Sudan, scienziati e studenti guidano la lotta contro la nuova dittatura militare

La brutale repressione dei paramilitari ha ucciso più di 100 dimostranti pro-democrazia, ma gli attivisti non si arrendono

[12 Giugno 2019]

Dopo la brutale repressione del 3 giugno di un raduno di protesta a Khartoum da parte dei paramilitari delle Rapid Support Forces che hanno ucciso più di 100 manifestanti pro-democrazia, in Sudan le università sono chiuse, i voli aerei sono stati sospesi e Internet è quasi completamente. Il nuovo regime militare che ha defenestrato l’eterno dittatore Omar al-Bashir prima che lo facesse la piazza in rivolta, ha arrestato alcuni leader politici contrari all’attuale governo.

Ma, come fa notare anche un editoriale di Nature, neanche le stragi e gli arresti sembrano aver intaccato la determinazione dei manifestanti, le cui fila comprendono diversi eminenti scienziati e le cui richieste includono l’indipendenza delle università e la fine dell’influenza del governo. Il 9 giugno, la Sudanese professionals association (Spa), l’organizzazione che riunisce tutti i gruppi pro-democrazia e che include professori universitari, scienziati e insegnanti, ha risposto alla repressione lanciando una campagna di disobbedienza civile contro l’attuale consiglio militare, al governo con un golpe da aprile, dopo la fine di al Bashir ma non del suo regime che aveva proprio nell’esercito il suo pilastro portante. La Spa dice che la lotta continuerà fino a quando il potere politico sarà consegnato ai civili e «tutte le richieste della rivoluzione saranno pienamente soddisfatte». Muntasir El-Tayeb, un genetista molecolare dell’università di Khartoum diventato uno dei leader dell’Spa ricorda che tra queste richieste c’è anche «l’obbligo che tutti i vice-cancellieri e presidi delle università pubbliche designati dal precedente regime si dimettano».

La campagna di disubbidienza civile punta a paralizzare l’economia del Sudan: i manifestanti hanno realizzato posti di blocco sulle principali strade e ponti di Khartoum e la Spa ha chiesto lo sciopero generale in tutto il Paese. Come riporta Al Jazeera (subito messa a tacere f dalla giunta militare), l’esercito ha risposto avvertendo che ritiene un crimine i blocchi stradali e afferma di aver rinforzato la sua presenza in tutto il Sudan «per riportare la vita alla normalità». Le violenze dei paramilitari fedeli al vecchio regime e all’esercito arrivano dopo 6 mesi dopo le proteste iniziate a Khartoum, che hanno coinvolto migliaia di docenti, scienziati, studenti e ingrossato sempre di più le fila della Spa che, dopo 30 anni di dittatura, chiede la democrazia e che i militari escano finalmente dalla scena politica.

La miccia che ha dato fuoco alle polveri è stata l’inflazione galoppante che nel 2018 ha raggiunto il 70% ed è così che la classe media urbana ha preso la testa di proteste che sono diventate di popolo.

Dopo la rivoluzione di aprile, i leader della Spa hanno cominciato a negoziare una transizione verso la democrazia con il Consiglio militare di transizione che si era impossessato del potere e che inizialmente aveva liberato dei prigionieri politici, come un altro genetista: Muntaser Ibrahim. Dopo l’arresto di al-Bashir, l’esercito e la Spa si erano inizialmente accordati su un periodo di transizione di tre anni prima che si svolgessero le elezioni, ma il 20 maggio i colloqui si sono interrotti perché i militari vogliono che sia uno di loro a guidare la transizione, mentre l’Spa chiede che sia un civile. Poco dopo, i manifestanti hanno organizzato un sit-in fuori di fronte al quartier generale dell’esercito e i miliziani lealisti delle Rapid Support Forces hanno iniziato a sparare sulla folla che protestava.

Una strage: secondo il ministero della salute sudanese le vittime sarebbero 61 persone, ma il  Central Committee of Sudan Doctors, l’associazione professionale dei medici che fa parte della Spa, ha detto che in realtà sono stati uccisi almeno 113 manifestanti e che nessuno sa quanti siano davvero i feriti. El-Tayeb ha detto a Nature che le atrocità compiute dai paramilitari vanno «oltre ogni descrizione» e che «La Spa conta ancora le vittime e cerca di identificarle. Le vittime sono centinaia, i corpi sono stati gettati nel Nilo, alcuni ancora vivi. Stanno uccidendo i sogni e i corpi dei giovani».

Clare Robinson, direttrice di Scholars at Risk, una ONG di New York che aiuta gli insegnanti a fuggire dalle guerrei, ha detti che «la mia organizzazione è profondamente preoccupata. E’ particolarmente preoccupante l’uso della forza letale per vendicarsi contro le persone che esercitano pacificamente i loro diritti alla libertà di espressione e di riunione».

Dopo la strage, il 6 giugno l’Unione africana ha sospeso l’adesione del Sudan fino a che non verrà instaurato un governo a guida civile, che ha definito «L’unico modo per consentire al Sudan di uscire dall’attuale crisi».

