Le microplastiche in mare sono un milione di volte in più abbondanti di quanto si pensasse?

Mini-microplastiche scoperte nello stomaco delle salpe, organismi marini filtratori alla base della catena alimentare marina

[9 Dicembre 2019]

Mentre la politica italiana litiga e rinvia la prudentissima plastic tax, il recente studio “Patterns of suspended and salp‐ingested microplastic debris in the North Pacific investigated with epifluorescence microscopy”, pubblicato da Jennifer Brandon, Alexandra Freibott  e Linsey Sala della Scripps Institution of Oceanography dell’università della California- San Diego su numero speciale di Limnology and Oceanography Letters  dedicato alla ricerca su microplastiche e microfibre, ci conferma che niente sembra sicuro dalla contaminazione provocata da un utilizzo indiscriminato e insostenibile della plastica usa e getta e dal suo cattivo e a volte inesistente, smaltimento, recupero e riutilizzo.

I ricercatori della Scripps ricordano che la plastica in mare è ormai ovunque. «Viene estratta dalle narici delle tartarughe marine, trovata nelle acque antartiche ed è sepolta nella documentazione fossile», ma il nuovo studio suggerisce che «Potrebbero esserci un milione di volte più pezzi di plastica nell’oceano di quanto stimato in precedenza».
L’oceanografa Brandon, che dopo aver conseguito il dottorato di ricerca alla Scripps nel 2017, ora lavora come senior scientist all’Applied Ocean Sciences – LLC, ha trovato nell’acqua di mare in superficie mini-microplastiche in concentrazioni molto più elevate di quelle precedentemente misurate. Grazie a un nuovo metodo, il suo team ha scoperto che «Il modo tradizionale di contare le microplastiche marine probabilmente non calcola le particelle più piccole, suggerendo che il numero di microplastiche misurate nell’oceano è superiore da 5 a 7 ordini di grandezza».

La Brandon stima che, in media «L’oceano sia contaminato da 8,3 milioni di pezzi di cosiddette mini-microplastiche per metro cubo di acqua». Precedenti studi su pezzi di plastica più grandi avevano trovato solo 10 pezzi per m3.
La Brandon spiega. «Per anni abbiamo studiato le microplastiche allo stesso modo (utilizzando) una rete per raccogliere campioni. Ma ci è sfuggito qualcosa di più piccolo di quella rete».
infatti, la presenza e concentrazione di microplastiche in mare vengono spesso misurate strascicando o trainando dispositivi dotati di una rete con maglie abbastanza piccole abbastanza da poter filtrare il plancton, ma lo studio “A global inventory of small floating plastic debris” pubblicato nel 2015 su Environmental Research Letters e realizzato su dati provenienti da 11.000 reti utilizzate tra il 1971 e il ha dimostrato che il 90% di queste ricerche utilizzava lo stesso tipo di rete che cattura solo materie plastiche con un diametro di 333 micrometri (un terzo di millimetro).  Invece lo studio della Scripps ha trovato mini-micrplastica di soli 10 micrometri, più piccola della larghezza di un capello umano.
La National oceanic and atmospheric administration Usa (Noaa) definisce microplastica un qualsiasi frammento di materiale plastico più piccolo di 5 millimetri. Le plastiche, a base di petrolio, vengono utilizzate per produrre prodotti di ogni tipo, compresi gli indumenti che, una volta lavati, introducono microfibre di plastica che finiscono nelle acque reflue e, quando va bene, nei depuratori e di qui negli oceani.  La Brandon fa notare che «Continua a rompersi ma rimane chimicamente plastica e non ritorna a far parte dell’ecosistema».

La maggior parte delle materie plastiche sono così chimicamente resistenti che né i microbi nel suolo né l’acqua possono romperne i legami elementali. Gli scienziati sono preoccupati che le microplastiche possano sgretolarsi abbastanza da entrare nel flusso sanguigno umano, ma gli effetti della plastica sulla salute umana non sono ben noti e non sono ampiamente studiati.

