Proprietà delle cave, legge toscana «parzialmente incostituzionale». La sentenza spiegata

Rossi: «I giudici costituzionali non hanno messo in discussione la necessità di restituire alla podestà pubblica gli agri marmiferi»

[25 Ottobre 2016]

In materia di cave i beni estimati non possono essere inclusi del patrimonio indisponibile del Comune attraverso una legge regionale, in quanto la Regione non ne ha la competenza. Lo ribadisce la Corte costituzionale che – con sentenza 228/2016, depositata ieri – dichiara parzialmente incostituzionale la legge della regione Toscana (la 35 del 2015 “Disposizioni in materia di cave. Modifiche alla l.r. 78/1998, l.r. 10/2010 e l.r. 65/2014”).

Si tratta di quella legge che ha cassato la proprietà privata delle cave, in particolare di quelle trenta sancite come tali da Maria Teresa d’Este a metà del XVIII secolo. La legge regionale ha abolito un decreto monarchico vecchio di 250 anni, concedendo alla Regione 180 giorni per dare il via al nuovo regolamento degli agri marmiferi e per comunicare alle aziende i nuovi adempimenti.

Ma stando alla Costituzione, la Regione ha ecceduto i limiti della propria competenza legislativa, violando l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. «non in ragione degli interessi pubblici che il legislatore regionale ha inteso tutelare, ma perché a tale tutela la Regione deve, se lo ritiene, provvedere con le competenze che possiede, non con competenze che costituzionalmente non le spettano»

Del resto l’articolo 117 lettera l) della Costituzione attribuisce allo Stato la legislazione esclusiva in materia di “giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa”. Quindi includendo i beni estimati nel patrimonio indisponibile comunale la legge regionale colmerebbe una lacuna nell’ordinamento civile italiano, violando però la competenza esclusiva dello Stato in materia di “ordinamento civile”.

Con la legge regionale n. 35 del 2015 la Regione Toscana ha dettato una disciplina dell’attività estrattiva nell’ottica di salvaguardare le “particolarità storiche, giuridiche ed economiche che caratterizzano i beni compresi nel suo territorio”, tra i quali rientrano anche i cosiddetti beni estimati, di cui all’editto della duchessa Maria Teresa Cybo Malaspina del primo febbraio 1751.

I beni estimati sono cave di limitate dimensioni territoriali che in ragione delle loro peculiari caratteristiche morfologiche non sono più coltivabili singolarmente. Sono beni che risultano in parte incorporati all’interno di una stessa unità produttiva insieme a cave pubbliche, soggette a concessioni comunali.

Davanti alle moderne tecnologie che rendono sempre più opportuna, ai fini dell’efficienza dell’attività estrattiva, la gestione comune di cave contigue, anche se assoggettate a regimi giuridici diversi; davanti alle disfunzioni dovute a tale diversità di regime e insite nell’esperimento della procedura di gara per una soltanto di esse; e davanti alle sempre più avvertite esigenze ambientali che richiedono rigorose regole di tutela, comuni per tutte le cave, il legislatore regionale ha ritenuto di poterle sottoporre ad un medesimo regime concessorio, sulla premessa – contestata – che i beni estimati appartengano al patrimonio indisponibile del Comune. Se per il presidente del Consiglio l’individuazione, per la prima volta della natura pubblica dei beni estimati introduca un’innovazione in materia di ordinamento civile v che comporterebbe  la sostanziale espropriazione, al di fuori delle garanzie procedimentali previste dall’ordinamento per gli espropri – per la Regione ciò non avrebbe tale valore.

La Regione – a suo avviso – avrebbe solo preso atto della natura già pubblica della proprietà dei “beni estimati”, limitandosi a prevedere, nell’ambito della generale disciplina delle cave, “una norma meramente ricognitiva di disposizioni già presenti nella disciplina statale di riferimento in tema di agri marmiferi del Comune di Carrara”. Come ha spiegato l’assessore al Governo del territorio e alle cave, Vincenzo Ceccarelli, la «Corte non confuta il ragionamento fatto dalla Regione, né mette in discussione  la nostra legge che si pone l’obiettivo di tenere insieme le ragioni dell’industria e quelle dell’ambiente, ma riconosce che abbiamo avuto il coraggio di mettere mano ad una materia che per secoli è rimasta non governata».

«I giudici costituzionali – chiosa il presidente della Regione, Enrico Rossi – non hanno messo in discussione la validità dell’obiettivo che ci siamo posti, cioè quello della necessità di restituire alla podestà pubblica gli agri marmiferi affidati in uso a metà del ‘700 da Maria Teresa Cybo Malaspina, e per secoli considerati beni privati. Approvando la legge regionale sulle cave abbiamo voluto gettare un sasso in uno stagno che aveva acque ferme da più di due secoli e mezzo. Adesso spetta allo Stato disciplinare una materia che la Corte ha riconosciuto di sua competenza».

di Eleonora Santucci e Luca Aterini