Fase 2 e oltre: come le città potranno convivere col coronavirus

L’urbanistica moderna nasce dai regolamenti di igiene, e adesso potrebbe essere di fronte a una nuova svolta

[6 Maggio 2020]

La fase 2 è iniziata. L’imperativo è: distanza sociale minima di 1 metro, con effetti (almeno) a breve termine sulla vita urbana che si fanno subito sentire. D’altra parte il modo in cui sono costruite le città dipende anche dalla necessità di difendersi dalle malattie: non a caso l’urbanistica moderna nasce dai regolamenti di igiene.

Scopo principale di una città moderna è permettere la comunicazione diretta. Difatti il settore immediatamente colpito dalle misure di distanziamento è quello dei trasporti pubblici, dove la distanza tra persone nelle ore di punta si azzera. Adesso la capacità si riduce a 1/4 di quella normale. Occorrerà un piano per la mobilità e del tempo perché la situazione si auto-organizzi. Camminare e andare in bici può risolvere il problema, meteo permettendo, ma se il mezzo privato verrà privilegiato per gli spostamenti ci saranno i relativi impatti ambientali e di congestionamento del traffico.

Si tratta di un effetto di breve periodo, insieme ad altri sui quali tornerò, perché ad alcuni questa situazione ha fatto venire in mente la vecchia idea che i problemi delle grandi città si possono risolvere spostandosi nei piccoli centri dove la densità è minore e quindi più facile, almeno in teoria, mantenere la distanza. Una vecchia idea che rimanda alle teorie di Howard sulla “città giardino”, che tanta parte hanno avuto nella moderna urbanistica. Se la densità è un problema per il distanziamento sociale, non altrettanto si può dire con sicurezza per aver facilitato la diffusione del virus, che in Italia è iniziata da zone a relativamente bassa densità per poi approdare nei grandi centri come Milano e Torino. Di certo il periodo di isolamento si trascorre meglio in piccoli centri che nelle grandi metropoli. Si tratterebbe comunque di soluzioni di lungo periodo dipendenti da due incertezze di fondo: quanto durerà l’attuale pandemia e tra quanto tempo ce ne sarà un’altra.

Ma torniamo al presente che richiede misure immediate (vedi la Strategia di adattamento di Milano) per la gestione delle città che hanno un loro ritmo vitale: ci si addensa per una parte della giornata per comunicare, nei luoghi di lavoro, di cura, svago, o riunioni di vario tipo, per poi rarefarsi ognuno nelle proprie abitazioni nella realtà familiare con il trasporto che fa da raccordo tra i due momenti.

Il distanziamento incide in tutte le fasi di addensamento, e non a caso durante il lockdown l’ordine è stato: tutti a casa, salvo ovviamente i settori strategici come sanità e alimentare ai cui lavoratori è stato richiesto di rimanere al loro posto nonostante il pericolo di contagio. E così si è fermata la vita urbana e quindi quella produttiva, per tutti quelli che da casa non possono lavorare. E come conseguenza lo spazio abitativo si è sovraccaricato di funzioni come il gioco per i bambini, o il lavoro per gli adulti.

Per far ripartire la vita urbana senza far ripartire il contagio occorrerebbe più spazio di quello mediamente assegnato a ogni persona, e non avendolo deve essere contingentato, oppure razionato nel tempo. Lo spazio per abitante da dedicare ai servizi urbani è da tempo oggetto di norme urbanistiche. È chiamato standard, e viene sintetizzato nei 18 mq ad abitante, minimi, per i vari servizi urbani: verde, scuola, parcheggi ecc. Come pure a livello edilizio valgono gli 1,80 metri quadri ad alunno nelle scuole, o i 14 mq ad abitante per le abitazioni. Insomma è un aspetto fondamentale della pianificazione urbana che ora subisce un drastico aumento della richiesta.

In alcuni casi si potrà fare fronte, in altri casi accorrerà attendere la fine della pandemia. Ad esempio: le manifestazioni di piazza, i Fridays for future, tanto per fare un esempio non saranno più possibili – difatti l’ultimo sciopero globale per il clima è stato on-line – come pure andare allo stadio per vedere la partita, richiederà delle norme talmente severe che probabilmente dovrà essere sospeso come lo è ora.

La parola d’ordine è: eliminare le code che creano assembramenti. La coda è un aspetto essenziale della utilizzazione del servizio: l’accesso contingentato ai supermercati richiede talvolta più di un’ora. Il problema sembra risolto con la prenotazione on-line. Una risorsa che risolve il problema della coda, e che già è in uso per alcuni servizi come i viaggi aerei o in treno; l’estensione ai servizi  sanitari, come prelievi del sangue, elimina l’attesa in sale nelle quali talvolta vengono raggruppate decine di persone.

Fortunatamente siamo in una epoca in cui le telecomunicazioni hanno ridotto la necessità dello spostamento fisico e mai come ora se ne è avuto bisogno. Si impone la città digitale. La fornitura del servizio a distanza ha coinvolto l’insegnamento, dopo la chiusura di scuole e università. Ma più si va verso la minore età e più è necessario il contato diretto. Perciò una soluzione, tra quelle prospettate per la scuola nonostante le problematiche connesse, sarebbe di una rotazione tra chi assiste alle lezioni on-line da casa e chi da scuola direttamente. In questo modo lo spazio pro-capite della scuola si raddoppierebbe magicamente.

C’è poi il problema dello spazio pubblico. Ci sono strade nei centri storici con marciapiedi larghi appena un metro, lungo i quali due pedoni non possono incrociarsi mantenendo la distanza di sicurezza. Quindi occorrerà allargare i marciapiedi o stabilire che anche i pedoni tengano la destra. Ma pensiamo alle calli veneziane: come sarà possibile ospitare tanti turisti, anche ammesso che la domanda riprenda? Si pone per tutte le città d’arte il problema del controllo degli accessi che riduca la concentrazione di turisti a dei livelli compatibili col distanziamento.

I problemi si pongono pure a livello edilizio soprattutto per i grandi complessi, sia per residenza che per uffici. Vanno riprogettati gli spazi comuni, l’open space per gli uffici dove molti lavorano in uno spazio condiviso non sarà più possibile, come pure si pensa di ridurre al minimo il contatto con tutte le superfici. Ma anche l’aerazione dovrà subire miglioramenti: si pensi solo agli ascensori, dove andrà installato un sistema di aspirazione dell’aria per impedire che il contagio si possa trasmettere da un utilizzatore al successivo.

Ma quanto di tutto ciò può essere fatto in maniera centralizzata e quanto invece con la collaborazione delle persone e degli enti locali? Il problema lo si è visto già nella gestione della fase 1 con i contrasti tra governo centrale e regioni. La gran parte della vita sociale, date le norme di legge da seguire, si auto-organizza sulla base di una informazione decentrata. È illusorio pensare che tutto si possa reggere su una tecnologia senza un consenso e una partecipazione dal basso.