Dopo il golpe militare il Sudan non vuole una nuova dittatura

La rivolta non si ferma: è un auto-golpe degli stessi che sostenevano la dittatura trentennale

[12 Aprile 2019]

Il presidente sudanese Omar Hasan Ahmad al-Bashir, arrivato al potere con un golpe militare nel 1989, dopo 230 anni di un regime islamo-fascista tenuto in piedi con guerre etniche, traffici di petrolio, corruzione ed elezioni truccate, è stato defenestrato da un altro golpe militare è arrestato dall’esercito che era la colonna portante del suo regime che ha subito istituito un Consiglio di transizione e dichiarato il coprifuoco notturno per rimandare nelle loro case i manifestanti che solo negli ultimi giorni aveva cominciato ad appoggiare, dopo averne massacrati e imprigionati a decine durante i 4 mesi della “rivolta del Pane” iniziata il 19 dicembre 2018.

Ieri mattina finalmente l’esercito si è deciso a liberarsi dell’anziano e scomodo dittatore accusato di crimini di guerra e contro l’umanità dalla Corte di giustizia internazionale. Ieri a metà mattinata è apparso sugli schermi della TV nazionale il vice-presidente Awad Ibn Awf, e ha annunciato e ha detto: «Annuncio. In quanto ministro della difesa, la caduta del regime e la messa in detenzione in un luogo sicuro del suo capo».  Più tardi Awf è ricomparso in televisione è ha dichiarato: «Annucio anche la formazione di un consiglio militare di transizione per i due anni a venire. Anche la Costituzione del 2005 e sospesa e lo stato di emergenza è istaurato per tre mesi, il coprifuoco per un mese, tra le ore 22,00 e le 4,00,. Inoltre, an nuncio la chiusura dello spazio aereo per 24 ore così come quella di tutti i punti di accesso in Sudan, fino a nuovo ordine». E’ stato anche decretato un cessate il fuoco in tutto il Pase, in particolare nel Darfur e alla frontiera occidentale col Ciad.

Tra la folla di manifestanti di Khartoum e nel resto del Paese la gente si è subito divisa tra la gioia per la caduta del dittatore e il sospetto che il golpe sia in realtà il tentativo – modello egiziano – di mantenere al potere la cricca di militari cleptomani e fascisti che ha portato al potere al Bashir e lo ha sostenuto.

La Sudanese Professionals Association (SPA), che insieme ai giovani e alle donne è stata la spina dorsale del movimento rivoluzionario “Al intifada” ha subito avvertito i golpisti che «I leader delle forze armate devono restituire il potere alla popolazione. Non accetteranno altra autorità che quella civile» e l’allegria per la caduta di al Bashir ha lasciato spazio a una nuova collera verso i suoi complici che lo hanno defenestrato.

Infatti, il golpe è stato solo l’ultimo atto di un tentativo del regime islamista-militare di cambiare faccia: l’eterno presidenze sudanese era già stato fatto sparire da tempo di circolazione e i militari lo tenevano di fatto agli arresti domiciliari. Ora tutti i punti strategici della capitale sudanese sono controllati da carri armati, autoblindo e pattuglie armate, in particolare i ponti sul Nilo- e, dopo le scene di fraternizzazione tra manifestanti e soldati, ieri, prima dell’annuncio del Golpe, a Khartoum si sono sentiti scambi di colpi di armi da fuoco. La SPA, la confederazione sindacale che ha lanciato l’intifada civile sudanese ha chiesto ai manifestanti di fare scorta d’acqua e di restare pacifici.

Nella giornata di ieri i militari hanno fatto irruzione nella sede del Movimento Islamico, l’ala dura del National Congress Party (NCP) al potere che nei giorni scorsi aveva convocato una contro-manifestazione a favore di al Bashir che non si è mai tenuta. Nello stesso tempo i (famigerati) servizi di sicurezza hanno circondato le case dei parenti dell’ormai ex presidente e il governatore di Khartoum, Hassan Ismaïl, parente do al Bashir è stato catturato dai manifestanti mentre cercava di fuggire.

Ieri l’agenzia ufficiale Suna ha annunciato la liberazione di tutti i prigionieri politici detenuti dai servizi segreti, come il leader dei giovani Naji al-Assam che è subito tornato in piazza tra i manifestanti per chiedere una transizione democratica.

Al Intifada ha condannato il golpe e ha chiesto ai manifestanti di scendere in strada «fino alla realizzazione delle legittime rivendicazioni del popolo» e la gente scandiva slogan come «IbnAwf non ci rappresenta» o «No alle figure del vecchio regime» subito ripresi dai social network.

