Frane, ecco come (e dove) cambia il rischio sociale in Italia

Il Cnr ha analizzato i dati raccolti tra il 1861 e il 2015, ottenendo per la prima volta una valutazione del tempo di ritorno delle frane fatali e dell’impatto atteso sulla popolazione

[17 Giugno 2019]

Basterebbe tener presente che le frane censite nell’Inventario dei fenomeni franosi in Italia (620.808 in tutto) rappresentano quasi i 2/3 di tutte le frane censite nelle banche dati degli Stati europei per farsi un’idea di quanto sia importante per il nostro Paese affrontare l’enorme problema del dissesto idrogeologico, che pure non si presenta in modo omogeneo lungo lo Stivale. Qual è dunque il rischio sociale da frana in Italia, ossia il rischio che questi eventi calamitosi pongono alla popolazione e alla società? Per rispondere a questa domanda l’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irpi) ha pubblicato sulla rivista Earth-Science Reviews uno studio che – per la prima volta – permette una valutazione del tempo di ritorno delle frane fatali e dell’impatto atteso sulla popolazione.

«L’approccio innovativo proposto utilizza dati storici relativi a un dettagliato catalogo per eventi dei quali sono disponibili informazioni accurate, sulla localizzazione e sul numero delle vittime, in base al quale si è quantificata la magnitudo dell’evento franoso – spiega Mauro Rossi del Cnr-Irpi, ideatore dello studio – Utilizzando i dati di 1.017 frane fatali, avvenute tra il 1861 e il 2015, è stata applicata una distribuzione di probabilità per modellare il rischio sociale e stimare, per la prima volta, il tempo di ritorno delle frane in funzione dell’impatto atteso sulla popolazione».

I risultati confermano che il rischio sociale da frana in Italia varia largamente ed è funzione della combinazione di tre parametri: «L’evento con il più alto numero di vittime registrato (F), il numero totale di frane con vittime (E) e l’esponente della distribuzione di probabilità adottata (s), cioè la proporzione tra frane con bassa e alta magnitudo. Le tre variabili – prosegue Rossi – sono state calcolate su una griglia con celle di 10 km di lato per consentire una valutazione regolare ed uniforme del rischio sociale sull’intero territorio nazionale».

Quali sono dunque le conclusioni? Lo studio – dettaglia Fausto Guzzetti, direttore del Cnr-Irpi – ha permesso di stimare valori di rischio sociale elevato con tempi di ritorno bassi (inferiore ai 30 anni) per diverse porzioni delle Alpi centrali e del nord-est, delle Alpi occidentali e della Campania. Valori intermedi sono osservabili nel settore nord-occidentale delle Alpi e in Liguria, e in aree limitate della zona di transizione Alpi-Appennini, in Calabria e nel settore nord-occidentale della Sicilia. I risultati di questa ricerca forniscono nuove informazioni sulle variazioni spazio-temporali del rischio sociale da frana in Italia, contribuendo a migliorare le zonazioni esistenti, a promuovere l’efficacia dei sistemi di allertamento nazionale e regionali, a progettare e implementare efficaci strategie di comunicazione, mitigazione e adattamento».