Wwf, Focsiv, Ilo e Ituc in un simposio internazionale

Per una giusta transizione verso i green job il prezzo non possono pagarlo i lavoratori

«Una persona su due oggi è soggetta alla perdita posti di lavoro o alla riduzione delle ore lavoro»

[24 Giugno 2016]

Mai come in questo momento storico carico d’incertezza, in Europa e non solo, è necessario ritrovare un orizzonte condiviso di sviluppo cui guardare con fiducia: la transizione verso un’economia ecologica rappresenta oggi l’unico vettore credibile in grado di traghettarci fuori dall’interregno cui siamo immersi, ma alla condizione di intraprendere un cambiamento radicale. Alla decarbonizzazione dell’economia e a un miglior uso delle risorse naturali deve accompagnarsi anche la sostenibilità economica e sociale, mettendo in prima linea quella “giusta transizione” per i lavoratori che è mancata – come hanno sottolineato i sindacati – anche alla Cop21 di Parigi.

Il Wwf e la Federazione degli organismi cristiani servizio internazionale volontario (Focsiv) sono tornati ad affrontare il tema in un simposio internazionale che ha voluto promuovere il dialogo tra diversi attori globali e locali provenienti da Europa, Africa, Asia Orientale e America Latina. Durante l’incontro, dal titolo dal titolo “Una transizione giusta per la nostra casa comune: energia, lavoro e sradicamento della povertà”, Gaetano Benedetto – direttore generale del Wwf Italia – ha sottolineato come oggi la politica sia ancora «saldamente legata a una vecchia economia, se non espressione di questi interessi», ma Il processo di responsabilizzazione è richiamato, oltre che dagli ambientalisti, da un  lato dal mondo scientifico  e dall’altro dal mondo cattolico che punta l’attenzione sugli effetti delle nostre scelte economiche. In questo quadro l’unione tra la  cultura scientifica e ambientalista e il rispetto dei diritti è la saldatura ideale capace di individuare le soluzioni».

La transizione verso un’economia ecologica implica «la trasformazione di modelli di consumo, del mondo del lavoro e delle società organizzate. Il pericolo  – ha aggiunto Gianfranco Cattai, Presidente di Focsiv – è che si creino nuovi poveri e cresca la divisione tra paesi ricchi e nuovi emergenti, paesi cioè capaci di nuove tecnologie e quelli che subiscono, senza sapere come gestire questi cambiamenti e alla mercè di dinamiche senza controllo devono essere soprattutto i paesi storicamente responsabili dell’aumento di emissioni di gas serra a farsi carico della responsabilità di questa transizione».

Le possibilità, in teoria, abbondano. Kees van der Ree, coordinatore del programma Green jobs dell’Ilo, (agenzia Onu che si occupa di promuovere il lavoro dignitoso e produttivo in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità umana per uomini e donne), ha ricordato come la sola «transizione verso le rinnovabili potrà creare 60 milioni di posti di lavoro entro il 2030» a condizione però che «siano attuate nuove politiche. Altrimenti vedremo solo perdite di occupazione nei settori influenzati dal cambiamento, come quello edile, dell’imballaggio e dei trasporti. Servono strategie armonizzate e la  collaborazione istituzionale tra società civile e governi. Per questo è fondamentale il dialogo sociale. L’elemento chiave è la formazione di nuove figure professionali».

Dall’Ituc (International trade union confederation), Alison Tate conclude: «Una persona su due oggi è soggetta alla perdita posti di lavoro o alla riduzione delle ore lavoro. 30 milioni di persone operano in condizioni paragonabili al lavoro forzato. Questa è la realtà economica. Per conciliare zero povertà e zero emissioni di CO2 si devono trovare modalità che non escludano nessuno. Nelle prime 50 multinazionali che forniscono beni di largo consumo solo il 6%  degli utili sono prodotti da lavoratori che dipendono direttamente dalla holding , il resto del lavoro passa attraverso l’esternalizzazione e subappalto. Dunque, gli utili per queste aziende sono ottenuti grazie a persone per le quali esse non hanno alcuna responsabilità. Questo è un tema di giustizia sociale. Bisogna chiedersi come verranno utilizzati i 90 trilioni di investimenti previsti da qui al 2050 legati alla transizione energetica. Oltre 1000 imprese hanno sottoscritto un appello, insieme alle ong e altri segmenti della società per una transizione equa. Occorre ad esempio recuperare e costruire sistemi di protezione sociale. I lavoratori delle industrie più inquinanti non vanno emarginati, ma vanno utilizzate e reimpiegate le loro competenze».