Qualche minuto prima dell’ufficializzazione del golpe, il Partito Al Umma aveva pubblicato sulla sua pagina Facebook un comunicato nel quale chiedeva al popolo di rifiutare che il potere venisse assunto da qualsiasi personalità emanazione del regime caduto. «Vi chiediamo di continuare a manifestare finché non vengano instaurar te le nostre rivendicazioni di libertà, di transizione democratica e di governo civile».

In piazza lo slogan più ripetuto è diventato subito «No ai Kozz Kozz» (i sostenitori di al Bashir, presto diventato «Non si cambia un Kozz con un Kozz» e «Sudan bela Kezan» (Sudan senza tiranno) e nella capitale ci sono stati nuovamente scontri tra forze dell’ordine e manifestanti che vogliono continuare la rivolta e non intendono rispettare il coprifuoco militare.

Omar al-Bashir è caduto per la rivolta del pane che ha le sue radici nella secessione petrolifera del Sud Sudan, nelle costose e sanguinose guerre interne contro le minoranze etniche in Darfur e Kordofan, nella svendita delle risorse a cinesi, occidentali e monarchie del Golfo e nella partecipazione – palese o mascherata – a ogni conflitto regionale, compresa la guerra genocida in corso nello Yemen. Una sfilza di catastrofi nella quale i militari golpisti hanno sempre svolto un ruolo di primo piano-

Il presidente della Commissione dell’’Unione Africana (UA), Moussa Faki Mahamat ha condannato il golpe: «La presa del potere da parte dell’esercito non è la risposta appropriata alle sfide con le quali si confronta il Sudan e alle aspirazioni del suo popolo. E’ per questo che il Consiglio per la pace e la sicurezza si riunirà rapidamente per esaminare la situazione e prendere delle decisioni appropriate».

Tornando in Sudan, secondo l’Alleanza per la Libertà e il Cambiamento si è trattato di un auto-golpe militare: «Sono ancora le stesse facce (…) contro le quali il popolo si è sollevato« e ha chiesto ai manifestanti di continuare ad assediare il quartier generale dell’esercito e  a protestare in tutto il Paese.

Esultano gli oppositori africani costretti all’esilio: per Boubacar Mossi, del partito Moden Lumana Fa del Niger, «Tutte le volte che si vuole regnare con la forza, l’ingiustizia e a danno degli altri, lo si può fare solo per un certo tempo. Solo il potere divino è eterno. Non si può regnare in eterno nella dittatura. Immaginate una grande corrente d’acqua che viene bloccata da un muro. SE la corrente continua, il muro finirà forzatamente per crollare». Ma in Sudan crollato il muro di al Bashir il popolo si è trovato davanti i m ilitari che lo avevano costruito e il rischio di una soluzione egiziana è altissimo, tanto che il presidente dell’Egitto – il golpista ʿAbd al-Fattāḥ al-Sīssi si è subito detto «Fiducioso nella capacità del popolo e dell’esercito sudanese e un altro personaggio che ha una singolare concezione della democrazia, il presidente islamista turco Recep Tayyip Erdogan  ha espresso la speranza che il Sudan possa aver «un processo democratico normale».

Dopo la destituzione di al Bashir, gli Usa e 5 Paesi Ue (Germania, Francia, Regno Unito, Belgio e Polonia) hanno chiesto una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu che dovrebbe tenersi oggi, intanto il segretario generale dell’Onu, ha chiesto «Una transizione in Sudan che rispetti il desiderio di democrazia dei sudanese» e ha fatto appello a tutti perché mantengano la calma.

Il politologo senegalese Babacar Justin Ndiaye è meravigliato della rapidità con la quale è caduta la dittatura di al Bashir: «Credevo che il regime fosse molto più robusto. Si sentivano aprire delle crepe da un certo tempo. Delle divisioni erano già state osservate, soprattutto tra l’esercito e i servizi di intelligence, ma un crollo così brutale non era davvero prevedibile».

Il segretario generale di Amnesty International, Kumi Naidoo, conclude: «Le autorità sudanesi dovrebbero adesso rimettere Omar al Bashir alla Corte penale internazionale perché le vittime dei suoi indicibili crimini innominabili possano avere giustizia. Le autorità militari sudanesi devono vigilare affinché le leggi di emergenza non danneggino i diritti delle persone. Chiedo alle istanze di transizione di prendere ogni misura per facilitare un trasferimento pacifico del potere in Sudan».