Nuovo Regolamento agri marmiferi, Legambiente Carrara: «Fermatevi!»

«Un regolamento a misura delle imprese, non della comunità»

[3 Marzo 2020]

Legambiente Carrara ha presentato le osservazioni (sia puntuali, sia di carattere generale) alla bozza del nuovo Regolamento agri marmiferi, presentate alla consultazione delle associazioni ambientaliste svoltasi stamani alla commissione marmo. Il Cigno Verde esprime un giudizio è durissimo chidendo che il Regolamento venga riscritto «Adottando come bussola il principio guida degli interessi della comunità carrarese, anziché di quelli degli industriali». Senza scendere nei particolari tecnici, pubblichiamo integralmente la prima parte, quella delle Osservazioni generali:

 

Ringraziamo la Commissione marmo per l’invito rivolto alle associazioni ambientaliste a portare un contributo sulla “bozza definitiva” del nuovo Regolamento sugli agri marmiferi. Facciamo però presente che le modalità di consultazione previste (elencazione delle proposte di modifica, articolo per articolo, comma per comma) sono piuttosto riduttive. Tale modalità, infatti, riduce il contributo delle associazioni ad aspetti puramente tecnici, talmente frammentati (in decine di proposte di modifica puntuali ai singoli commi) da far perdere di vista la valutazione d’insieme.

Il nostro contributo, invece, prima ancora che tecnico, è innanzitutto politico e utilizza come criterio di valutazione lo stesso criterio che avrebbe dovuto guidare la stesura del Regolamento: l’interesse della comunità carrarese.

Infatti, poiché il Regolamento disciplina lo sfruttamento, da parte di privati, di beni della comunità carrarese, è preciso dovere del comune disciplinare l’estrazione del marmo assicurandosi di ricavarne il massimo dei benefici per i cittadini (occupazione ed entrate comunali) e di ridurre al minimo i danni (marmettola nei fiumi e nelle sorgenti, rischio alluvionale, eccessiva produzione di detriti, danno paesaggistico).

Come argomenteremo, le scelte compiute nel Regolamento rivelano che la bussola utilizzata per la sua stesura non è stata l’interesse della comunità che, anzi, risulta sistematicamente subordinato a quello degli imprenditori. Queste valutazioni sono la chiave di lettura necessaria a comprendere pienamente il senso delle stesse nostre proposte tecniche puntuali, che presenteremo più avanti.

Prima di esporre queste ultime, tuttavia, intendiamo spiegare brevemente i principali limiti del Regolamento, suddividendoli in pochi punti.

Occupazione: potenziare davvero la filiera del marmo

Poiché l’occupazione nella filiera e nell’indotto supera di oltre 10 volte quella in cava, è evidente che la misura fondamentale per ottenere un rilevante incremento dell’occupazione è prevedere il rilascio delle concessioni d’escavazione solo ad imprese che assicurino la lavorazione in loco di percentuali elevate di blocchi, riducendone drasticamente l’esportazione (tendenzialmente a zero).

Sarebbe dunque bastato introdurre nel Regolamento che possono partecipare alla gara per il rilascio delle concessioni solo gli imprenditori che si impegnino a lavorare in loco almeno il 50% dei blocchi estratti, premiando nel punteggio di gara quelli che offrono percentuali più elevate.

È dunque particolarmente grave non aver fissato un requisito minimo di lavorazione in loco, sbizzarrendosi, invece, nel premiare (prolungando la durata della concessione fino a 25 anni) gli imprenditori che assumano l’impegno a realizzare un progetto (con ricadute occupazionali) compreso in una vasta, quanto indeterminata, gamma (attività artigianali, espositive, culturali, ambientali, ecc.).

