Ecco quali sono le microplastiche più abbondanti nelle acque costiere del Mediterraneo

La fauna marina minacciata dalla civiltà della plastica

[1 Marzo 2019]

Polietilene, polipropilene e polistirene sono i tipi di microplastiche più abbondanti nelle acque costiere del Mediterraneo. E’ quanto emerge dal nuovo studio “Floating microplastics and aggregate formation in the Western Mediterranean Sea” pubblicato su Marine Pollution Bulletin da esperti Miquel Canals, William P. de Haan, e Anna Sanchez-Vidal, del GRC Geociències Marines, Departament de Dinàmica de la Terra i de l’Oceà, Universitat de Barcelona, e che descrive la presenza di diversi tipi di microplastiche nella costa mediterranea. In particolare in Catalogna, Murcia e Almeria.

Secondo i risultati, dello studio «Sono abbondanti anche nylon, poliuretano (PUR), polietilene tereftalato (PET), etilene vinil acetato (EVA), polivinilcloruro (PVC), crilonitril butadiene stirene (ABS) e polimeri di fluorocarbonio».  I ricercatori catalani hanno anche identificato per la prima volta la presenza di materiali plastici di origine marina – in particolare, particelle di vernice provenienti da navi – non molto studiate finora nel bacino del Mediterraneo.

All’ Universitat de Barcelona spiegano che «Cilindri e sfere (pallini), polistirene espanso, filamenti derivati ​​da attrezzi da pesca e abbondanti grossi frammenti di plastica di varia composizione chimica sono tra i materiali presenti sulle coste del Mediterraneo. Nel quadro della ricerca, sono stati analizzati circa 2.500 campioni di materiali plastici ottenuti in diverse campagne oceanografiche lungo un asse nord-sud in ciascuna delle aree di studio. In tutte le aree studiate frammenti di polietilene (54,5%), polipropilene (16,5%) e polistirene (9,7%) – i polimeri termoplastici più prodotti nel mondo -, galleggiante abbondanti nell’acqua marina e probabilmente provengono dal continente».

De Haan, il principale autore dello studio, sottolinea che «Fino ad ora, nessuno studio scientifico era stato in grado di verificare in dettaglio il tempo di permanenza della plastica nel mare prima che si degradi o affondi». Le microplastiche presenti sulle coste della penisola mediterranea sono arrotondate, di dimensioni molto piccole – circa un millimetro – e di basso peso specifico, e questo potrebbe indicare uno stato di degrado avanzato e, quindi, una lunga permanenza nell’ambiente marino».

Lo studio ha individuato delle aree lungo la costa iberica con concentrazioni massime fino a 500.000 microplastiche per chilometro quadrato (mp/km2), un valore molto superiore al valore medio, che è 100.000 mp / km2. Secondo de Han, «Questi risultati sono coerenti con quelli di studi fatti in altre regioni del Mediterraneo, un ecosistema marino considerato uno dei più grandi pozzi di microplastiche galleggianti del  mondo».

La grande diversità di  composizione e colore delle microplastiche presenti nel Mediterraneo spagnolo. così come le differenze di concentrazione, indicano origini e volumi diversi in base al tratto di costa considerato. Le plastiche non sempre hanno la stessa composizione e la Sanchez-Vidal evidenzia che  «Le loro caratteristiche e fisiche e chimiche e le condizioni dell’ambiente marino, determinano il destino delle microplastiche in acqua, Nel caso dei frammenti più grandi, la densità del materiale plastico è un fattore determinante. Se parliamo di una microplastica, le dinamiche sono molto più complesse. In aggiunta, la densità dell’acqua di mare varia secondo  vari fattori – temperatura, salinità, posizione geografica, profondità- e questo influenza direttamente la galleggiabilità delle microplastiche»

Lo studio descrive per la prima volta il grande potenziale delle microplastiche – specialmente di quelle più piccole di forma angolare – da integrarsi negli aggregati organici marini, formati da particelle di origine organica e minerale.  Cone rivela per la prima volta lo studio, «Questa interazione – che fino ad ora era stata descritta solo in laboratorio – è un fenomeno che si verifica naturalmente nell’ambiente marino. Pertanto, il 40% delle microplastiche (in quantità) e il 25% (in massa) possono formare questi aggregati marini. Questo processo potrebbe facilitare l’affondamento e l’accumulo di microplastiche poco dense nei fondali marini, un ambiente lontano dall’unico agente in grado di degradarli: la luce ultravioletta della radiazione solare».

Sanchez-Vidal spiega a sua volta che «Quasi il 66% delle microplastiche che abbiamo trovato negli aggregati marini – polietilene, polipropilene e polistirene espanso – sono polimeri con una densità inferiore all’acqua di mare. Questa ipotesi potrebbe spiegare la presenza di microplastiche a bassa densità nelle grandi profondità oceaniche in tutto il mondo, e perché l’abbondanza di plastica che galleggia sulla superficie dell’oceano è inferiore al previsto».

Spesso, le materie plastiche che galleggiano sulla superficie del mare vengono ingerite dagli organismi marini, che le confondono con il cibo. Anche lo zooplancton è in grado di ingerire ed espellere microplastiche e di espellerle sottoforma di pellets fecali che possono raggiungere il mare profondo. E’ una situazione nota – e non molto studiata – negli ecosistemi marini.  Inoltre, a parte gli additivi che contengono, le microplastiche possono incorporare nella catena trofica dei composti tossici presenti nell’acqua di mare (metalli, policlorobifenili, contaminanti organici e altri). Trasportati dalle correnti marine, questi materiali plastici possono anche diventare veicoli di dispersione di specie invasive e organismi patogeni.

I ricercatori catalani concludono: «I cambiamenti climatici, la pesca, il trasporto marittimo, l’esplorazione e lo sfruttamento di idrocarburi e i rifiuti industriali sono tra le più grandi minacce per il futuro dei sistemi costieri e marini  del Mediterraneo. Proteggere e migliorare la qualità ambientale del Mar Mediterraneo è, inevitabilmente, una priorità della politica ambientale europea e dell’agenda scientifica».