Guerra e fame: i dati allarmati di un legame indissolubile

La fame è sempre più utilizzata come arma di guerra. I Casi di Yemen, Lago Ciad e Myanmar

[15 Ottobre 2018]

Presentando il  rapporto di Azione contro la Fame. il direttore generale dell’ONG, Simone Garroni, ha sottolineato che «La guerra crea fame e la fame scatena conflitti; i dati allarmanti del nostro rapporto confermano un legame strettissimo e devastante tra guerra e fame. Se i governi e le istituzioni sovranazionali non riusciranno a ridurre i conflitti e a garantire il rispetto dei principi stabiliti dal diritto internazionale umanitario vedremo crescere ulteriormente il numero di persone che soffrono la fame, vanificando i progressi faticosamente conquistati in questi ultimi 15 anni. L’esperienza di Azione contro la Fame in circa 50 Paesi del mondo ha fornito numerose prove del rapporto bilaterale tra guerra e fame: da una parte le guerre distruggono mercati e mezzi di sostentamento e producono spostamenti massicci che innescano un elevato rischio di insicurezza alimentare; dall’altra, l’insicurezza alimentare e la competizione per le risorse naturali o il cibo è all’origine di gran parte dei conflitti attivi oggi nel mondo».

Il rapporto di Azione contro la Fame fornisce  esempi e cifre del legame tra guerra e fame: «1 Paese su 4 nel mondo ha un conflitto in corso. 6 persone su 10 che soffrono la fame vivono in un Paese in conflitto. 122 dei 151 milioni di bambini colpiti da malnutrizione cronica vivono in un Paese in conflitto. In 24 Paesi su 46 con conflitti attivi, la prevalenza di malnutrizione acuta è superiore al 30%. Il 77% dei conflitti ha all’origine l’insicurezza alimentare della popolazione. Nel 2017 è stato superato il record di sfollati dalla seconda guerra mondiale, con 66 milioni di persone. Più della metà sono sfollati a causa della violenza, una cifra che si è raddoppiata tra il 2007 e il 2015».

Il rapporto analizza 13 casi di aree e Paesi in conflitto, e tra questi i più preoccupanti sono Yemen, regione del Lago Ciad e Myanmar.

Azione contro la Fame denuncia che «In Yemen, dove la guerra civile dal 2014 fino a oggi ha causato oltre 16.000 vittime, si stima che 22 milioni di persone (due terzi del Paese) dipendano dagli aiuti umanitari, 17,8 milioni soffrano di insicurezza alimentare, e oltre 8 milioni di persone – di cui la metà bambini – sono attualmente sull’orlo della carestia. Gli sfollati interni ammontano a 3 milioni e oltre 450.000 sono i bambini severamente malnutriti. In questo Paese, dove Azione contro la Fame lavora dal 2012 e nel 2017 ha assistito 650.000 persone con programmi di supporto nutrizionale, sicurezza alimentare e accesso all’acqua, accedere alle vittime è difficilissimo e non vengono rispettati i corridoi umanitari»«.

Per quanto riguarda l’area del Lago Ciad condivisa da Niger, Ciad, Nigeria e Camerun «Dal 2009 il gruppo Boko Haram ha intensificato la sua azione e gli scontri hanno provocato oltre 37.500 morti e quasi 2 milioni e mezzo di sfollati. 7 milioni di persone nella regione soffrono di insicurezza alimentare e oltre mezzo milione di bambini è colpito da malnutrizione acuta. Quest’area è particolarmente soggetta ai cambiamenti climatici e la stagione della fame diventa ogni anno più dura, assottigliando le risorse a disposizione della popolazione. Le violenze di Boko Haram non hanno fatto altro che esacerbare il processo migratorio e oggi assistiamo a una vera e propria crisi regionale. La Conferenza di Berlino ha deciso di impegnare 2 miliardi di dollari per far fronte alla crisi ma è necessario che agli impegni della comunità internazionale seguano i fatti».

