Un Natale di sangue per kurdi e cristiani nel nord della Siria

Più di 235.000 persone in fuga dalle forze di invasione turco-jihadiste e dai bombardamenti sui villaggi

[30 Dicembre 2019]

Da ottobre il nord della Siria – e in particolare il Rojava kurdo – resiste all’invasione turca sostenuta dalle milizie jihadiste che attaccano in particolare i cristiani. L’agenzia ANF, ripresa da Rete Kurdistan Italia, sottolinea che «In molte località nonostante questo si sono svolte le messe natalizie. Il Rojava ha un’importante componente della popolazione di religione cristiana, tra cui armeni, assiri e caldei. Gli armeni che ancora vivono in Siria e molti dei cristiani sono i discendenti del genocidio del 1915. Cristiani assiri e armeni della terza e quarta generazione dopo il genocidio, vengono di nuovo espulsi e assassinati».
Durante il califfato nero dello stato islamico/Daesh sono state distrutte e saccheggiate molte chiese cristiane, ma dopo la liberazione per i cristiani la libertà è durata poco. Ora la minaccia arriva dall’esercito di invasione turco e dai suoi mercenari delle milizie jihadiste affiliate ad al-Qaeda o ex tagliagole del Daesh. Le milizie kurde dell’Ypg/Ypj e delle Syrian Democratic Forces (SDF), multietniche e multireligiose. Hanno cercato di garantire ai cristiani un minimo di normalità e nella contesa Til Temir centinaia di persone si sono ritrovate per la messa nella chiesa Meryem-Al-Azra. Ai successivi festeggiamenti sono intervenuti anche non-cristiani, compresi i rappresentanti dell’Amministrazione Autonoma e delle forze della sicurezza kurde. La messa di Natale si è tenuta anche nella chiesa assira di Hesekê e una fedele ha detto all’agenzia ANHA: «Noi il 25 dicembre celebriamo la festa della nascita. Per questo orniamo un albero come simbolo della vita. Sulla viene messa la stella d’oriente perché secondo la nostra fede Gesù è nato in Oriente». I cristiani sono riusciti a ritrovarsi per la messa di Natale anche nella chiesa Aziz-Yakup a Qamişlo, mentre, informa l’ANF, «a Tirbêspî kurdi e arabi dopo la messa natalizia hanno visitato il centro delle forze Sotoro cristiane e l’ufficio del Syriac Union Party per fare gli auguri per la festa e esprimere la posizione comune contro l’occupazione turca».
Ma proprio a Natale esercito turco e miliziani jihadisti si sono scontrati ad Aïn Issa, con le SDF mentre cercavano nuovamente di prendere il controllo dell’autostrada M4. Le SDF dicono che l’attacco turco-jihadista è stato respinto e sottolineano che sia i villaggi intorno a Tall Tamr e la cittadina di Aïn Issa si trovano al di fuori della “zona di sicurezza” istituita dalla Turchia nel Rojava con la complicità di statunitensi e russi.
I turchi vogliono prendere il controllo della M4 perché attraversa il distretto di Tall Tamr – con 180 villaggi – e collega la città martire kurda di Kobanê ad Aïn Issa. La regione è per questo diventata uno dei principali bersagli degli attacchi al nord della Siria che puntano ad estendere la zona occupata dalla Turchia.
E l’offensiva turco-jihadista continua anche su altri fronti: secondo l’ United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA) Onu, «In seguito alle ostilità, decine di migliaia di famiglie sono fuggite dalle loro abitazioni per mettersi in salvo. Trail 12 e il 25 dicembre, più di 235.000 persone sono state sfollate nel nord-ovest della Siria».
Nel suo ultimo bollettino umanitario del 26 dicembre sulla situazione nella Siria nor-occidentale, l’OCHA evidenzia che «questi sfollamenti di massa hanno riguardato soprattutto la città di Maaret al-Noomane e i suoi dintorni quasi mai abbandonati dai suoi abitanti. Maaret al-Noomane e la sua campagna sarebbero quasi svuotati, sempre più persone di Saraqab e della sua campagna orientale fuggono in previsione dell’estensione delle ostilità nella loro zona». E il mondo occidentale, le democrazie che hanno attizzato questa tragedia siriana, stanno impassibili a guardare Erdogan e le milizie jihadiste genocide mentre occupano impunemente un altro Paese e puniscono chi ha avuto l’ardire di sconfiggere lo Stato Islamico. Intanto il presidente turco si appresta a mandare i suoi tagliagole islamisti a combattere in Libia a fianco delle bande armate jihadiste che difendono il governo “ufficiale” riconosciuto – e insediato – dall’Italia e da buona parte della comunità internazionale.
