Perché è giusto ritirarsi dal pantano sanguinoso dell’Afghanistan

Moavero e la Lega: i sovranisti atlantici più realisti dell’imperatore americano

[29 Gennaio 2019]

Chi segue da qualche tempo greenreport.it sa che da sempre questo giornale, raccontando l’assurda guerra dell’Afghanistan – e le ancor più scandalose ramificazioni di un conflitto intrecciate con il traffico di droga, possesso di risorse minerarie e geopolitica malata – abbiamo sempre chiesto il ritiro immediato da un conflitto iniziato sulla base di una clamorosa bugia ( i talebani mandanti degli attentati aerei alle torri gemelle e al Pentagono)  e finito nel pantano sanguinoso di una guerra settaria che è costato al nostro Paese uno stillicidio di vite umane e all’Afghanistan quasi 20 anni di terrore, povertà e malgoverno rapace.

Quindi, ora che fonti del ministero della difesa annunciano che «Il ministro Trenta ha dato disposizioni al Coi di valutare l’avvio di una pianificazione per il ritiro del contingente italiano in Afghanistan« e che «L’orizzonte temporale potrebbe essere quello di 12 mesi». Non possiamo che essere contenti per il fatto che finalmente si avvii il ritiro di una missione suicida realizzata al solo scopo di dimostrare fedeltà atlantica in uno dei posti al mondo più lontani dall’Atlantico e di compiacere un alleato bugiardo e potente – gli Stati Uniti d’America – che aveva promesso che avrebbero reso dignità alle donne afghane vessate dall’integralismo islamista (e l’Afghanistan pullula di burka ed è stato definito il posto peggiore dove possa nascere una donna), che avrebbero azzerato il traffico di droga (e le piantagioni di papavero da eroina non sono mai state così estese), che avrebbero portato la democrazia (e l’Afghanistan è per metà “governato” da politici tribali corrotti e dipendenti dalle forze di invasione e per l’altra metà sotto il tallone dei talebani che si volevano scacciare).

Un fallimento di una guerra avviata dal presidente repubblicano George W. Bush e alla quale porrà fine un altro presidente repubblicano, Donald Trump, che ha trattato con i talebani che si voleva annientare insieme ad Al Qaeda una ritirata che sa di fuga di fronte a una situazione risultata ingestibile, ripercorrendo le tracce di altre ritirate dalla trappola afghana di altri imperi, per restare a quelli più recenti da quello britannico a quello sovietico.

Viene da chiedersi solo cosa avrebbero detto di queste trattative con i talebani – con gli Usa che riconoscono di fatto il loro diritto a tornare a governare l’Afghanistan –  se con loro avesse trattato in questa maniera la precedente amministrazione di Barack Obama, ottenendo in cambio la cessazione dell’appoggio al terrorismo islamista da parte dei talebani che il terrorismo lo esercitano da sempre in proprio in casa propria e che ormai hanno con Al Qaeda flebili rapporti, visto che la rete del terrore che fu di Osama Bin Laden è tornata a operare nei suoi luoghi di origine: il Medio Oriente arabo e l’Africa sahariana e del Sahel. E gli Stati Uniti lo sanno bene, visto che le milizie di Al Qaeda dello Yemen hanno stretto un’alleanza di fatto con i sauditi e la Coalizione sunnita . armati da Usa, Italia e altri Paesi occidentali- che ha invaso lo Yemen contro gli Houthi sciiti che governano Sana’a.

Non a casa in molti pensano che l’accordo con i talebani per il ritiro dall’Afghanistan sia una mossa per mettere ulteriormente in difficoltà una delle ossessioni di Trump (e soprattutto dei suoi alleati israeliani e sauditi), l’Iran sciita che è un nemico giurato dei talebani sunniti/wahabiti e che ospita sul suo territorio la più grande popolazione di profughi afghani, soprattutto Dari sciiti che parlano persiano. perseguitati dai talebani.

L’accordo tra i talebani e il governo  del presidente Ashraf Ghani che definiscono «burattino nelle mani degli Usa» sarà problematico e alla fine, probabilmente, gli ex studenti islamici torneranno a Kabul, ma era l’unica strada per gli Usa per uscire da un’avventura che ha cambiato in peggio il mondo e che ha fatto schiudere altrove – anche nelle capitali di un’Europa colpevole di aver assecondato le bugie statunitensi – le uova avvelenate del terrorismo che si voleva far credere fossero state deposte sulle montagne polverose e gelide dell’Asia centrale.

D fronte a tutto questo, a 17 anni di dolore, sangue, paura e ingiustizia, è abbastanza incredibile che il di solito silenzioso ministro degli esteri Enzo Moavero, dopo aver ceduto più volte il suo ruolo e le sue prerogative al ministro degli interni Matteo Salvini, riferendosi alle indicazioni del ministro della difesa Elisabetta Trenta mandi a dire da Gerusalemme (dove i ministri del nostro governo fanno la fila per essere ricevuti da Netanyahu) «Lo apprendo adesso che lo avrebbe detto oggi. Non ne ha parlato con me. Non appena torno a Roma o non appena dovessi sentire il ministro Trenta, ne riparleremo».  Forse prima di farebbe bene a fare una telefonata a Washington per farsi spiegare come stanno ora le cose.

Invece non sorprende più di tanto la reazione della Lega (ex nord): «Solo valutazioni della Trenta» con Salvini che aggiunge: «Facciamo quel che serve per riportare pace e stabilità. Al momento nessuna decisione è stata presa ma solo una valutazione da parte del ministro per competenza».

La Lega che una volta parlava di autodeterminazione dei popoli, ora ostenta il suo sovranismo e omaggia servilmente Vladimir Putin, per poi dettare nei fatti una politica atlantista, più realista dell’imperatore statunitense, anti-iraniana e filo-isreliana, che paventa l’invasione islamica ma è sempre pronta a trattare in nome del sacro business con regimi dittatoriali come l’Egitto e le monarchie wahabite del Golfo.

La Lega camaleonte, col chador a Riyadh e la kippah a Gerusalemme, che mostra i muscoli in Afghanistan e la faccia feroce nel Mediterraneo: sempre forte con i deboli e debole con i forti.