Mani Tese: il vero e insostenibile costo della moda usa e getta (VIDEO)

33,4 Kg di CO2 emessi per produrre un paio di jeans, bambini che lavorano fino a 12 ore al giorno e adulti che guadagnano meno di 200 dollari al mese

[21 Giugno 2019]

Si è aperta oggi a Milano – e durerà fino al 30 giugno – “The Fashion Experience – La verità su quello che indossi”, l’installazione multimediale a ingresso libero promossa da Mani Tese, che attraverso un percorso ad alto impatto emotivo, spiega ai visitatori le conseguenze sociali e ambientali legate alla filiera produttiva dell’abbigliamento. I volontari e le volontarie di Mani Tese accompagneranno il pubblico all’interno di una struttura che si snoderà in tre differenti ambienti alla scoperta del mondo nascosto che spesso si cela dietro a un nostro paio di jeans o a una nostra maglietta.

A “The Fashion Experience” – un’iniziativa co-organizzata con il Comune di Milano e rientra nell’ambito del progetto “New Business 4 Good. Educare, informare e collaborare per un nuovo modo di fare impresa” promosso da Mani Tese in collaborazione con altri partner e cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo – sarà possibile sperimentare la pressione che l’industria del tessile esercita sull’ambiente:

Il primo dome è dedicato all’impatto ambientale della filiera tessile. In questa prima tappa le persone possono sperimentare gli effetti ambientali delle proprie scelte di consumo. Tha Fashion Experience ci rivela che per produrre un singolo paio di jeans è necessario impiegare 3.800 litri d’acqua, 12 m2 di terreno e 18,3 Kw/h di energia elettrica, a fronte di un’emissione di 33,4 kg di CO2 equivalente durante l’intero ciclo di vita del prodotto. Un impatto che assume dimensioni impressionanti se si considera che ogni anno in tutto il mondo vengono prodotti 3 miliardi e mezzo di jeans.

Il secondo dome si concentra sulle problematiche sociali legate alla filiera del tessile affrontando il tema dello sfruttamento del lavoro minorile attraverso dei video in realtà aumentata che illustrano la vita di una bambina come dovrebbe essere e come invece è in molte realtà del cosiddetto Sud del mondo. Nell’industria dell’abbigliamento i casi di sfruttamento minorile riguardano tutta la filiera, ricorda Mani Tese, e i bambini possono lavorare fino a 12 ore al giorno.

Nel terzo dome i visitatori hanno una triplice possibilità d’interazione. Possono mettere a confronto una filiera etica con una filiera non sostenibile attraverso la voce di due capi d’abbigliamento (un cappellino e un paio di sneakers) che raccontano il loro viaggio dai campi di cotone fino agli scaffali dei negozi. Possono accedere al data base “Good News – Si può fare” in cui sono raccolte le migliori storie di innovazione etica di alcune imprese. Possono, infine, interagire con i propri brand preferiti, facendosi promotori di un’evoluzione positiva del mercato attraverso l’invio di una mail di proposta di cambiamento in direzione sostenibile

A Mani Tese sottolineano che «L’industria dell’abbigliamento ha avuto una crescita vertiginosa a livello mondiale negli ultimi 15 anni. La produzione di capi di abbigliamento è quasi raddoppiata, mentre la durata media del ciclo di vita dei prodotti ha conosciuto un declino inversamente proporzionale. Si stima infatti che l’utilizzo medio di vestiti e accessori sia diminuito del 36% nel periodo 2000 – 2015, con i capi più economici che vengono indossati solo 7 o 8 volte prima di essere scartati. Fra le cause di tutto ciò, vi è sicuramente l’esplosione del fenomeno della fast fashion, caratterizzato da un’offerta ogni anno sempre più frequente di nuove collezioni di vestiti e accessori a prezzi ridotti».

Giosuè De Salvo, responsabile advocacy, campagne ed educazione di Mani Tese,  spiega che «All’aumentare del volume di produzione e di consumo sono aumentati anche gli enormi impatti di cui questa filiera è responsabile tanto dal punto di vista ambientale che da quello sociale. L’installazione “The Fashion Experience” punta a diffondere la consapevolezza e sensibilizzare rispetto al rovescio della medaglia del modello della fast fashion».

E gli impatti sociali della moda usa e getta sono altrettanto devastanti: Mani Tese evidenzia che «Si stima che la filiera rappresenti la seconda industria maggiormente esposta al rischio di forme di schiavitù moderna, in particolare di donne e minori.

De Salvo conclude: «Nell’ultimo decennio la consapevolezza di questa insostenibilità ha portato allo sviluppo di alcune innovazioni sui processi produttivi in un’ottica prevalentemente di circolarità, di risparmio delle risorse e di estensione del ciclo di vita del prodotto. Occorre però incidere in maniera più rapida e significativa sulle basi stesse del modello di business, in particolare su consumo e produzione eccessivi attraverso un cambiamento sistemico. Per cambiare l’attuale modo di fare impresa serve il coinvolgimento di tutti. Ognuno deve fare la sua parte.  ll nostro compito come società civile è quello, da una parte, di alimentare la coscienza critica dei cittadini, giovani in primis, rendendoli protagonisti attivi nella costruzione di un mondo più equo e sostenibile. Dall’altra, è quello di monitorare gli impatti delle attività di impresa sulle comunità più svantaggiate e promuovere una cultura imprenditoriale che metta finalmente al centro i diritti umani e l’ambiente. I segnali sono incoraggianti soprattutto nel settore tessile, che è stato infatti scelto per la nostra installazione, ma il tempo scarseggia.Il 2030 è l’anno fissato dalle Nazioni Unite per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, tra cui dimezzare la povertà, eliminare la fame ed evitare la catastrofe climatica. Per rendere sistemiche tutte le buone pratiche di produzione e consumo servono quindi istituzioni politiche forti e credibili che guidino la transizione e perseguano il bene comune».

Videogallery

  • THE FASHION EXPERIENCE. La verità su quello che indossi