Riceviamo e pubblichiamo come contribuito al dibattito

Firenze, il Tar e l’urbanistica a «volumi zero»

[2 Gennaio 2017]

Al di là dei contenuti specifici del contenzioso (si veda l’articolo pubblicato dal Corriere Fiorentino) , «piano a volumi zero» mi è sempre suonato come ossimoro. L’urbanistica del piano soffre di un eccesso retorico, l’ossimoro è il più frequente.

Altra notazione. Il piano in questione è stato portato a compimento dal Sindaco Renzi. Ricevette le solite critiche di menzognero, proprio per lo slogan «volumi zero». A quanto pare, se pesanti imprenditori hanno fatto pesanti ricorsi e vittoriosi, «volumi zero» non era poi così menzognero.

Se mai dovremmo dire che Renzi ha ceduto alla retorica degli urbanisti.

Se non si vogliono nuovi volumi, e fintanto che non si vogliono, non si fa un piano, si lasciano le destinazioni in vigore, annullando quelle non ancora attuate e impedendo varianti che comportino nuovo consumo di suolo.

Si elabora invece un atto normativo di vincolo con norme semplici, chiare, accessibili a tutti, che dica luogo per luogo cosa NON si può fare (il ché non è “destinazione urbanistica”, che dice cosa si DOVREBBE fare), in difesa del patrimonio culturale e dei rischi ambientali.

Il punto debole del piano urbanistico, non è nemmeno più la questione dello jus aedificandi, che con buone argomentazioni si può sostenere risolta nella pratica: lo jus aedificandi non è connesso al diritto di proprietà.

Il problema che sollevo da tempo è questo: il piano che configura e orienta l’ordine urbano e territoriale avvenire determinando le destinazioni urbanistiche di ogni particella catastale è impotente. Perché non può obbligare il proprietario a realizzare la destinazione assegnata.

Si può anche arrivare a escludere dal diritto di proprietà l’edificazione così come altri usi del suolo. Si può limitare enormemente l’esercizio concreto del diritto per una innumerevole quantità di attività e opere (come già avviene con un gran numero di leggi specifiche).

Ma essendo il proprietario l’unico ad aver diritto a usare il bene, non gli si può imporre la realizzazione di un determinato uso. Solo si possono impedire usi.

Inoltre è mai pensabile che, in un regime di mercato e col diritto di proprietà del suolo, si possano determinare destinazioni urbanistiche sinottiche su tutto il territorio, con valore legale, senza tener conto delle variazioni, non solo del mercato nel tempo, ma anche dell’avvicendarsi di diversi orientamenti politici delle amministrazioni, alle quali spettano in ultimo le decisioni?.

Dov’è il sapere tecnico degli urbanisti in grado di formulare previsioni ipotetiche del genere, che abbiano un minimo di fondamento almeno temporaneo?

L’istituzione legale del piano urbanistico ha il senso originario di ordinare e orientare azioni e opere nella città e nel territorio. Ciò è potuto avvenire con una qualche potenza fino a quando è stato possibile usare sistematicamente l’esproprio. In questo caso non erano strettamente necessarie previsioni ipotetiche, il piano era un progetto complesso di opere pubbliche e private tutte dirette e imposte dalla pubblica amministrazione in forza di legge (e spesso con ingenti apporti finanziari).

di Francesco Ventura, Ordinario di urbanistica – Università di Firenze