Nature prende posizione contro le “riviste predatorie”

Ogni anno 400 mila articoli che appaiono su riviste “scientifiche” in realtà sono fake news

Mauro Sylos Labini: «Le riviste predatorie ingannano i colleghi inesperti, inquinano la valutazione della ricerca e diffondono informazioni potenzialmente false spacciandole per scientifiche»

[13 Gennaio 2020]

È sempre più complicato capire se i risultati di una ricerca trovata on-line sono stati pubblicati seguendo le regole della comunità scientifica: si stima infatti che ogni anno circa 400 mila articoli appaiono su riviste che millantano standard accademici, ma che invece pubblicano qualsiasi cosa a pagamento.

Si tratta in questi casi di fake news “scientifiche” che inquinano il dibattito pubblico: per contrastarle la rivista Nature ha per la prima volta pubblicato una definizione di “riviste predatorie”, redatta da un panel di 35 ricercatori provenienti da 10 paesi diversi, e di cui ha fatto parte anche l’economista dell’Università di Pisa Mauro Sylos Labini.

Secondo la definizione pubblicata su Nature, le “riviste predatorie” sono quelle che antepongono i loro interessi economici alla diffusione della ricerca scientifica e, più in concreto, riportano informazione false o ingannevoli, non rispettano le migliori pratiche redazionali ed editoriali, non sono trasparenti e si rivolgono (di solito per email) ai ricercatori in modo aggressivo e indiscriminato per spingerli ad inviare i propri articoli.

«Le riviste predatorie ingannano i colleghi inesperti, inquinano la valutazione della ricerca e diffondono informazioni potenzialmente false spacciandole per scientifiche – spiega Mauro Sylos Labini – Si tratta di pubblicazioni a volte difficili da riconoscere, anche perché le numerose black list disponibili on-line non sono sempre coerenti fra loro, è quindi importante che la comunità accademica trovi un accordo su una definizione e individui le caratteristiche in grado di identificarle».