Nuovi record per il commercio ittico mondiale. Che fare dei sottoprodotti?

Ma piccoli pescatori e acquacoltori hanno bisogno di sostegno per accedere ai mercati

[21 Febbraio 2014]

Secondo i dati preliminari pubblicati in vista della riunione della Sotto-Commissione Fao sul Commercio Ittico, che si terrà dal 24 al 28 febbraio a Bergen, in Norvegia, «La produzione ittica globale da pesca di cattura selvatica e da acquacoltura si prevede stabilirà un nuovo record nel 2013 con 160 milioni di tonnellate, in aumento dalle 157 milioni di tonnellate dell’anno scorso, mentre le esportazioni raggiungeranno i 136 miliardi di dollari».  La Fao sottolinea che «La forte espansione del commercio mondiale di prodotti ittici sta generando molta più ricchezza che in passato, ma i Paesi devono aiutare i piccoli pescatori e gli acquacoltori a poterne beneficiare anch’essi».

La produzione da acquacoltura raggiungerà circa 67 milioni di tonnellate nel 2012 e le proiezioni per il 2013 prevedono 70 milioni di tonnellate, il 44% della produzione ittica totale e il 50% destinato al consumo umano diretto.

Le quote di mercato sono così suddivise: gamberi 15%, salmoni e trote 14%, pesci demersali (merluzzi, eglefino. Ecc.) 10%, tonni 9%. cefalopodi (polpi, calamari e seppie) 3%, farine di pesce 3%, olio di pesce 1%.  I tre più grandi esportatori nel 2013 sono stati Cina, 19,6 miliardi di dollari, Norvegia, 10,4 miliardi $, Thailandia 7 miliardi $. Thailand. I tre più grandi importatori, sono: Usa 19 miliardi $, Giappone 15,3 miliardi $ e Cina 8 miliardi $.

Audun Lem, responsabile della sottodivisione Fao  – Prodotti, scambi e commercializzazione, evidenzia un altro aspetto del boom dell’allevamento di pesci e crostacei: «I dati record sul commercio riflettono la forte crescita della produzione dell’acquacoltura e i prezzi elevati di un certo numero di specie come il salmone e i gamberetti. Questa crescita è sostenuta da una domanda stabile di prodotti ittici proveniente dai mercati mondiali. E’ notevole la percentuale di produzione ittica scambiata a livello internazionale, nel 2013 sarà intorno al 37%. Questo rende il settore della pesca una delle industrie più globalizzate e dinamiche della produzione alimentare mondiale».

I Paesi in via di sviluppo nel 2012 hanno continuato ad avere un ruolo importante nella fornitura ai mercati mondiali: il 61% di tutte le esportazioni di pesce e al 54% in valore. I loro ricavi netti da esportazioni (esportazioni meno importazioni) ha raggiunto i 35,3 miliardi di dollari, una cifra superiore a quella di altri prodotti agricoli combinati tra cui il riso, la carne, il latte, lo zucchero e le banane.

Ma la Fao avverte che la globalizzazione/industrializzazione dell’industria ittica fa emergere un altro problema: «I vantaggi del commercio internazionale non sempre arrivano alle comunità di pescatori su piccola scala, anche se piccoli pescatori e acquacoltori costituiscono circa il 90% della forza lavoro globale del settore». Per questo l’agenzia per il cibo e l’alimentazione dell’Onu  «Esorta i paesi ad aiutare i pescatori su piccola scala e i lavoratori ittici – circa la metà dei quali sono donne – a superare ostacoli come la mancanza di potere contrattuale e di accesso al credito, difficoltà nel rispetto delle normative di accesso ai mercati e le carenti infrastrutture commerciali, in modo da poter accedere ai mercati locali, globali e soprattutto a quelli regionali».

Lem sottolinea che «Ci sono al momento interessanti opportunità nei mercati regionali.  Economie emergenti come il Messico, il Brasile, l’Indonesia e la Malesia richiedono maggiori forniture di prodotti ittici e guardano ai mercati vicini per soddisfare questa accresciuta domanda interna. Allo stesso tempo , questa crescente domanda stimola nuovi investimenti nella produzione locale di acquacoltura, anche in Africa. I Paesi devono fornire ai pescatori su piccola scala accesso alla finanza, alle assicurazioni, alle informazioni sul mercato, investire nelle infrastrutture, rafforzare le organizzazioni dei produttori e dei commercianti, e garantire che le politiche nazionali non sottovalutino o indeboliscano il settore della pesca su piccola scala».

Ma più pesci per l’esportazione significano anche più sottoprodotti come teste, visceri e dorsali  che potrebbero potenzialmente essere trasformati in prodotti di valore anche per il consumo umano e Lem evidenzia: «Dobbiamo garantire che tali sottoprodotti non siano sprecati non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello nutrizionale. I sottoprodotti spesso hanno un valore nutrizionale superiore ai filetti, soprattutto in termini di acidi grassi essenziali, vitamine e minerali, e possono costituire un ottimo strumento di lotta contro le carenze di micronutrienti nei Paesi in via di sviluppo. Già si stanno aprendo nuovi mercati per i sottoprodotti. C’è una crescente domanda di teste di pesce in alcuni mercati asiatici e africani, ma vi è anche la possibilità di utilizzare teste di pesce e ossa per soddisfare la crescente domanda globale di olio di pesce e di integratori minerali. Esiste inoltre un grande potenziale di utilizzare i sottoprodotti per produrre la farina di pesce e l’olio di pesce come mangime per l’acquacoltura e per il bestiame, contribuendo così indirettamente alla sicurezza alimentare. Ciò consentirebbe di destinare alcuni dei pesci interi oggi utilizzati per mangimi e produzione di olio al consumo umano diretto».