È infatti evidente che, introducendo direttamente nella gara un punteggio alla percentuale di lavorazione in loco e –se ritenuto utile– ai citati progetti, si sarebbe ottenuta una maggiore occupazione senza alcun bisogno di premi, visto che il premio è rappresentato dalla stessa vincita della gara. Si sarebbe così mantenuta una durata ragionevole della concessione (13 anni) che, favorendo la concorrenza, avrebbe fornito ulteriori vantaggi per la comunità (principio sottolineato, proprio per le cave di Carrara, anche dall’Autorità garante per la concorrenza).

La mancata adozione della misura più efficace per incrementare l’occupazione e l’accoglimento della pressante richiesta degli industriali di avere concessioni di lunga durata (che garantiscono una rendita di posizione, a scapito della concorrenza) sono dunque un’elo­quente testimonianza che anche l’obiettivo dell’occupazione, pur ripetutamente richiamato, è stato subordinato agli interessi degli industriali.

Merita rilevare che anche la scelta di incrementare fino all’inverosimile la percentuale di detriti ammissibile (criticata nel paragrafo seguente) ha implicazioni disastrose sull’occupazione: que­st’ultima, infatti, è legata alla lavorazione locale dei blocchi, non certo dei detriti (se non in misura decisamente marginale).

Inaccettabile aumento della percentuale di detriti ammissibile

Per quanto riguarda la percentuale di detriti ammissibile il Regolamento si limita ipocritamente a enunciare il principio di favorire la razionale e sostenibile utilizzazione del marmo (art. 1) e a pochi altri cenni, senza tradurlo in disposizioni concrete, evidentemente soddisfatto delle disposizioni già introdotte nella LR 35/15 e s.m.i. e nel PRC (anche grazie alle ferme richieste del comune stesso).

Bastano, infatti, pochi dati a mostrare la gravità delle scelte compiute: in violazione del principio stabilito dal PIT-PPR (legge sovraordinata!) di limitare quanto più possibile la produzione di detriti, l’art. 13 del PRC parte richiedendo una resa in blocchi non inferiore al 30% (comma 2), ma stabilisce subito (comma 3) che i comuni possono riportarla al 25% e addirittura al 20% nel caso di progetti volti a incrementare l’occupazione (comma 4). Si ammette così già l’80% di detriti, senza contare quelli utilizzati in cava per realizzare piazzali, rampe ecc.

A questi vanno poi aggiunti i detriti non computabili come tali: fino al 5% per i lavori di scoperchiatura o di messa in sicurezza permanente (comma 7) e un’altra percentuale (senza alcun limite) per lavori di messa in sicurezza prescritti dagli enti competenti (comma 8): ci si avvicina dunque al 90% di detriti. Ma non basta ancora: il comma 6 prevede di non computare come tali fino al 10% dei detriti totali, se sottoposti a processi industriali per ottenerne materiali da taglio. Il comma 4bis, infine, esclude dal calcolo della resa anche i detriti utilizzati per il riempimento delle gallerie.

In sintesi, il Regolamento, pur dichiarando di favorire l’utilizzo razionale e sostenibile del marmo, persegue l’obiettivo opposto, avvicinandosi a considerare accettabili anche cave di soli detriti. Come si vede dalla ratio coerente dei commi sopra citati (tutti rivolti ad aumentare la percentuale di detriti ammissibile), non si tratta di sviste, ma di una lucida volontà politica che privilegia gli interessi industriali a scapito di quelli della comunità.

Si giunge così al paradosso che la Cava Amministrazione (la più grande di quelle Apuane), col suo 91% di detriti, anziché pietra dello scandalo, potrà essere portata a modello virtuoso di escavazione.

Tutela di fiumi e sorgenti: sacrificata agli interessi degli industriali

L’art. 1 del Regolamento dichiara, tra le finalità, la tutela delle risorse idriche superficiali e sotterranee, grazie all’adozione delle migliori pratiche atte ad evitare il loro deterioramento. Purtroppo, però, non prevede alcuna norma volta a tal fine.

