Il nostro è lo Stato membro «più colpito in termini di mortalità connessa al particolato»

Inquinamento atmosferico, l’Ue accusa l’Italia: «Qui oltre 66mila morti premature l’anno»

Dalla Commissione «l’ultimo avvertimento» prima di passare la palla alla Corte di giustizia

[27 Aprile 2017]

«Le misure legislative e amministrative finora adottate dall’Italia non sono bastate a risolvere il problema» dell’inquinamento atmosferico, che si è gonfiato tanto da rendere l’Italia «lo Stato membro più colpito in termini di mortalità connessa al particolato». Con il risultato che «ogni anno l’inquinamento da polveri sottili provoca nel paese più di 66000 morti premature».

Quello arrivato oggi dalla Commissione europea a Roma è «un ultimo avvertimento» per lo Stato italiano. Da oltre 12 anni, ovvero da quel gennaio 2005 in cui sono entrati in vigore i valori limite giornalieri di polveri sottili in sospensione (PM10) ci sono «30 zone» in tutto il territorio italiano in cui questi limiti sono stati infranti: Lombardia, Veneto, Piemonte, Toscana, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Campania, Marche, Molise, Puglia, Lazio e Sicilia. In altre «9 zone» sono stati superati anche i valori limite per i superamenti annuali: Venezia-Treviso, Vicenza, Milano, Brescia, due zone della Pianura padana lombarda, Torino e Valle del Sacco (Lazio).

È la normativa Ue relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa (direttiva 2008/50/CE) che – spiegano dalla Commissione – impone agli Stati membri di limitare l’esposizione dei cittadini a questo tipo di particolato e stabilisce valori limite per l’esposizione riguardanti sia la concentrazione annua (40 μg/m3), che quella giornaliera (50 μg/m3), da non superare più di 35 volte per anno civile. Eppure nella maggior parte degli Stati membri questa normativa viene bellamente ignorata. Non a caso la Commissione ha avviato procedure di infrazione per livelli eccessivi di particolato PM10 non solo nei confronti dell’Italia ma anche di altri 15 Stati; lo stesso dicasi per l’azione legale riguardante gli sforamenti dell’NO2, riguardante 12 Stati membri (Italia compresa).

Per quanto riguarda il nostro Paese in particolare, una precedente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (cfr. sentenza della Corte di giustizia del 19 dicembre 2012, C-68/11) aveva già ritenuto l’Italia responsabile della violazione della legislazione Ue nel merito: da allora gli anni sono passati, ma l’inquinamento atmosferico no. «In caso di superamento dei valori limite, gli Stati membri sono tenuti ad adottare e attuare piani per la qualità dell’aria che stabiliscano misure atte a porvi rimedio nel più breve tempo possibile», cosa che nel nostro Paese non è avvenuta.

Per questo – avvertono da Bruxelles – se l’Italia «non si attiverà entro due mesi, la Commissione potrà deferire il caso alla Corte di giustizia dell’Ue». Come evitare una nuova condanna e ripristinare finalmente «l’obbligo» vigente in ogni Stato membro Ue «di garantire una qualità dell’aria soddisfacente per i loro cittadini»?

Nel caso italiano c’ha pensato l’Ispra (l’Istituto superiore per la protezione ambientale) a fare chiarezza: «È ormai assodato che la riduzione dell’inquinamento atmosferico è una sfida che non può essere affrontata mediante provvedimenti emergenziali e su scala locale», mentre i «i settori su cui intervenire prioritariamente sono trasporti e usi civili, e il contesto su cui operare prioritariamente è quello urbano». I principali inquinatori non sono dunque le minacciose industrie – che pure hanno un loro non trascurabile impatto sul fenomeno – ma noi cittadini, che per spostarci utilizziamo ancora in larga parte mezzi inquinanti, e che riscaldiamo e raffreddiamo le nostre case e uffici in modo tutt’altro che efficiente. Inaugurare una nuova era fatta di mobilità sostenibile e riqualificazione energetica degli edifici non è però un compito che il singolo cittadino potrà mai sobbarcarsi in autonomia. Spetterebbe al governo “governare” la transizione, tramite politiche ad hoc e sostanziosi incentivi mirati (come l’ecobonus, che ha già mostrato la sua efficacia anche in termini di investimenti e ritorni economici). Come certifica oggi per l’ennesima volta la Commissione europea, si è invece preferito ignorare il problema, pagandone tutti le conseguenze.