La fase 2 e il rischio dei focolai locali

A parità di popolazione e di casi di contagio, fa differenza se questo si produce in un piccola superficie o in un vasto territorio, soprattutto in relazione alla possibile espansione del fenomeno dato che la densità territoriale comporta maggior probabilità di contatti e quindi di contagi

[29 Aprile 2020]

Calano gli indici dell’epidemia in Italia e si alzano le preoccupazioni economiche che spingono alla riapertura delle attività produttive, come previsto nella bozza del Dpcm.  Se gli indici medi si abbassano è pur vero che l’epidemia si è sviluppata in Italia in maniera tutt’altro che omogenea: ha preso origine da un focolaio nell’area di Lodi e Piacenza, per espandersi al Nord e poi verso il resto della penisola, dove il fenomeno è arrivato in forma per ora affievolita. La situazione territoriale del contagio sembra essere stata un po’ dimenticata a favore dell’analisi dei dati a livello nazionale.

La Protezione civile fornisce per provincia solo il numero totale dei casi rilevati che talvolta mostrano incongruenze, e nell’ultimo periodo risentono, come del resto quelli nazionali, del maggior numero di tamponi che vengono effettuati. Inoltre, data la variabilità per provincia sia di popolazione che di superficie, il fenomeno oltre che in valore assoluto va rappresentato nella sua intensità locale. Già avevo mostrato una mappa del contagio in relazione alla popolazione, ma questo non è sufficiente a rappresentarne l’intensità. Difatti a parità di popolazione e di casi di contagio, fa differenza se questo si produce in un piccola superficie o in un vasto territorio, soprattutto in relazione alla possibile espansione del fenomeno dato che la densità territoriale comporta maggior probabilità di contatti e quindi di contagi.

Si può ottenere un indicatore sintetico facendo una media geometrica delle due densità dei casi di contagio: in rapporto alla popolazione e alla superficie territoriale. Le figure da 1 a 4 fanno vedere la situazione del contagio calcolata con questo indicatore sintetico che rileva l’intensità relativa del fenomeno dal 14 marzo al 28 aprile. Il contagio parte da un focolaio nella provincia di Lodi, si espande in quelle di Cremona e Bergamo, accerchiando Milano, e nella pianura padana. Giunge infine a Milano e Monza, abbandonando in parte le prime zone di insediamento, come il predatore che non ha più prede da cacciare, e si sposta verso il nord-ovest. Nel frattempo il resto della penisola è  contagiata in modo lieve in rapporto alle regioni del nord.

Ma per capire il rischio che ci sarà nella fase 2 occorre fare delle ipotesi su quello che potrebbe succedere nel futuro. Come già mostrato i casi totali hanno, in generale, un andamento a S: crescono quasi esponenzialmente, cioè con un tasso di crescita quasi costante, in una prima fase e poi continuano a crescere ma sempre più lentamente raggiungendo un massimo con il conseguente arresto del contagio. In generale il tasso di crescita – cioè l’incremento da un giorno al successivo diviso per la quantità al giorno precedente – è fortunatamente decrescente, ma il problema è in quanto tempo raggiunge lo zero, che significa la fine del contagio. Ragionando su questo secondo aspetto, come avevo messo in evidenza, si può fare una estrapolazione e calcolare di quanto potrebbero aumentare i casi totali solo in conseguenza della tendenza attuale cioè in situazione di lockdown in ogni provincia.

La differenza tra i nuovi casi a fine epidemia nelle varie province, secondo la tendenza attuale, ci dice quello che ci possiamo attendere al momento, che potrebbe subire un aumento nel caso in cui con le possibili riaperture aumentassero i contati e quindi i contagi come sembra anche dal rapporto della Commissione tecnico scientifica pubblicato dai quotidiani.

Nella figura 5 è rappresentato il possibile numero di nuovi contagi sino alla fine della epidemia, che vedrebbe un massimo nella provincia di Milano con 7.348 casi, ma anche una diffusione nel nord-ovest e in particolare nella provincia di Torino. Il possibile aumento potrebbe essere favorito dalla densità (popolazione divisa per la superficie) calcolata tenendo conto della differente densità tra capoluogo e resto della provincia. Moltiplicando i nuovi casi attesi per la densità si ha una idea del rischio cui si va incontro con riaperture non differenziate a seconda delle situazioni locali. Come si vede (figura 6) i punti di maggior rischio sarebbero la provincia di Milano e quella di Torino. Togliendo queste due province dalla mappa si possono apprezzare (figura 7) le differenze nelle altre province. Emergono a nord di Milano la provincia di Como, a sud quella di Genova, e in posizione di minor rischio quella di Roma e di Napoli. Questo dovrebbe far pensare quando si prospettano riaperture omogenee su tutto il territorio nazionale sulla base dei dati medi dei contagi.