Come risposta, mentre mandava i paramilitari a sparare sui manifestanti, il Consiglio militare di transizione ha annunciato che i negoziati con l’Spa erano cessati e che entro 9 mesi si terranno le elezioni».

L’appello alla disobbedienza civile è arrivato il giorno dopo che il primo ministro etiopico Abiy Ahmed era arrivato a Khartoum per far ripartite i colloqui protesta sulla transizione tra i generali golpisti e i leader dell’opposizione. Ma subito dopo la partenza di Abiy Ahmed i militari hanno arrestato i tre leader dell’opposizione che avevano incontrato il premier etiope. Il 10 giugno la televisione di Stato ha annunciato che  Yasir Arman, vice capo del Sudan People’s Liberation Movement-North e gli altri due leader del  movimento di protesta, Ismail Jalab e Mubarak Ardol, sono stati rilasciati.

Arman era ritornato a Khartoum a fine maggio proprio per prendere parte ai colloqui con i generali al potere ma è stato arrestato due giorni dopo l’inizio della repressione e ha denunciato che, in realtà non è stato affatto liberato:  insieme a Jalab e Ardol, sono stati deportati da Khartoum nella capitale del Sud Sudan, Juba. In un tweet del 10 giugno Arman  denuncia: «Sono stato deportato contro la mia volontà da un elicottero militare da Khartoum a Juba. Non ero a conoscenza di dove mi stavano portando. L’ho chiesto loro molte volte. Mi hanno legato sull’elicottero insieme al compagno Ismail Khamis Jalab e Mubarak Ardol».

Questo è il Sudan che ha deposto al-Bashir sotto il tallone dei complici sanguinari dell’ex dittatore.

La maggioranza dei sudanesi spera che la situazione possa ancora risolversi ma nella Spa cresce la preoccupazione che le richieste di democrazia e università libere vengano affossate dai militari con elezioni farsa come quelle organizzate dal loro ex capo al-Bashir.

Mohamed Hassan, un matematico sudanese presidente della The World Academy of Sciences (Twas) di Trieste è rimasto bloccato a Dubai a causa della sospensione dei voli aerei mentre cercava di rientrare in Sudan volo e ha spiegato a Nature che «La comunità accademica era inizialmente molto ottimista per un futuro più luminoso per la scienza, la tecnologia e l’istruzione in un Sudan post-militare. Ora le cose sono to sono ruotate di 180 gradi nella direzione opposta. Se rimane il Consiglio militare di transizione, non vedo alcuna indipendenza delle università. Sarà più o meno lo stesso sistema».  Ma Hassan è fiducioso che la situazione non raggiunga il livello in cui le persone come lui devono restare all’estero come rifugiati: «Non  importa quale sia l’esito dei disordini, sono sicuro di tornare in Sudan e non voglio vivere in esilio. Dobbiamo stare all’interno».

Ma i militari non molleranno tanto facilmente: il tenente generale Jamaleddine Omar, ha detto che «Chiudendo le strade e costruendo barricate, i manifestanti hanno commesso un crimine. L’Alliance for Freedom and Change (il movimento di protesta che riunisce tutti gli oppositori, ndr) è pienamente responsabile dei recenti malaugurati incidenti … compreso il blocco delle strade che sta violando le leggi umanitarie internazionali. I  militari e le Rapid Support Forces hanno rafforzato la loro presenza in tutto il Paese per riportare la vita alla normalità». E per farlo uccidono indiscriminatamente sparando ad altezza d’uomo su civili inermi.

Il 9 giugno sono state uccise almeno 4 persone dalle forze di sicurezza sudanesi che stanno tentando di sedare la campagna di disobbedienza civile che ha svuotato le strade di Khartoum, Secondo il Central Committee of Sudanese Doctors due persone sono morte dopo essere state picchiate e pugnalate e due persone sono state uccise a colpi di arma da fuoco, sempre da gruppi paramilitari. Sempre domenica, le forze di sicurezza hanno arrestato diversi lavoratori dell’aeroporto e impiegati della banca centrale sudanese che scioperavano. Il trasporto pubblico funzionava a malapena e la maggior parte delle banche commerciali, delle società private e dei mercati sono chiusi, restano aperti gli uffici di pubblica utilità e alcune banche statali.

Waleed Madibo, del Sudan Policy Forum, ha detto ad Al Jazeera  «Che è improbabile che la campagna faccia cadere il Consiglio militare di transizione, ma potrebbe dividere i suoi leader. Usando la violenza come un imperativo, [i militari] hanno lasciato la società civile senza l’opzione della disobbedienza civile: stanno già arrestando i dissidenti politici, hanno iniziato a assassinare i leader di  sit-in, e così facendo il Consiglio militare di transizione ha totalmente eliminato ogni possibilità di un esito politico».

Anche per Eric Reeves, un esperto di Sudan dell’Università di Harvard, «Il Consiglio militare di transizione non è seriamente intenzionato a negoziare con i civili, questo non potrebbe essere più evidente agli occhi dell’opposizione e certamente paralizza ogni tentativo di andare avanti nei negoziati».