Nel Myanmar, dove nell’ agosto 2017, dopo un attacco da parte di un gruppo di ribelli rohingya, la maggioranza buddista birmana ha ripreso a perseguitare la della minoranza misulnana, causando in poche settimane la fuga di centinaia di migliaia di persone verso il confinante Bangladesh, «i profughi sono 1 milione e solo nei campi gestiti da Azione contro la Fame sono stati presi in cura più di 18.500 bambini affetti da malnutrizione acuta grave Il governo del Myanmar ha firmato a giugno un accordo con le Nazioni Unite che autorizzava un’ispezione dello stato di Rakhine, per lavorare congiuntamente al processo di rimpatrio, ma le agenzie internazionali non hanno ancora visitato il luogo, rendendo la soluzione quanto meno lontana. In ogni caso, il processo di rimpatrio deve rispettare gli standard internazionali, su base volontaria e garantendo la completa sicurezza della popolazione».

Il rapporto ricorda che «La violenza, specialmente nelle guerre moderne che colpiscono in modo massiccio la popolazione civile, provoca spostamenti di massa di persone che fuggono con ciò che è rimasto, abbandonano i loro mezzi di sostentamento e si concentrano in luoghi con acqua e servizi igienici precari dove dipendono dagli aiuti umanitari per sopravvivere. Il numero di sfollati a causa della violenza è raddoppiato tra il 2007 e il 2015 e si calcola che una persona sfollata trascorra in media più di 17 anni nei campi profughi o presso le popolazioni ospitanti, creando per di più tensioni e concorrenza per le risorse naturali o l’occupazione. Nelle guerre le colture vengono abbandonate, i periodi di semina e raccolta saltano, l’offerta ai mercati viene interrotta così come le vie di trasporto e approvvigionamento: tutto questo ha un impatto feroce sulla popolazione».

Nelle aree in guerra  è stato spesso l’aumento dei prezzi del cibo e delle materie prime a scatenato molti dei conflitti attuali: «In diversi contesti, come nel Sahel – evidenziano quelli di Azione contro la Fame  – l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, la siccità e la competizione per i pascoli sempre più asciutti hanno generato tensioni tra le popolazioni pastorali, fino a sfociare in veri e propri conflitti».

E l’Ong sottolinea che «Esiste una dimensione del problema che non dobbiamo dimenticare: l’uso crescente della fame come arma di guerra, attraverso l’assedio sistematico di civili, l’attacco alle infrastrutture di base per l’acqua e il sostentamento, il blocco degli aiuti umanitari. Si tratta di una tendenza in aumento in conflitti sempre più spesso combattuti da gruppi armati con poche risorse militari, che trovano quindi nella fame un’arma di guerra molto economica e praticabile».

Il 24 maggio l’Onu ha adottato la risoluzione 2417 che invita tutte le parti in conflitto a conformarsi al diritto umanitario internazionale, che vieta gli attacchi contro i civili e contro le infrastrutture civili critiche, compresi  fattorie, mercati, sistemi idrici e altri elementi essenziali per produrre e distribuire alimenti. La risoluzione invita il Segretario generale dell’Onu ad allertare il Consiglio di Sicurezza in quei contesti dove un conflitto minaccia la sicurezza alimentare. Garroni commenta: «Siamo fiduciosi che questa risoluzione porterà l’impegno politico ai massimi livelli, evitando il deteriorarsi di gravi crisi alimentari. Tuttavia se vogliamo assicurare il progresso nella lotta contro la fame, la comunità internazionale deve farne una priorità politica globale. Ecco perché Azione contro la Fame invita tutti gli attori interessati a intraprendere azioni concertate per spezzare il circolo vizioso di guerra e fame. In particolare, Azione contro la Fame sottolinea la necessità di un approccio globale che garantisca la stretta aderenza al diritto internazionale umanitario, la responsabilità per la non conformità ad esso e la mobilitazione ai massimi livelli nel caso di uso della fame come arma di guerra».