L’ignoranza dietro la paura dei migranti: in Tv di esteri e periferie si parla sempre meno

Meli (Cospe): «I cittadini hanno il diritto di essere informati, di comprendere quali e quante relazioni ci legano al resto del mondo, per poter interpretare la realtà e poter fare delle scelte consapevoli»

[13 Maggio 2019]

La retorica (fasulla) dei porti chiusi e la paura che gli sbarchi di migranti sulle nostre coste siano le avvisaglie di un’invasione sono entrambe basate su una percezione distorta dei fatti: in questo campo l’Italia vanta un poco edificante primato a livello globale – qualche esempio? In media gli italiani credono che il 30% della popolazione sia composta da immigrati, e invece è circa il 7%  –, e difficilmente si potrà migliorare senza un ruolo più costruttivo da parte dei media. Eppure nei principali Tg delle 7 reti generaliste sta avvenendo semmai il contrario: nel 2018 la pagina complessiva degli esteri si è fermata al 19% di attenzione, tornando ai valori del triennio 2012- 2014. Si tratta di 9721 notizie in un anno, con un calo di visibilità quasi del 30% rispetto al 2016 (e una media di 3,8 notizie a notiziario).

I dati, raccolti nell’indagine “Illuminare le periferie” – elaborata da Cospe onlus insieme all’Osservatorio di Pavia, e presentata durante il Festival dei Diritti Umani –, mostrano un Paese concentrato sempre più sul proprio ombelico, e dunque incapace di comprendere cosa gli accade intorno. Povertà, conflitti endemici, epidemie, conflitti, terrorismo, relazioni internazionali e politica estera sono temi che nei Tg italiani erano e rimangono “periferici”: analizzando le edizioni prime time di Tg1, Tg2, Tg3, Tg4, Tg5, Studio Aperto e TgLa7 la pagina degli esteri in senso stretto (conflitti, terrorismo, relazioni internazionali e politica estera) passa dal 9% degli anni 2012-2014, al 16% del 2015, e al 20% nel biennio 2016-2017, per poi diminuire in modo significativo nel corso 2018 con un’attenzione pari al 9% (sul complessivo dell’agenda dei telegiornali), e tornare in linea con le rilevazioni di 5 anni fa.

Uno dei dati che salta agli occhi è la riduzione di circa un terzo della visibilità che riguarda l’Africa: è infatti il continente che, nel corso del 2018, registra il dato più basso di visibilità degli ultimi 7 anni: 440 notizie contro le 1.152 di due anni fa. Se si escludono fatti di cronaca come calamità naturali, atti terroristici e rapimenti che riguardano nostri connazionali (il rapimento in Kenya di Silvia Romano e la morte del cooperante di Cospe a Capoverde, David Solazzo, ricordato durante la presentazione).

Anche là dove si registrano aumenti significativi, come accade con il fenomeno migratorio, che raggiunge quota 10%, si nota che il focus delle notizie si concentra sulle questioni dei porti, del Mediterraneo e della gestione delle frontiere.

«I cittadini hanno il diritto di sapere – commenta Anna Meli di Cospe – e di essere informati, di comprendere quali e quante relazioni ci legano al resto del mondo, per poter interpretare la realtà e poter fare delle scelte consapevoli ogni giorno: da dove viene il coltan usato nei nostri telefonini, quali sono le filiere del cibo, dell’abbigliamento. Capire il fenomeno migratorio. Tutti noi, ong e media, abbiamo una grande responsabilità in questo senso».

Su questo un dato confortante arriva proprio dall’analisi delle “voci delle periferie”: sempre di più infatti nei servizi compaiono le opinioni della società civile., delle associazioni, delle ong, dell’agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, impegnata nella divulgazione e conoscenza dei paesi dove è presente, e che ha patrocinato questo evento. La centralità di questa “nuova” voce dalle periferie si accompagna alla copertura di alcuni temi, meno presenti negli anni precedenti: come ad esempio i diritti negati e gli effetti della crisi economica sulle persone comuni. Seguono le voci delle associazioni e delle organizzazioni (con il 32%).

Ma il contesto generale non può certo essere definito incoraggiante. «Abbiamo fortemente voluto questo studio – spiega Meli al proposito – perché lavorando nella comunicazione della cooperazione internazionale, ci siamo resi conto della difficoltà di far “uscire” su tv e media generalisti certi temi, certi paesi e contesti che sono a nostri parere fondamentali per capire e interpretare il mondo in cui viviamo. Non volevamo fermarci a una percezione, questo studio ci dà dei dati da cui partire e riflettere». Con la consapevolezza che questi dati influenzano la vita di tutti, tutti i giorni: «Parlare di migrazioni, senza conoscere niente dei paesi di provenienza dei migranti, le guerre, le carestie che affliggono certi paesi – conclude Vittorio di Trapani, dell’Usigrai – non permette ai cittadini di capire davvero cosa sta succedendo nel mondo, e alimenta la narrazione dell’invasione e del nemico».