Gaza ha ricevuto solo il 5% degli aiuti promessi. La ricostruzione nemmeno cominciata

I soldi dei donatori occidentali e arabi non arrivano e la popolazione vive in condizioni terribili

[19 Febbraio 2015]

L’estate scorsa la Striscia di Gaza è stata devastata da 50 giorni di guerra con Israele ma, secondo l’agenzia stampa umanitaria dell’Onu Irin, al territorio palestinese controllato da Hamas è arrivato poco più del 5% dell’aiuto solennemente promesso dalla comunità internazionale.

Nell’attacco israeliano a quella che è considerate la più grande prigione a cielo aperto del mondo morirono  almeno 2.000 palestinesi, in maggioranza civili, e vennero distrutte 100 000 abitazioni. 6 mesi dopo l’accordo di cessate il fuoco, molte famiglie di Gaza vivono ancora in alloggi di fortuna. Eppure 5 mesi fa i leader mondiali avevano promesso di finanziare con più di 5 miliardi di dollari la ricostruzione, il recupero urbano e le infrastrutture pubbliche. Ma secondo l’inchiesta di Irin, che riferisce quanto detto da fonti  dell’ufficio del vice-premier palestinese Mohammad Mustafa, responsabile della ricostruzione di Gaza, sono stati sbloccati solo «Circa 300 milioni di dollari. I progetti ritardati a causa della mancanza di d finanziamenti sono di progetti di ricostruzione importanti, in particolare dei progetti di ricostruzione di alloggi e di trade».

L’amministrazione palestinese conferma così quanto detto dal direttore dell’ dell’United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East (Unrwa)  Robert Turner: «Gaza non ha ricevuto quasi nessun contributo».

Dopo il devastante attacco israeliano, alla Conferenza del Cairo le potenze mondiali e gli Stati arabi avevano promesso 5,4 miliardi di dollari, addirittura più dei 4 miliardi di dollari chiesti dall’Autorità palestinese. «Circa 2,8 miliardi di dollari erano stati promessi per finanziare I tre primi anni di ricostruzione – spiega Irin – Ma solo una parte della somma è stata sbloccata». Il problema è che è molto difficile sapere quali Paesi avevano promesso qui soldi e il sito internet della Conferenza del Cairo, organizzato dall’Egitto e della Norvegia, non fornisce alcun dettaglio sui contributi.

Irin ha quindi chiesto ai norvegesi una lista completa dei contributi, ma Frode Overland Anderson, il portavoce del ministero degli esteri di Oslo, ha risposto che «E’ impossibile fornire una lista completa e dettagliata delle promesse registrate durante la conferenza del Cairo. In parte perché i donatori di fondi non hanno fornito liste dettagliate dei loro contributi e in parte perché le condizioni sul terreno ostacolano il versamento di nuovi aiuti».

Ma in molti credono che dietro questi ritardi ci sia lo zampino del regime civile/militare egiziano impegnato attualmente nella Guerra in Libia e che non ha nessuna simpatia per il governo islamista di Hamas a Gaza, considerato vicino ai Fratelli Musulmani egiziani. Ambienti Onu fanno un paragone con la situazione siriana  e sottolineano che «Quando il Kuwait ha organizzato la conferenza sulla Siria, il segretariato ha osservato delle procedure stringenti per assicurarsi che il denaro fosse versato, invitando soprattutto i donatori di fondi alle riunioni. L’Egitto non ha fatto niente». Le autorità del Cairo si sono anche rifiutate di rispondere alla domande di Irin.

Solo a metà gennaio, cioè a ridosso della riunione dei donatori che si terrà a marzo, il governo di centro-destra della Norvegia ha ufficialmente chiesto alla Banca mondiale di determinare quanti fondi per Gaza siano stati davvero sbloccati. Secondo Lau Jorgensen, che si occupa per la Banca mondiale della Striscia di Gaza e della Cisgiordania, «Il processo comprenderà un rapporto (…) che rileverà i diversi canali di esborso dei contributi destinati alla ricostruzione di Gaza e il calendario degli esborsi. Valuterà in quale misura i donatori di fondi abbiano onorato le loro promesse e presenterà una lista dettagliata della promesse per l’auito di bilancio e la ricostruzione di Gaza». Insomma, nessuno sa ancora niente.

