuove perforazioni in mare a meno di 12 miglia dalla costa. Quella che Renzi definisce “la linea più dura d’Europa”, che prolunga all’infinito la durata delle concessioni, concede alle società del petrolio e del gas tutto il tempo necessario per poter scavare nuovi pozzi all’interno delle concessioni esistenti. Inoltre, tra i titoli esistenti entro le 12 miglia si registrano 12 permessi di ricerca: con la vittoria dei NO, il Governo si sentirebbe “autorizzato” a cambiare nuovamente le regole del gioco, lasciando campo libero alle compagnie che potrebbero far valere i permessi. Quindi non è vero ciò che il Governo sostiene da tempo. E cioè che entro le 12 miglia non sono più possibili nuove perforazioni.

Sprechi – Il vero spreco è quello del Governo che, senza dare ascolto perfino alla seconda carica dello Stato, il Presidente del Senato, ha negato l’election day, bruciando così 340 milioni di euro. È uno spreco anche esporre i contribuenti italiani al rischio di una pesante sanzione da parte dell’Unione Europea, che potrebbe aprire una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia.

Posti di lavoro – La vittoria dei Sì non bloccherà subito gli impianti, che finiranno di funzionare nella data già prevista nei progetti delle società e nelle “carte” del Ministero. Queste attività finiranno in ogni caso mediamente entro 5/6 anni. Qualcuna un po’ prima e numerose oltre i prossimi 10 anni: tutto il tempo necessario per provvedere seriamente al futuro dei lavoratori. La verità scomoda è che il settore del gas e del petrolio è provato di suo da una crisi dovuta al calo della domanda mondiale e da un eccesso di offerta.

Enzo Di Salvatore, costituzionalista, ed Enrico Gagliano, esperto in politiche energetiche del Coordinamento Nazionale No Triv, concludono: «L’Eni mette in discussione la chimica e la raffinazione in Italia, ed il suo socio più importante, lo Stato, lascia fare. E’ lasciando fare che si dimostra preoccupazione per migliaia di persone che perdono il posto di lavoro? Come mai, invece, Renzi e il Governo si preoccupano del lavoro e dei lavoratori solo in occasione del Referendum? Sarà che stanno montando un caso per nascondere responsabilità che sono principalmente dell’Eni e del Governo? Non siamo noi a prendere in giro gli italiani».