È pur vero che i PABE prevedono le zone di rispetto e le aree a vulnerabilità elevata (estese 200 e 300 m dalla captazione della sorgente), ma le “migliori pratiche” previste restano quelle attuali, palesemente inadeguate a tutelare sorgenti e fiumi, come constatabile a occhio nudo dopo ogni pioggia (si veda il nostro documento Osservazioni ai PABE. Tanti studi per nulla: un futuro uguale al passato, 16/9/19).

Si è continuato dunque a respingere la proposta che avanziamo da anni (riassunta nello slogan “cave pulite come uno specchio”) di tenere costantemente pulite tutte le superfici di cava, onde evitare il dilavamento di marmettola e altri inquinanti ad opera delle piogge (con l’inevitabile recapito nelle acque superficiali e sotterranee). Per inciso, un vantaggio collaterale della nostra proposta sarebbe l’incremento dell’occupazione in cava.

Anche questa scelta, dunque, conferma la volontà dell’amministrazione di anteporre gli interessi degli industriali a quelli della comunità.

Insensibilità al rischio alluvionale generato dalle cave

Tra le finalità dichiarate dall’art. 1, ma prive di concreti riscontri nell’articolato, vi è la salvaguardia della salute e della sicurezza delle popolazioni.

Anche in questo caso, i PABE mostrano piena consapevolezza del rischio alluvionale indotto dalle cave ma, nel chiaro intento di non arrecare disturbo agli industriali, adottano misure minimali e respingono quelle sostanziali. In particolare, non sono state accolte le nostre proposte di convertire i ravaneti attuali in ravaneti spugna e di ordinare la rimozione dei detriti dalle cave a fossa (utilizzate come discariche) per sfruttarle come invasi di laminazione delle piene.

Nonostante le alluvioni che hanno colpito Carrara, l’amministrazione mostra dunque una spiccata insensibilità al problema, accontentandosi di delegarlo interamente alla regione.

Approvare il Regolamento? FERMATEVI!

Quanto detto finora fornisce la chiave di lettura delle osservazioni puntuali al Regolamento richieste nella lettera di convocazione, che riporteremo nel paragrafo 2 (limitandoci a quelle di maggior rilevanza).

In particolare, teniamo a evidenziare che il combinato disposto del mancato potenziamento della filiera locale e della spaventosa percentuale di detriti considerata ammissibile, prefigura per Carrara uno scenario occupazionale e ambientale disastroso: la trasformazione delle attività estrattive in distretto minerario di tipo coloniale in cui la distruzione ambientale della montagna è accompagnata dalla lavorazione in loco dei derivati di scarso valore e scarsa occupazione (scaglie) mentre vengono esportati i blocchi e, con essi, la gran parte del valore aggiunto e delle ricadute occupazionali.

Di fatto, pertanto, siano esse intenzionali o meno, le scelte compiute nel Regolamento vanno in direzione radicalmente opposta agli interessi della comunità carrarese.

Ciò considerato, rivolgiamo all’amministrazione lo stesso appello che abbiamo rivolto a quella precedente: FERMATEVI! Riteniamo infatti indispensabile riscrivere interamente il Regolamento ispirandosi rigorosamente, in ogni articolo, al principio guida dell’interesse della comunità carrarese.

Riteniamo purtroppo altamente improbabile che il nostro appello sarà accolto, visto che la stesura attuale del Regolamento non ha tenuto in alcuna considerazione le nostre recenti osservazioni (Regolamento agri marmiferi: tanti premi alle cave, ma poca occupazione del 14/1/20 e Regolamento agri marmiferi: l’ambiente dimenticato del 31/1/20) né le numerose proposte che avanziamo da molti anni.

Tuttavia non ci sottraiamo al dovere di presentare osservazioni, nella pur flebile speranza di una resipiscenza dell’amministrazione e, in ogni caso, per non fornire ad essa alcun alibi.

di Legambiente Carrara