Il trattamento dei detriti radioattivi di Fukushima. L’incubo e l’illusione

22 milioni di metri cubi di suoli e detriti contaminati da smaltire, dopo averne incenerito gran parte

[3 Agosto 2016]

Il corrispondente dal Giappone di Reséau “Sortir du Nucléaire”, Janick Magne, spiega quel che succede alle centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti radioattivi derivanti dalla catastrofe nucleare di Fukushima Daiichi.

 

Dentro nubi di polvere, I camion si seguono in un balletto regolare Questo striscia, questo sgranocchia, questo scricchiola. Le benne si sollevano, I motori rombano, les portiere sbattono, i gruppi elettronici ronzano. Si sentono poche voci. Qui non si parla, si agisce. Strano spettacolo questa animazione concentrata al centro di un’immensa estensione desertificata dove o sguardo si ferma solo all’orizzonte delle montagne boscose  e milioni di sacchi di detriti impilati e a perdita d’occhio, sormontati da un vasto cielo punteggiato di nubi scintillanti. Nessuna costruzione ostacola la vista. Si innalzano solo un po’ dappertutto delle file di palizzate bianche, di grigliature verdi  o di pannelli a strisce sottili di legno che sono già a pezzi, dietro i quali si ammassano dei sacchi neri. Lontani, dei camion-gru.

Benvenuti a Fukushima, in una delle aree di conferimento, selezione e stoccaggio dei terreni e dei detriti contaminate durante l’incidente nucleare di Fukushima : terreni iniettati con cesio-137, vegetali, materiali diversi, materiali da costruzione, tronchi d’alberi, centinaia di migliaia di tute protettive….

A fine  2015, restavano ufficialmente più di 9 milioni di sacchi da 1 m3 ancora dispersi su  114.700 siti in tutta la prefettura di Fukushima. Questi sacchi da cantiere vengono preparati nei villaggi, nelle risaie, nei giardini, nei cortili delle scuole, nei parchi gioco, nei parchi. Raccolti da camion, vengono verso immense zone di stoccaggio provvisorio all’aria aperta, con un’altezza di quattro file, circondati e ricoperti da una fila supplementare di sacchi di terra non radioattiva, formano dei monticelli che si estendono a perdita d’occhio. Protetti da teloni verdi per preservare la loro tenuta e non contaminare l’acqua piovana per contatto, finiscono per fondersi col paesaggio. Il problema è che la loro durata di vita è da  3 a 5 anni. Prima li avevano seppelliti in luoghi pubblici: un telo sul fondo di un buco, dove si accumulavano i sacchi, un secondo telo sopra, il tutto ricoperto di 50 cm di terra pulita. Sono stati spediti anche ai quattro angoli del Giappone. Sono diventati un incubo.

Oggi, il governo Giapponese ha fatto la scelta di riunire questi rifiuti radioattivi, di bruciarne una buona parte, di stoccarne le ceneri e di dichiarare abitabili le aree parzialmente decontaminate. Nel 2014, il ministero dell’ambiente annunciò che avrebbe creato uno spazio di stoccaggio provvisorio di  16 km2 su l territorio delle due città condannate: Okuma et Futaba, che ospitano rispettivamente i reattori dall’1 al 4 e 5 e 6 di Fukushima Daiichi. Un inceneritore permetterà di bruciare i rifiuti sul posto e di stoccare le ceneri. Le ceneri con più di 8.000 bq/kg resteranno lì. Quelle con meno di 8.000 bq/kg, saranno stoccate nella vicina città di  Tomioka. À 100.000 bq/kg, saranno inserite nel cemento e stoccate per 3 secoli in un sito separato. I lavori sono iniziati il 3 febbraio  2015, il governatore della prefettura di Fukushima è stato sollecitato a convincere i sindaci in esilio i queste città a collaborare al progetto. Ma ci sono delle difficoltà supplementari: alcuni dei 2.400 proprietari interessati si rifiutano di affittare o vendere i loro terreni allo stato; altri sono semplicemente scomparsi, senza lasciare tracce. I primi conferimenti dei suoli contaminati sul sito di Okuma-Futaba hanno luogo l’11 marzo 2015.

Le cifre spiegano l’ampiezza della tragedia: nel 2016, è previsto di spostare su questo sito 43.000 m3 di suoli contaminate e di altri detriti, cioè l’1% del totale prevedibile di 22 milioni di metri cubi. 7.000 persone lavorano ogni giorno, in tuta protettiva, nel sito di Fukushima Daiichi e nell’area circostante. A fine 2015, 70. 000 tonnellate di abbigliamento protettivo, stivali e guanti contaminate erano stoccati in dei container in attesa di una soluzione. Tepco stima che, entro il  2028, saranno prodotte 358.000 tonnellate di questi rifiuti tecnici  e il loro incenerimento dovrebbe permettere di ridurre dell’80% il loro volume totale.

I sono anche 88.000 tonnellate di legno provenienti dagli alberi abbattuti per installare dei depositi supplementari destinati allo stoccaggio delle acque contaminate e 155.000 tonnellate di detriti provenienti dagli edifici dei reattori distrutti dalle esplosioni di idrogeno nel 2011. Per Tepco, questo tipo di rifiuti raggiungerà le 695.000 tonnellate entro il 2028, mais l’utility pensa di incenerire il legname solo quando saranno disponibili impianti adeguati.

In totale, sono previsti 12 inceneritori, il primo è entrato in attività all’inizio del 2016. Si suppone che un sistema di filtri dovrebbe captare le emissioni radioattive  nei fumi; è assolutamente impossibile farlo al 100 %.Delle particelle radioattive saranno irrimediabilmente rilasciate nell’atmosfera, anche dove l alle popolazioni viene  chiesto di ritornare. C’è, all’interno del governo, una frenesia del ritorno a tutti i costi, fino a far accettare alle popolazioni che vivere in un ambiente a 20 millisieverts/anno è insignificante. Nessuno sforzo è stato risparmiato dalle autorità a tutti i livelli per cullare le popolazioni nell’illusione del ritorno. Ne va della reputazione nucleare del Giappone alla vigili dei giochi olimpici del 2020 e il prezzo da pagare per gli abitanti di Fukushima è semplicemente del tutto inaccettabile.

Janick Magne

Reséau “Sortir du Nucléaire”