Guerra e fame nel Sud Sudan, lo Stato mai nato

40.000 persone stanno morendo di fame, più di 2,79 milioni in crisi o emergenza alimentare

[11 Luglio 2016]

Il 9 luglio il Sud Sudan, lo Stato più giovane del mondo, ha celebrato nel sangue il quinto anniversario della sua indipendenza. Non ha resistito il fragile accordo che sembrava aver messo fine ad una guerra civile che dura ormai da più di due anni e mezzo. Nel pomeriggio del 7 luglio a Juba si sono sentiti scambi di armi da fuoco automatiche nelle vicinanze del palazzo presidenziale, proprio mentre il presidente Salva Kiir e il suo ice-presidente Riek Machar, a capo delle fazioni rivali, stavano tenendo una conferenza stampa congiunta. Dopo la situazione è precipitata: solo nei primi scontri tra i militari Sudan People’s Liberation Army (SPLA) e la SPLA ribelle ci sono stati più di 150 morti, ha detto il portavoce di Machar.

Il 10 luglio ormai la capitale del Sud Sudan e la sua periferia erano in piena guerra e  fonti del ministero della sanità parlavano di almeno 272 morti, mentre la compagnia aerea Kenya Airways decideva di sospendere tutti i voli. Il portavoce militare de Machar ha detto che «La guerra è ritornata in Sud Sudan» ed ha accusato le truppe di Kiir di aver attaccato due volte il 10 luglio la residenza del vicepresidente con tanks ed elicotteri.  La missione Onu in Sud Sudan denuncia «Colpi di arma da fuoco, tiri mortali, lanciagranate ed armi di assalto pesanti», violenze che non hanno risparmiato nemmeno la sede Onu a Juba, dove è stato ucciso un casco blu cinese ed altri sono rimasti feriti.

Patricia Huon, una giornalista freelance, ha detto a Radio France International (RFI)  che gli scontri sono avvenuti nella zona sud-est di Juba, dove «si trova il campo dell’ex capo ribelle Riek Machar che vive con 1.500 militari che ha raccolto intorno a lui nella capitale». Un altro giornalista freelance, Richard Nield, conferma alla RFI che c’è stata un’escalation della violenza in diversi luoghi della città:  «Nei dintorni del quartiere di Jebel, nella banlieue de Juba, dove si trova la base delle Nazioni Unite, ma anche un campo profughi di 30.000 persone. Ci sono combattimenti anche nel quartiere di Gudele dove si trova una base del campo di Riek Machar ma anche nella stessa Juba, vicino all’aeroporto. L’atmosfera nel centro di Juba è veramente molto tesa». Si sentono colpi di cannone e tutti temono nuovi attacchi e sono barricati in casa.

Kir e Machar  hanno lanciato un appello alla calma che le loro fazioni non hanno evidentemente ascoltato e ci si chiede se riescano ad avere un controllo sulle loro truppe. Nield ricorda che «Durante tutta la guerra civile esistevano già degli interrogativi sul controllo diretto che i due leader avevano sui loro uomini.  La questione si poneva già a quell’epoca, in particolare per le truppe dell’opposizione di Riek Machar. Il comando e il controllo non era molto operativo. Anche delle animosità personali, tribali e delle rivalità locali possono spiegare questa situazione. Spesso le violenze in Sud Sudan sono le conseguenze di rappresaglie e conto-rappresaglie, quindi, quando c’è una successione di incidenti come questa, gli avvenimenti possono scappare di mano ai capi. Questo non vuol dire che i leader non abbiano del tutto il controllo, ce l’hanno sicuramente. Cui si può quindi aspettare che chiedano pubblicamente la  fine delle violenza.  Questo non vuol dire che da dietro le quinte non ricerchino questa violenza. Ma non necessariamente si può legare la loro volontà alle azioni delle loro truppe». Anche perché dietro, oltre al petrolio, ci sono ancestrali lotte tribali per i pascoli, le zone fertili e le risorse.

Un caos così sanguinario e grave che il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha deciso di tenere consultazioni a porte chiuse ed ha fortemente condannato la ripresa dei combattimenti. Koro Bessho l’ambasciatore del Giappone all’Onu, che ha la presidenza di turno del Consiglio di Sicurezza, ha letto una dichiarazione approvata all’unanimità che esprime shock e indignazione  per gli attacchi ai campi profughi di Jebel e Tomping e ai siti  della United Nations Mission in South Sudan (Unmiss) e le provocazioni contro i civili e l’Onu, ed esige che Kiir e  Machar «facciano tutto il possibile per riprendere il controllo delle loro rispettive forze» e per «impedire la propagazione della violenza nel resto del Paese» e che «si impegnino veramente ad una messa in atto completa e immediata dell’accordo di pace, compreso il cessate il fuoco permanente e il ridispiegamento delle forze militari attualmente a Juba». L’Onu ha avvertito che tutti gli attacchi ai civili e all’Onu potranno essere considerati crimini di guerra. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si è detto pronto a rafforzare la missioni Unmiss per rispondere alle violenze ed ha incoraggiato «Gli Stati della regione a prepararsi a fornire delle truppe supplementari nel caso che il Consiglio decida così», intanto la Unmiss è autorizzata ad  «utilizzare ogni mezzo necessario per proteggere i civili».

Ma i civili in Sud Sudan sono alla fame e il peggio potrebbe ancora venire.  La partnership mondiale IPc, il principale consorzio mondiale per la sicurezza alimentare, ha annunciato che in alcune regioni dello Stato sudsudanese dell’Unity si è già alla fame che potrebbe diventare fame estrema..

Un rapporto dell’IPC Technical Working Group in South Sudan dice che «Un deterioramento della siutuazione è probabile. Ma per mancanza di informazione, a causa dei conflitti su vasta scala, degli sfollati e della fragilità latente, «E’ tuttavia impossibile determinare se la situazione risponde alla definizione tecnica di fame  fissata dall’IPC».

Ma le cifre del 2015 e quel che sta succedendo fanno temere una catastrofe umanitaria di enormi dimensioni  e il punto di non ritorno potrebbe già essere stato superato. L’IPC spiega che «L’ultimo rapporto ufficiale fino a questa data stima 40.000 abitanti dello Stato dell’Unity vivano in una situazione alimentare corrispondente al livello 5 di classificazione in 5 fasi dell’IPC: il più drammatico».  Ma per dichiarare lo stato di fame sono necessari più dati e informazioni territoriali che non si possono avere per gli scontri tra SPLA e ribelli, che diventano scontri tribali sui territori, dove le autorità locali non collaborano con IPC e Onu.

Quel che è certo è che mentre le fazioni sudsudanesi si scannano per il controllo di uno Stato mai nato davvero, almeno 40.000 persone stanno morendo di fame nell’Unity –  uno Stato in una situazione

«catastrofica» secondo l’IPC Technical Working Group in South Sudan – e che più di 2,79 milioni di esseri umani sono in una situazione di crisi o emergenza alimentare.

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