Come cambia la domanda di abitazioni: solo il 20% delle famiglie potrà accedere al libero mercato

Il futuro è nell’housing sociale e nella rigenerazione urbana senza consumo di suolo

[7 Ottobre 2016]

Ad Urbanpromo social housing che si conclude oggi a Torino, il Cresme ha presentato le anticipazioni di una ricerca commissionata da Cdp Investimenti Sgr, Fondazione Housing Sociale e Legacoop abitanti, dalla quale emerge una domanda di abitazioni «soggetta a forte cambiamento, tale da rivoluzionare quelli che fino a oggi sono stati punti fermi e concezioni comuni della cultura dell’abitare nel nostro Paese.

Le previsioni della ricerca si spingono fino al 2024 e l’Istituto nazionale di urbanistica spiega che «Le stime effettuate con l’ausilio del sistema informativo Demo/SI definiscono una domanda così articolata: La media annua delle nuove famiglie nel decennio 2015-2024 sarà 460.477 unità. Nello stesso periodo, si estingueranno mediamente 329.805 famiglie. Il saldo sarà quindi positivo, ma valutando la capacità reddituale in rapporto ai valori di mercato, si valuta che un terzo della domanda futura potrà avere seri problemi di accesso al libero mercato delle compravendite, un altro cinquanta per cento circa si potrà orientare all’edilizia convenzionata mentre circa il venti per cento della domanda primaria, quindi, poco meno di 91mila famiglie l’anno, sembrerebbe essere in grado di accedere senza problemi al libero mercato».

Insomma, o si mette davvero in piedi una vera politica sociale della casa o l’80% delle nuove ed  impoverite famiglie italiane non saranno in grado di averne una, il tutto nel Paese con più case di proprietà per abitante e con il record di milioni di case sfitte e di seconde, terze e quarte case, per non parlare di quelle abusive.

A questo quadro già non certo roseo vanno aggiunti i cambiamenti determinati dalle migrazioni interne indotte dalla crisi e dall’invecchiamento della popolazione. L’Inu sottolinea che «Tenderanno ad aumentare progressivamente gli abitanti over 50, mentre tra gli under 50 ci sarà un numero crescente di stranieri.  Si osserva un costante flusso di emigrazione dalle regioni meridionali a quelle centro – settentrionali (oltre 500mila residenti in tre anni) e, in generale, la popolazione prevalentemente giovanile emigra dall’Italia verso l’estero (quasi 140mila in tre anni)».

Anche il sogno della casa di proprietà, che è stato l’obiettivo delle generazioni dei nonni e dei padri, non riguarderò più i figli e i nipoti: «I dati mostrano come le classi d’età più giovane soffrono maggiormente (anche per la maggiore presenza di immigrati stranieri) di debolezza reddituale legata alle deboli opportunità di lavoro generate dalla crisi». SE non si cambiano politiche abitative la questione della casa si trasformerà quindi in una nuova guerra fra poveri della quale ci sono già pericolose avvisaglie in diverse periferie delle città.

Infatti l’Inu evidenzia che «Tra i cambiamenti già in corso nel campo del mercato di abitazioni, destinati ad accentuarsi, tra le altre cose si osserva già che quella che era l’ossatura dell’economia delle famiglie si polverizza, la fascia media che rappresentava ed incarnava il mercato abitativo con gli acquisti di prime case, di abitazioni per i figli, che sostituiva una casa per migliorare la qualità e la localizzazione, oggi ha perso capacità di reddito; in una sorta di doppia scala sociale, un’ampia quota di famiglie che componevano la domanda media è scesa di un gradino ed una quota più contenuta di chi mantiene potere d’acquisto è salita di un gradino».

Se ce ne fosse stato bisogno, è la conferma della proletarizzazione della classe media e che i ricchi stanno diventando più ricchi mentre i poveri si scannano per avere il privilegio di disporre di quelli che prima erano diventati diritti. E  l’indagine dice che sarà proprio il segmento più ricco di popolazione, quel 20% di famiglie che potrà permettersi di comprare casa sul libero mercato, ad orientarsi verso «nuove costruzioni performanti e in localizzazioni top, le riqualificazioni di alto livello in aree urbane dalla elevatissima appetibilità (città d’arte e storiche, condizioni ambientali d’eccellenza, zone di moda o trendy)». Invece, «Chi scende invece va a incrementare la già nutrita schiera di famiglie che fatica a quadrare i bilanci e che si colloca, dal punto di vista della domanda abitativa, tra l’assistenza al reddito e il low cost, passando per il  sostegno all’affitto e arrivando al social housing, dove la risposta della locazione assume valori più importanti rispetto al passato».

E’ il ritorno, anche territorialmente,  alle classi che proprio l’estensione della classe media avrebbe dovuto abolire, ma è politicamente anche quello che riassumeva ieri Mauro Biani in una delle sue geniali vignette nella quale una giovane donna si chiede: «Quando abbiamo smesso di essere masse e siamo diventati massa?»

Il mutamento dei paradigmi e delle priorità del governo del territorio, che oggi guarda sempre di più alla rigenerazione urbana piuttosto che al consumo di suolo, porta con sé anche l’housing sociale e le sue caratteristiche, che sembrano una delle poche speranze di accedere alla casa delle prossime generazioni,  e Franco Landini, responsabile edilizia abitativa dell’Inu che a Torino ha coordinato il convegno “Housing Sociale a una svolta: affrontare i nodi critici e sviluppare le potenzialità nella città che cambia” ha spiegato che «Per social housing vogliamo intendere una tipologia di residenze in affitto destinate a una categorie di utenti che, pur non avendo i requisiti per avere diritto alle case popolari non hanno le risorse per accedere agli affitti di mercato: la cosiddetta fascia grigia. Storicamente questo tipo di costruzione è stato gestito dalle fondazioni bancarie prevalentemente nelle regioni settentrionali, ma un impulso alla costruzione di alloggi a buon mercato sul territorio nazionale è stato dato con la costituzione nel 2009 del Fondo Investimenti per l’Abitare  finanziato da Cassa Depositi e Prestiti”. Questo prima che negli ultimi anni  mutasse rapidamente anche lo scenario di riferimento entro cui operare con il social housing: la crisi ha ridotto la cosiddetta fascia grigia spingendone una parte verso gli utenti dell’edilizia residenziale pubblica; il mercato degli affitti ha avuto una contrazione nei valori per cui è sempre più difficile costruire alloggi in affitto più bassi di un mercato in discesa. Ma soprattutto l’ambito di una eventuale ripresa edilizia è quello del non consumo di suolo, del recupero del patrimonio inutilizzato, della riqualificazione degli insediamenti. Insomma, della rigenerazione urbana. Il sistema delle fondazioni e dei fondi di Cassa Depositi e Prestiti si presenta quindi a Urbanpromo con un progetto di rinnovamento i cui capisaldi sono la capacità di far leva sulla rigenerazione urbana; aggiungere valore sociale ai propri interventi per contribuire alla coesione sociale, proporre tipologie innovative di residenza, dalle residenze temporanee al cohousing, integrate con servizi. Qualificare il social housing come contributo al miglioramento della qualità della vita».