Un diplomatico europeo a ha ammesso con Irin che poco o niente è stato versato del molto promesso alla Conferenza del Cairo e in altre occasioni: «Queste conferenze di annunci di contributi spesso hanno come risultato più promesse che atti. Non credo di aver visto una conferenza di annunci di contributi in cui tutte le promesse siano state mantenute».

Ma già al Cairo si respirava scetticismo tea i donatori di fondi, convinti che si sarebbe finanziata la ricostruzione della Striscioa di Gaza che probabilmente poi verrà distrutta da un’altra guerra, mentre non si cerca davvero una soluzione durevole al conflitto israelo-palestinese.

Se Hamas ed al Fatah hanno trovato un accordo politico  dopo 7 anni di divisioni, il nuovo governo “tecnico” palestinese non si è ancora installato a Gaza, dove governa ancora Hamas, considerata un’organizzazione terroristica dagli Usa e da Israele (e accusata di complicità coi jihadisti dall’Egitto), il che non piace a diversi donatori occidentali che aspettano che l’Autorità palestinese si installi a Gaza. Anche gli ambienti vicini al vice-premier palestinese ammettono che «Alcuni donatori di fondi esitano a mantenere le loro promesse perché gli accordi di riconciliazione sembrano in un’impasse. Ma il governo palestinese pensa che gli sforzi di ricostruzione devono proseguire, qualunque siano i progetti compiuti nella messa in opera dell’accordo».

Comunque, tutti quelli che sono stati sentiti per l’inchiesta di Irin hanno riconosciuto che «Il meccanismo di pilotaggio della ricostruzione negoziato dalla Nazioni Unite, che ha l’obiettivo di permettere le importazioni di materiali da costruzione nella Striscia di Gaza e che risponde totalmente alle preoccupazioni di Israele in materia di sicurezza, funziona. Ma il blocco più ampio instaurato da Israele sui Gaza è sempre in atto». La stessa Norvegia sottolinea che «E’ sempre difficile importare quantità sufficienti di materiali da costruzione a Gaza».

Il diplomatico Ue sentito da Irin dice che le preoccupazioni di Israele – in piena campagna elettorale segnata da un forte nazionalismo identitario – per la sicurezza delle sue frontiere si aggiunge all’instabilità politica a Gaza e ricorda che «E’ un fatto che una gran parte dei contributi promessi al Cairo fossero condizionati  all’indebolimento del blocco israeliano, perché gli abitanti possano spostarsi liberamente non dimenticando le questioni di sicurezza e perché l’Autorità palestinese possa godere di una maggiore autorità nella Striscia di Gaza- Questi due problemi complicati non sono stati trattati in maniera da lasciar pensare che valga la pena per il momento  di donare denaro».

Non si vedono nemmeno i petrodollari promessi dalle monarchie assolute sunnite del Golfo al Cairo: il Qatar aveva promesso  circa un miliardo di dollari, gli Emirati Arabi Uniti 200 milioni e l’Arabia Saudita 500 milioni, ma ora dicono di aspettare un cambiamento politico a Gaza, ma se non vogliono finanziare Hamas potrebbero almeno fornire materiali per la ricostruzione, aiuti e servizi alla popolazione di Gaza allo stremo.

Con I pochi fondi a disposizione si sono ricostruiti qualche scuola e dispensario sanitario e fatte le riparazioni urgenti sulla reti elettrica, idraulica e fognaria ed anche le macerie provocate dai bombardamenti israeliani iniziano ad essere rimosse.  Però il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri, ha detto all’Irin di non vedere molti progressi: «Gli abitanti di Gaza non vedono che nessuno sforzo reale sia stato realizzato per cominciare le operazioni di ricostruzione, eccetto piccole somme per riabilitare, restaurare e riparare qui e là».

I progetti più grossi, come la ricostruzione di strade e di infrastrutture economiche, sarebbero praticamente pronti, ma non prenderanno il via se non arriveranno i soldi, come conferma Anderson: «Anche se il sistema dell’Onu fa del suo meglio per rispondere ai bisogni a breve termine, la prosecuzione della messa in opera necessiterà di un versamento  rapido di contributi finanziari dei donatori di fondi».

Secondo i palestinesi di Gaza «Converrebbe ricordare ai donatori di fondi che gli abitanti di Gaza vivono in condizioni terribili e che il fatto di non iniziare i lavori di ricostruzione potrebbe avere un impatto negativo sulla e la stabilità della regione», che anche ora non è davvero molto stabile…