Ecco JCVI-syn3.0, il genoma minimo artificiale per la vita realizzato in laboratorio

Passo avanti per la biologia sintetica e nello sforzo di costruire organismi artificiali

[25 Marzo 2016]

Science pubblica lo studio “Design and synthesis of a minimal bacterial genome” nel quale il team californiano del Craig Venter Institute di La Jolla  rivela di aver a progettato e realizzato il più piccolo genoma batterico in grado di sostenere la vita: 473 geni, compresi, come spiega Le Scienze   «quelli necessari per l’espressione dei geni stessi e quelli che codificano per proteine “universali”, che si ritrovano in molti esseri viventi. Restano però ancora sconosciute, almeno nei dettagli le funzioni del 31 per cento dei geni di questo genoma minimo».
Il leader del progetto, il biologo sintetico Craig Venter, ci lavora da 20 anni  insieme al microbiologo Clyde Hutchison, si tratta infatti dello stesso team di ricercatori statunitensi che nel 2010 aveva ottenuto la prima cellula batterica sintetica in grado di replicarsi autonomamente e con il genoma progettato al computer, assemblato con le attuali tecniche di chimica e poi trapiantato in una cellula ricevente.

Venter e i suoi colleghi hanno poi cercato di sintetizzare questa cellula minimale, con solo i geni necessari a sostenere la vita nella sua forma più semplice, per riuscire ad av ere un “mini laboratorio” che possa farci comprendere meglio le funzioni genetiche di base. Ci sono riusciti utilizzando utilizzato i batteri Mycoplasma, che hanno i più piccoli genomi in grado di replicarsi, e la loro creatura è stata chiamata JCVI-syn3.0, un genoma batterico sintetico che è più piccolo di qualsiasi cosa presente in natura ma che comprende tutti i geni coinvolti nella traduzione e nell’espressione dell’informazione genetica, molti geni, presenti anche nel genoma di altri organismi, che probabilmente codificano per proteine di utilità universale per la vita, e molti altri geni  che costituiscono circa il 3% del genoma ma che hanno funzioni ancora in gran parte sconosciute.

Su Le Scienze Red evidenzia che «Sulla base della letteratura esistente, gli autori hanno progettato un genoma costituito da otto differenti segmenti, in modo da poter verificare, in modo relativamente semplice, quali geni fossero essenziali e quali, tra quelli non essenziali, servissero solo a una crescita sostenuta. Questa verifica è stata effettuata cambiando la sequenza nucleotidica originaria dei geni con l’inserimento di sequenze di DNA estraneo, i cosiddetti trasposoni. Se le funzioni cellulari venivano irrimediabilmente alterate da questa manipolazione, il gene era considerato essenziale per la vita batterica; in caso contrario, era giudicato superfluo ed eliminato dal genoma. Procedendo gene per gene, gli autori hanno infine ridotto il genoma alla sua  struttura più semplice. Un dato estremamente interessante emerso dall’analisi è che in alcuni casi l’alterazione di un gene non produceva danni solo perché ne esisteva un duplicato con funzioni pressoché identiche. La presenza di uno dei due era dunque essenziale alla vita, e ha dovuto necessariamente fare parte del genoma minimo».

Su Gizmodo, George Dvorsky scrive che JCVI-syn3.0 «rappresenta anche un passo avanti  importante nel settore emergente della biologia sintetica e nello sforzo di costruire organismi artificiali. I ricercatori potrebbero usarlo come un modello di base per la costruzione di nuovi organismi con funzioni che non si vedono in natura, tra cui batteri che possono mangiare i rifiuti di plastica e tossici, microrganismi che funzionano come i farmaci all’interno del corpo e biocarburanti costituiti da componenti organici. Più concettualmente, questo lavoro potrebbe aiutare gli astrobiologi prevedere quali tipi di forme di vita aliene potrebbero esistere altrove nel cosmo».