A 39 anni dal terremoto in Irpinia, dov’è il Piano per la mitigazione del rischio sismico?

«Il 46% dell’intero territorio nazionale ricade in area ad elevata pericolosità sismica, in cui sono presenti 6 milioni di edifici e vi abitano più di 22 milioni di persone»

[22 Novembre 2019]

Il 23 novembre del 1980, un terremoto di magnitudo M 6.9 con epicentro tra le province di Avellino, Salerno e Potenza, devastò l’Irpinia non risparmiando anche le zone adiacenti delle province di Salerno e Potenza: in tutto furono quasi tremila i morti, con un’eredità che rimane ancora pesantissima. Riparare i danni portati dal terremoto ha portato finora «una spesa complessiva di circa 26 miliardi di euro, sebbene sia stato fatto tanto c’è ancora molto da fare per ridurre l’elevato rischio sismico in Italia», spiega Lorenzo Benedetto del Consiglio nazionale dei geologi.

«I successivi eventi sismici accaduti in Sicilia, Umbria, Marche, Molise, Abruzzo ed Emilia Romagna, fino a quelli più recenti dell’Italia Centrale e di Ischia, ci indicano – osserva Benedetto – che il tema della prevenzione non può essere più rimandato e pertanto dovrebbe essere costantemente al centro dell’agenda politica del Paese. I dati generali indicano che il 46% dell’intero territorio nazionale ricade in area ad elevata pericolosità sismica, in cui sono presenti 6 milioni di edifici e vi abitano più di 22 milioni di persone».

Per limitare i danni in caso di terremoti, è necessario soprattutto mettere in campo una serie di azioni finalizzate a ridurre il rischio. Innanzitutto «occorre intervenire sul patrimonio edilizio esistente, che spesso risulta vecchio, molto vulnerabile e costruito per la maggior parte in assenza di specifiche norme sismiche, attraverso lavori di adeguamento, miglioramento e rafforzamento degli edifici, al fine di renderli più resistenti in occasione del terremoto. Recentemente è stato introdotto lo strumento del sismabonus per incentivare i lavori strutturali sugli edifici, che consente un rimborso fino all’85% delle somme spese, ma che tuttavia stenta a decollare. Prima di realizzare nuove costruzioni o di adeguare sismicamente quelle esistenti, occorre rispettare la normativa sismica e valutare attentamente la pericolosità sismica del sito sul quale si costruisce il fabbricato, accertando sia la presenza di fenomeni di instabilità (frana, liquefazione, subsidenza, sprofondamento), che di amplificazione sismica. Andrebbe inoltre rilanciato e rafforzato con più fondi, il Piano per la mitigazione del rischio sismico, strumento di prevenzione introdotto nel 2010 e che dopo il 2016 non è stato più finanziato. È necessario infine, far crescere nei cittadini la consapevolezza del rischio a cui sono esposti, attraverso l’informazione, la conoscenza dei piani di protezione civile comunale e dei comportamenti corretti da tenere in caso di emergenza, al fine di determinare una popolazione più resiliente, a partire dalle scuole, dove noi geologi anche quest’anno abbiamo parlato di prevenzione dei rischi a oltre 120 mila studenti».

«Le criticità relative al rischio sismico restano evidenti, ma in questi anni – argomenta Egidio Grasso, presidente dell’Ordine geologi della Campania – è sicuramente cresciuta sia la protezione civile che la prevenzione sismica. Dal punto di vista tecnico sono stati fatti notevoli progressi, oggi si progetta in maniera accorta mettendo al primo posto la salvaguardia della vita umana. La protezione civile è sempre più efficiente; gli studi di microzonazione sismica, anche se lentamente, stanno andando avanti, ma sul fronte della consapevolezza del rischio da parte dei cittadini non ci siamo ancora” evidenzia Grasso. “Molti sono i comuni che, pur essendo dotati di un piano di emergenza comunale, non lo aggiornano e molto spesso lo conservano in un cassetto senza provvedere all’adeguata diffusione delle informazioni in esso contenute. Si continua sempre a sperare che non arrivi un altro terremoto, ma poco si fa per informarsi. Non siamo ancora pronti per affrontare il prossimo terremoto».