Legambiente: «Approvare al più presto anche in Senato il disegno di legge Salvamare, promuovere ricerca scientifica, riciclo e produzione di materiali meno impattanti e consentire al mondo della pesca e dell’acquacoltura di essere protagonisti nella lotta al marine litter»

Sulle spiagge europee ogni anno più di 11.000 tonnellate di rifiuti provenienti da pesca e acquacoltura

Negli ultimi 6 anni Beach Litter di Legambiente ha censito oltre 10.000 reti per la coltivazione di mitili spiaggiate

[8 Novembre 2019]

Oggi al convegno “Marine litter e blue economy, impatti e soluzioni dal mondo della pesca e dell’acquacoltura”, tenutosi nell’ambito della 23a edizione di Ecomondo, in corso a Rimini, Legambiente ha presentato nuovi impressionanti dati sul marine litter: «Oltre 11mila tonnellate ogni anno recuperate soltanto lungo le coste: circa un terzo dei rifiuti in plastica rinvenuti sulle spiagge europee è rappresentato da attrezzi provenienti da attività di pesca e acquacoltura, persi o abbandonati che contribuiscono in maniera sempre più rilevante all’emergenza del marine litter». E in Italia non va meglio: «Negli ultimi sei anni Legambiente ha monitorato nel corso dell’indagine Beach litter oltre 10mila retine per la coltivazione dei militi, una media di 31 pezzi ogni 100 metri di arenile, con punte di presenza in alcune spiagge di oltre il 70% dei rifiuti complessivi».
E purtroppo quello visibile sui nostri litorali è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno ben più ampio. Il Cigno Verde sottolinea che «Come testimoniano anche i numeri dei diversi progetti sperimentali di Fishing for litter realizzati negli ultimi anni, tra cui quello realizzato da Legambiente a Porto Garibaldi (Fe): l’80% dei rifiuti “pescati” in sei mesi è rappresentato da calze in plastica. Progetti che ora potrebbero trovare finalmente applicazione nella legge “SalvaMare” che attende il via libera dal Senato. E se da un lato il settore della pesca e dell’acquacoltura sono responsabili di questo fenomeno, dall’altro subiscono, a loro volta, l’impatto dai rifiuti dispersi nell’ambiente marino.
L’associazione ambientalista evidenzia che «Se ridurre e riciclare deve essere la priorità, sia per prevenire nuovi apporti di rifiuti in mare che per rendere più gestibile il problema dei rifiuti a terra, oggi è possibile anche approfittare del lavoro quotidiano dei pescatori per rimuovere parte di rifiuti che sono già dispersi nell’ambiente marino, specialmente sui fondali (il 70% dei rifiuti che entrano nell’ecosistema marino affondano). Per farlo però è necessario mettere i pescatori nelle condizioni di riportare a terra i rifiuti che pescano accidentalmente, agevolando il conferimento e soprattutto evitando di sanzionarli per un’attività che, ad oggi, non è normata dalle leggi italiane».
Intervenendo al convegno, il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani, ha dichiarato: «Auspichiamo una rapida approvazione anche in Senato del disegno di legge “SalvaMare” –Si tratta sicuramente di un primo tassello importante, ma che da solo non basta per contrastare l’inquinamento dai rifiuti che colpisce pesantemente il mare, una sfida mondiale a cui l’Italia sta dando il proprio contributo anticipando spesso gli altri paesi europei. Ad oggi, ad esempio, non c’è ancora nessun controllo o regolamentazione della gestione a fine vita delle calze da mitilicoltura e mancano molto spesso i siti di stoccaggio nei porti oltre a procedure ben definite di riciclo. L’Italia ha un’occasione unica per dare un contributo concreto allo sviluppo della blue economy, un modello di business sostenibile capace di generare un impatto positivo e di lungo termine soprattutto sulla salute dei nostri oceani e sullo stesso impatto economico del settore. La stessa direttiva europea sul monouso prevede la responsabilità estesa dei produttori degli attrezzi da pesca che ci auguriamo venga applicata anche in Italia, oltre a controlli accurati sul rientro a terra delle retine usate per evitarne l’abbandono in mare».
