Nature, il coronavirus Sars-Cov-2 era nel nord Italia già dal 1 gennaio

Una ricerca italiana ricostruisce quella che è già preistoria per la pandemia in corso: Covid-19 era a lavoro sottotraccia nel nostro Paese molto prima che ce ne accorgessimo

[26 Marzo 2020]

Il coronavirus Sars-Cov-2, responsabile della pandemia da Covid-19 ormai diffusa in tutto il mondo, si è diffuso sottotraccia in Italia per molte settimane prima che riuscissimo a individuarlo: lo studio The early phase of the COVID-19 outbreak in Lombardy, Italypre-pubblicato su Arvix (dal quale è tratto il grafico allegato) da 24 ricercatori italiani e commentato ieri sulla rivista Nature – scava in quella che ormai è già la preistoria dell’epidemia facendo risalire i primi casi sul territorio nazionale al 1 di gennaio, quando neanche la Cina aveva ancora capito (o ammesso) che ci fosse un’epidemia in corso a Wuhan.

Se il 3 gennaio è stata notificata all’Oms l’epidemia in Cina, il primo focolaio italiano parte ufficialmente nella notte del 20 gennaio, quando a Codogno in Lombardia viene identificato un primo paziente affetto da una nuova malattia da coronavirus, che solo successivamente verrà battezzata Covid-19. Fino a quella data gli unici casi segnalati in Italia riguardavano due turisti cinesi originari di Wuhan, poi ricoverati (e infine dimessi) in isolamento allo Spallanzani di Roma: era il 30 gennaio, e il giorno seguente il Governo dichiarò lo stato di emergenza per i successivi sei mesi. Tuttavia, fino a ben oltre la metà di febbraio, alla luce delle evidenze allora disponibili lo stesso Istituto superiore di sanità riteneva che il nuovo coronavirus non stesse circolando in Italia. Dopo il primo caso registrato a Codogno il Governo dispose (già dal 22 febbraio) una zona rossa per il contenimento dell’epidemia per dieci comuni del Lodigiano e Vo’ Euganeo, mentre la chiusura della Lombardia e di altre 14 Province del nord è arrivata il 7 marzo – seguita dall’esodo al sud di migliaia di cittadini. L’11 marzo è arrivata la serrata per tutto il Paese, ma come documenta lo studio citato da Nature il coronavirus si è era ormai ampiamente diffuso.

I ricercatori italiani hanno analizzato i primi 5.830 casi confermati in laboratorio per fornire la prima caratterizzazione epidemiologica di un focolaio di Covid-19 in un Paese occidentale, ovvero il nostro, raccogliendo i dati epidemiologici attraverso interviste standardizzate dei casi confermati e dei loro stretti contatti: dati demografici, le date di insorgenza dei sintomi, le caratteristiche cliniche, i risultati dei campioni del tratto respiratorio, il ricovero ospedaliero, la ricerca dei contatti. Da questo lavoro emerge che «l’epidemia in Italia è iniziata molto prima del 20 febbraio 2020. Al momento dell’individuazione del primo caso Covid-19, l’epidemia si era già diffusa nella maggior parte dei comuni della Lombardia meridionale».

«Il nuovo coronavirus Sars-Cov-2 era presente nel nord Italia già dal 1 gennaio», spiegano su Nature presentando lo studio, e il nuovo quadro dell’epidemia conferma la necessità di «strategie di contenimento aggressive».

Michele Tizzoni – che si occupa di modellizzazione per le malattie infettive alla Fondazione ISI di Torino e non è stato coinvolto nella ricerca –, interviene sulla prestigiosa rivista scientifica definendo «sorprendente» la ricostruzione dell’epidemia che emerge da questo nuovo studio, affermando che da questi dati è possibile trarre informazioni vitali per gli altri Paesi e le organizzazioni di sanità pubblica che si preparano ad affrontare i propri focolai. La lezione che offre l’Italia, dopo averla pagata a caro prezzo, è che è necessario essere preparati anche quando l’epidemia non dà segnali visibili. Perché probabilmente è già in corso.

L. A.