Di fronte a questi dati pubblicati ormai in centinaia di studi, la Brandon e il so team hanno pensato che le mini-microplastiche fossero scarsamente campionate e che ci fosse un grande gap di conoscenza da colmare. Per farlo hanno raccolto si campioni di acqua di mare che salpe, degli invertebrati gelatinosi filtratori che aspirano acqua sia per mangiare che per smuoversi e che vivono nella colonna di acqua marina fino ai 2000 metri di profondità. I ricercatori erano convinti che avrebbero trovato mini-microplastiche negli stomaci delle salpe. E avevano ragione,

La Brandon ha collaborato con la coautrice del nuovo studio, Linsey Sala, direttrice della Pelagic Invertebrate Collection della Scripps, una delle più importanti raccolte di zooplancton marino del mondo, risalente al 1903. La Brandon ha dissezionato le salpe raccolte in diversi anni di spedizioni oceaniche e dalle reti di monitoraggio a lungo termine in tutto il Nord Pacifico. La sala sottolinea: «E’ fantastico quando gli studenti possono utilizzare le ricche e storiche rcerche e la competenza tassonomica delle collezioni della Scripps per aiutarli a rispondere ad alcune delle domande scientifiche più complesse. In passato questo materiale archiviato è stato raccolto per uno scopo completamente diverso, ma ora viene utilizzato per rispondere a un nuovo quesito sulla salute del nostro ecosistema».
Nel laboratorio Michael Landry della Scripps Oceanography la Brandon e la Freibott, (che dopo aver conseguito il dottorato di ricerca alla Scripps nel 2017 ora lavora alla comunicazione scientifica dell’United States Forest Service) hanno cercato materie plastiche nell’acqua di mare e nelle viscere delle salpe utilizzando uno speciale microscopio a fluorescenza. Infatti, la plastica si illumina quando viene esposta a diverse lunghezze d’onda della luce, il che significa che può essere facilmente vista al microscopio. Quel che hanno scoperto le due giovani ricercatrici è stato scioccante. delle 100 salpe prelevate da campioni di acqua raccolti nel 2009, 2013, 2014, 2015 e 2017, il 100% percento aveva mini-microplastiche nelle viscere. La Brandon ha commentato: «Pensavo sicuramente che alcune di loro sarebbero state pulite perché hanno un tempo di ripulitura dello stomaco relativamente rapido. Il tempo impiegato per consumare e defecare è di 2-7 ore». Ma le salpe sono filtratori e mangiano quasi sempre.

La Brandon ha allora campionato l’acqua di mare superficiale e le salpe raccolte nell’area vicino alla costa interessata dalla California Current, nel North Pacific subtropical gyre (il cosiddetto Great Pacific Garbage Patch) della California Current, il gyre subtropicale del Pacifico settentrionale (il cosiddetto Great Pacific Garbage Patch) e in una zona oceanica intermedia aperta, scoprendo che «C’era significativamente più plastica nei campioni di acqua di mare superficiale più vicini alla costa e anche le salpe in quella regione avevano alti tassi di ingestione di plastica». La Sala aggiunge: «Avevamo previsto di vedere un aumento più vicino al Garbage Patch ma non è stato così. Il motivo per cui il livello era più alto vicino alla costa potrebbe essere dovuto all’inquinamento prodotto dagli scarichi da terra».
L’ubiquità della plastica scoperta nelle salpe potrebbe avere grosse e preoccupanti implicazioni. Come fanotare la Sala, «Le salpe possono nutrirsi costantemente mentre nuotano ed espellere feci relativamente pesanti contenenti plastica che affondano sul fondo dell’oceano. La digestione delle salpe potrebbe accelerare il trasporto di plastica verso le parti più profonde dell’oceano e lungo la catena alimentare marina». Questo perché le salpe sono molto in basso nella catena alimentare oceanica e si nutrono di alcune delle più piccole creature del mare, dal nanofito al microzooplancton. Le mini-microplastiche contenute nello stomaco delle salpe potrebbero viaggiare lungo la catena alimentare finendo negli stomaci di animali che si nutrono di questi invertebrati, come le tartarughe marine e il pesce spada e il granchio reale. Alla fine, queste mini-microplastiche potrebbero farsi strada fino ad arrivare nel corpo umano.

La Brandon conclude: «Nessuno mangia salpe ma nella catena alimentare non sono distanti dalle cose che mangiamo».