Ma l’incontro di oggi è servito anche a illustrare sperimentazioni o azioni di mitigazioni interessanti, già in atto in alcune aree, e che he vanno incoraggiate, come la filiera virtuosa di recupero adottata dai mitilicoltori spezzini, coinvolti anche nelle e le ricerche attivate dall’Università di Siena e Novamont per la produzione e l’impiego di retine biodegradabili e compostabili.
L’efficacia del fishing for litter è dimostrata da alcuni progetti sperimentali, come quello condotto da Legambiente Emilia-Romagna a Porto Garibaldi (Fe), dove i pescatori – nell’arco di sei mesi – hanno portato a terra oltre tre tonnellate di rifiuti, per un totale di 26.112 rifiuti censiti: l’80% dei rifiuti raccolti è rappresentato da calze in plastica per l’allevamento delle cozze, per un totale di oltre 20mila retine. Ma sono diverse le sperimentazioni attive in tutta Italia su questo fronte grazie anche al contributo di Legambiente: attività che hanno permesso non solo di ripulire i nostri fondali, ma di raccogliere dati importanti per lo studio del fenomeno.
A dimostrazione dell’entità del problema ci sono anche i dati dell’indagine Beach Litter di Legambiente in base ai quali «Le retine risultano tra i rifiuti più presenti ogni anno in cui viene svolto lo studio: solo durante la l’edizione 2017 della campagna sono state rinvenute 4470 calze, presenti in 27 delle 60 spiagge percorse dai volontari dell’associazione. Le spiagge più colpite risultano, in tutte le edizioni, quelle sul versante Adriatico, in particolare il dato più alto è stato registrato sulla spiaggia di Isola Varano, nel comune di Ischitella (FG), in cui le retine erano il 73% di tutti i rifiuti registrati (nel 2017); a Pesaro (nel 2019), sulla spiaggia di Sottomonte Ardizio e a Taranto, sulla spiaggia presso il Parco Cimino, nel 2018 le retine rappresentavano il 50% dei rifiuti monitorati. Un’altra spiaggia particolarmente colpita tra quelle monitorate dai volontari di Legambiente è quella di Canovella de’ Zoppoli, a Duino Aurisina (TS) sulla quale nelle edizioni della campagna dal 2016 al 2019 sono state rilevate calze da mitilicoltura per oltre un terzo dei rifiuti registrati ogni anno di monitoraggio».
Secondo gli studi condotti nell’ambito del progetto DeFishGear sul marine litter che si occupa del Mare Adriatico e di tutti i Paesi che vi si affacciano, «Le reti per mitilicoltura sono al settimo posto della top 20 oggetti rinvenuti sulle spiagge dell’area di studio. Questi sono anche il terzo rifiuto più abbondante (8,4%) registrato nei monitoraggi effettuati sul fondale marino, con una densità pari a 49 calze su chilometro quadrato. Sul territorio italiano, la densità registrata è stata particolarmente alta, pari a 73 calze ogni chilometro quadrato di fondale».
Legambiente segnala anche il progetto Clean Sea Life, cofinanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma LIFE e che vede come capofila il Parco Nazionale dell’Asinara con i partner CoNISMa, Fondazione Cetacea, Legambiente, MedSharks e MPNetwork, grazie al quale dal 2016 si stanno portando avanti azioni di sensibilizzazione e la diffusione di buone pratiche di gestione fra gli operatori e le autorità locali, regionali e nazionali per contrastare l’accumulo dei rifiuti marini lungo le coste italiane. Tra le attività proprio la “pesca di rifiuti”. Legambiente sottolinea che «Soltanto durante le prime quattro giornate di sperimentazione, svolte tra giugno e luglio 2018 nei porti di Porto Torres, Rimini, San Benedetto del Tronto e Manfredonia, è stato possibile coinvolgere 34 pescherecci e recuperare 1.534 kg di rifiuti, in gran parte plastica. Nelle reti a strascico sono stati rinvenuti attrezzi da pesca, copertoni, bottiglie, sacchetti, teli e stoviglie di plastica, tubi, boe, secchi di vernice e una quantità notevole di retine per mitilicoltura. A Manfredonia, in particolare, sono state pescate 390 chili di retine, circa il 75% del totale dei rifiuti raccolti».