L’OCHA spiega che la maggioranza dei nuovi profughi siriani sono fuggiti dal sud del governatorato di Idlib verso nord, per raggiungere le città di Ariha, Saraqeb e Idleb, dove i campi profughi lungo la frontiera con la Turchia sono già sovraffollati e diverse persone che avevano abbandonato Maaret al-Noomane per raggiungere Saraqeb «fuggono di nuovo più a nord, anticipando un’intensificazione dei combattimenti in questa zona». Inoltre, altri gruppi di profughi, decine di famiglie, sarebbero fuggiti verso le aree ormai saldamente in mano al governo siriano ad Aleppo.
Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, si è detto «profondamente preoccupato per l’escalation militare nel nord-ovest della Siria».
Tra il 20 e il 22 dicembre, almeno 39 comunità sono state colpite da bombardamenti nei governatorati di Hama, nel sud d’Idlib e nell’est di Aleppo, mentre almeno 47 comunità hanno subito attacchi aerei turchi.
«L’Onu resta profondamente preoccupato per la sicurezza e la protezione di più di 3 milioni di civili a Idlib . ha detto il portavoce di Guterres Stéphane – Più della metà di queste persone sono state sfollate in seguito a degli attacchi aerei nella regione».
L’OCHA sottolinea che «Questa nuova ondata di sfollati va ad aggiungersi all’attuale situazione di emergenza nel nord-ovest della Siria che ha già comportato lo sfollamento di circa 400.000 persone tra la fine di aprile e la fine di agosto di quest’anno. Sul terreno, questi sfollamenti hanno luogo durante l’inverno ed esacerbano ancora di più la vulnerabilità delle persone colpite»..
Secondo le agenzie umanitarie dell’Onu, «numerosi di questi profughi interni hanno bisogno urgentemente di aiuto, in particolare di un riparo, di cibo, di cure sanitarie, di aiuto non alimentare e invernale».
L’OCHA sottolinea che «la situazione della sicurezza sempre volatile lungo le vie di accesso a nord e la penuria di carburante nella zona di Idlib limitano gli spostamenti dei civili che fuggono dalle ostilità» e Guterres si è detto preoccupato per le notizie di attacchi contro le vie di evacuazione, con l’uccisione di civili che tentano di fuggire in cerca di sicurezza, per questo ha invitato le parti in conflitto – va notato che l’ONU abbastanza ipocritamente non cita quasi mai la Turchia – a rispettare l’obbligo di «proteggere i civili e garantire la libertà di movimento. Un accesso umanitario durevole, senza ostacoli e sicuro per i civili, compreso attraverso modalità transfrontaliere, deve essere garantito per permettere all’Onu e ai suoi partner umanitari di continuare a condurre al meglio il loro lavoro essenziale nel nord della Siria».
Ma la Siria – la guerra civile, la deriva jihadista della resistenza contro il regime di Assad, i finanziamenti alle milizie al-qaediste da parte delle monarchie assolute wahabite del Golfo, l’intervento russo.iraniano a favore di Assad, lo Stato Islamici/Daesh, l’intervento della coalizione a guida Usa, le invasioni turche per porre fine all’esperimento progressista e multietnocoe multireligioso del Rojava – dimostrano il fallimento dell’Onu e della comunità internazionale in Siria. Un fallimento che è evidente ne comunicato pubblicato dsll’Unicef alla vigilia di Natale che ci ricorda che i bambini sono i primi a soffrire per questa sporca guerra: «Più di 500 bambini sono stati feriti o uccisi durante i primi 9 mesi del 2019 e almeno 65 bambini sono stati feriti o uccisi solo a dicembre. Nove anni dopo l’inizio della guerra, i bambini i Siria continuano a subire violenza, dei traumi e un malessere indescrivibile. I bambini devono sempre essere protetti, anche in tempi di conflitto. E’ un obbligo per tutte le parti in conflitto, non una scelta. L’Unicef chiede la fine delle ostilità».