Pm 2.5, inquinamento da 3,2 milioni di morti. In Italia 11mila vite salvabili con rispetto leggi

Il nuovo studio pubblicato su Nature e le responsabilità del mancato rispetto dei limiti

[17 Settembre 2015]

Uno nuovo studio sugli effetti da particolato fine (il Pm 2.5), appena pubblicato su Nature, aggiorna le stime sulla mortalità indotta da questo particolare – e assai diffuso – tipo di inquinamento. Ad oggi si individuano in più di 3,2 milioni le vite prematuramente spezzate a livello globale dal Pm 2.5, un numero destinato a più che raddoppiare (fino a 6,6 milioni) da qui al 2050 in assenza di adeguati interventi contenitivi.

Numeri che arrivano da ricercatori del Max Planck institut e dalla Harvard school of public health, e che evidenziano come l’imposizione di limiti normativi all’inquinamento (e il loro rispetto) influenzino pesantemente il numero delle potenziali vittime; il problema del Pm 2.5 è infatti particolarmente acuto in Asia – dove i vincoli sono assai minori –, mentre Europa e Usa ne sono soggette in misura minore, per quanto importante.

«A livello globale – sintetizza l’edizione italiana di Scientific american – la principale fonte di inquinamento atmosferico esterno è quella residenziale, ossia il combustibile usato per il  riscaldamento e la cucina, e lo smaltimento dei rifiuti», mentre la seconda fonte di inquinamento da PM2,5 secondo la ricerca pubblicata su Nature è l’agricoltura, «a causa della trasformazione in particelle di nitrato e solfato di ammonio dell’ammoniaca rilasciata dai fertilizzanti e dal bestiame degli allevamenti. Secondo i ricercatori, le fonti agricole sono la principale causa di mortalità prematura  in  Russia, Turchia, Corea e Giappone, manche negli Stati Uniti orientali, e in Europa, dove in molti paesi contribuiscono fino al 40 cento circa delle morti premature. Il traffico si attesta invece al terzo posto».

Altri ricercatori contestano la classifica di demerito, puntando il dito sulle maggiori responsabilità del traffico e uno minore per quanto riguarda l’agricoltura. Tutt’altro che valutazioni di lana caprina, in quanto da altri studi risulta come le concentrazioni globali di Pm 2.5 siano in crescita pressoché ininterrottamente dal 1998 a oggi (con un aumento in media del 2,1% all’anno), e lo saranno per altro tempo ancora.

Per quanto riguarda l’Italia in particolare, come ebbero a evidenziare alcune associazioni ambientaliste in una lettera spedita al ministero dell’Ambiente a inizio estate, secondo i dati raccolti dal progetto di Valutazione integrata dell’impatto dell’inquinamento atmosferico sull’ambiente e sulla salute realizzato nel quadro delle iniziative del Centro controllo malattie del ministero della Salute, l’inquinamento atmosferico è «responsabile ogni anno nel nostro Paese di circa 30mila decessi solo per il particolato fine (PM 2.5), pari al 7% di tutte le morti esclusi gli incidenti; un bilancio salato di vite, cui si aggiungono i costi economici dell’incremento delle patologie, dei ricoveri e del ricorso alle cure farmacologiche. In Italia i costi collegati alla salute derivanti dall’inquinamento dell’aria si stimano fra i 47 e i 142 miliardi nel 2010».

Numeri drammatici, che suggeriscono azioni decise. Certo non avrebbe senso inserire tra queste ipotesi di una chiusura in blocco del traffico autostradale (o uno stop sine die alle attività agricole industriali), ma il solo rispetto delle regole darebbe risultati non trascurabili: «L’inquinamento accorcia mediamente la vita di ciascun italiano di 10 mesi e il solo rispetto dei limiti di legge salverebbe 11mila vite all’anno».