Svolta del Partito comunista giapponese: no alle centrali nucleari e rottura con la Cina

Il Jcp: dalla Cina «sciovinismo ed egemonismo da grande potenza. Quello cinese non merita di chiamarsi Partito comunista»

[9 Marzo 2020]

Doppia clamorosa svolta per il Partito comunista giapponese (Nihon Kyōsan-tō – Japanese Communist Party JCP) –  400.000 iscritti e circa l il 10% dei voti – il recente congresso che ha rivisto la piattaforma politica approvata nel 2004 ha ribadito la scelta pacifista, socialista e ambientalista del partito portandola fino alle naturali conseguenze: no alle centrali nucleari. Un no che è arrivato a pochi giorni dal nono anniversario della tragedia nucleare di Fukushima Daiichi e che rompe definitivamente con la tradizione filonuclearista dei comunisti giapponesi, che aveva resistito anche a quel disastro.

Ma la svolta più radicale per il Jcp – che si schierò con il Partito comunista italiano all’epoca della berlingueriana “fine della spinta propulsiva dell’Unione Sovietica” – è stata la clamorosa rottura con il suo alleato più forte, il Partito comunista cinese con il quale aveva un legame solido consolidatosi proprio in funzione antisovietica dopo che l’Urss occupò le Isole Curili.

Infatti, la revisione della piattaforma politica fondamentale approvata a gennaio dai comunisti giapponesi critica duramente l’attuale leadership cinese accusandola di «sciovinismo ed egemonismo da grande potenza» e il capo del Jcp, Kazuo Shii, condannando l’espansionismo di Pechino nel Mar della Cina Orientale e Meridionale, ha detto che «L’errore della leadership cinese è estremamente grave. Questo modo di agire non merita il nome di Partito Comunista».

Alla convention del partito che si è tenuta ad Atami, nella prefettura di Shizuoka, il Jcp ha anche approvato all’unanimità una risoluzione che lo impegna a cooperare con altri Partiti dell’opposizione per preparare l’alternativa di governo e il capo della segreteria del Partito, Akira Koike, ha chiesto a tutti i militanti di darsi da fare per far cadere il governo di centro- destra del primo ministro Shinzo Abe, «Il peggiore del dopoguerra» e a collaborare con cittadini e Partiti dell’opposizione.

Per la prima volta, il programma del Jcp si impegna non solo a creare un Giappone libero dalle centrali nucleari (e dalle armi nucleari statunitensi) ma anche a realizzare una società basata sull’uguaglianza di genere, una rivoluzione anche per il Partito che, in proporzione, elegge da sempre più donne nel Parlamento giapponese.

Il Jcp ha anche confermato il suo obiettivo di abrogare trattato di sicurezza del Giappone con gli Stati Uniti e di sciogliere le forze di autodifesa che invece il premier liberaldemocratico Abe vorrebbe trasformare in un esercito vero e proprio, andando contro alla Costituzione pacifista del Giappone.