Qualità dell’ambiente urbano 2018: più sharing mobility ma smog in 19 aree urbane

Meno frane ma più alluvioni. E il consumo di suolo non si ferma

[20 Dicembre 2018]

La XIV Edizione del “Rapporto qualità dell’ambiente urbano” realizzato dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa . Ispra) conta oltre 400 indicatori e analizza l’ambiente in 120 città e 14 aree metropolitane.

Dai dati preliminari aggiornati al 10 dicembre 2018, emerge che nelle città italiane continuano i superamenti del PM10:  «sono in tutto 19 le città che hanno oltrepassato il limite giornaliero per il PM10. Brescia, con 87 giorni, è la città con il maggior numero di superamenti, seguita da Torino e Lodi con 69.  Nel 2017 il valore limite annuale per l’NO2 è stato superato in almeno una delle stazioni di monitoraggio di 25 aree urbane, si sono poi registrati più di 25 giorni di superamento dell’obiettivo a lungo termine per l’ozono in 66 aree urbane su 91 per le quali erano disponibili dati e il superamento del valore limite annuale per il PM2,5 (25 µg/m³) in 13 aree urbane su 84».

Ma al Sinpa dicono che «Il trend delle concentrazioni di PM10, PM2,5 e NO2 è comunque in diminuzione. Anche le emissioni di PM10 primario, passano da un totale di 45.403 tonnellate (Mg) nel 2005 a 36.712 tonnellate (Mg) nel 2015 con una riduzione del 19%».

L’altra buona notizia è che resce la sharing mobility: nel giro di tre anni (2015-2017) è aumentato  più del doppio il numero delle autoin condivisione. Delle 48 mila unità messe su strada nel 2017, l’83% sono biciclette, il 16% automobili e l’1% scooter.

Nei comuni capoluoghi di Provincia il rischio frana è meno rilevante rispetto alla media italiana: «il 3,6% del territorio è classificato a pericolosità da frana elevata P3 e molto elevata P4 (Piani di Assetto Idrogeologico) a fronte di una media nazionale che raggiunge, nelle stesse classi di pericolosità, l’8,4%. Complessivamente sono 24.311 le frane censite fino al 2017 nei 120 comuni. La superfice complessiva delle aree a pericolosità per frana ammonta a quasi 2.400 km2 (11,4%), di cui 753km2 (3,6%), dove risiedono oltre 189 mila abitanti, classificate a pericolosità elevata P3 e molto elevata P4». I Comuni con più abitanti a rischio frana sono: Napoli, Genova, Catanzaro, Chieti, Massa e Palermo.

Però, nei capoluoghi la probabilità di alluvione è superiore alla media nazionale: «La percentuale di aree a pericolosità media P2 (tempo di ritorno tra 100 e 200 anni) è pari al 17% del territorio dei 120 comuni, mentre il dato nazionale si attesta all’8,4%. Inoltre, la popolazione a rischio alluvioni nelle stesse aree (2.195.485 ab.) è pari al 12% della popolazione residente a fronte di un dato nazionale del 10,4%». Sono a rischio alluvioni 14 Comuni con più di 50.000 abitanti e 7 Città metropolitane con più di 100.000 abitanti.

Dal 1999 al 2017 sono stati finanziati 462 interventi contro il dissesto idrologico in 120 comuni, per un ammontare complessivo che supera il miliardo e mezzo di euro. I comuni con il maggior numero di interventi conclusi sono Lucca (21 per oltre 25mln €), Terni (9 per 5,7 mln €), Messina e Ravenna (8 con rispettivamente 12 e oltre 7 mln €). Per quanto riguarda gli importi complessivi dei finanziamenti ai comuni, per Genova sono stati stanziati di 354 mln € (di cui solo 2,66 mln € su progetti già conclusi), Milano 171 mln € (compresi 25,40 mln € di progetti conclusi) e a Firenze 118 mln €, di cui solo 830 mila euro sono relativi a progetti conclusi). Nelle 14 città metropolitane sono invece 917 gli interventi per un importo totale pari a 1 miliardo e 845 mln di euro.

Ma mentre investono per mitigare i rischi, I Comuni italiani lasciano che prosegua la corsa di quel che prima di tutto aumenta quei rischi: il consumo di suolo. Tra il 2016 e il 2017 nei capoluoghi sono stati consumati circa 650 ettari di territorio, «Con un costo complessivo, in termini di perdita dei principali servizi ecosistemici  (2012 al 2017), valutato tra i 215 e i 270 milioni di euro – avverte il rapporto – Il comune di Roma, da solo, nello stesso periodo perde un valore tra i 25 e i 30 milioni di euro».

Ma a consumare più suolo nel 2017 sono state le  Città metropolitane di Napoli (34,3%) e Milano (32,3%, mentre Palermo è la più virtuosa con il 5,9%. «La perdita di servizi ecosistemici dovuta al consumo di suolo nelle Città metropolitane tra il 2012 e il 2017 è valutata tra i 348 e i 443 milioni di euro – sottolineano all’Ispra – Da notare che a Torino, Bari e Napoli si rileva un contributo più significativo, della perdita di suolo, nei Comuni metropolitani rispetto al capoluogo».

E le città non sembrano reggere questo peso: «Si verificano fenomeni di sprofondamento in particolare a Roma dove, solo negli ultimi 10 mesi del 2018 si registrano ben 136 voragini. Complessivamente, dal 1960 ad agosto 2018, nei 120 Comuni si contano 2.777 sinkholes dei quali – oltre a quelli della capitale – 562 a Napoli,150 a Cagliari, 72 casi a Palermo. Tendenzialmente sono le città del Centro-Sud Italia quelle maggiormente interessate dal fenomeno che risulta contenuto, invece, nel nord Italia anche se si registra un aumento dei casi».

Il rapporto evidenzia buoni i risultati per lo stato chimico delle acque: «Il 40% delle città ha tutti i corpi idrici nel proprio territorio in stato Buono e solo il 13% in stato Non Buono».

Va male, invece, per i pesticidi nelle acque superficiali che rivelano «concentrazioni superiori ai limiti normativi in 24 comuni sui 65 esaminati, mentre per le acque sotterranee il 7,3% dei punti, presenta concentrazioni sopra ai limiti consentiti. Nei Comuni indagati sono state riscontrate 187 sostanze diverse rispetto alle 396 cercate».

Nel 2017, il 95% delle acque di balneazione italiane (marine, lacustri e fluviali) si classificano in classe eccellente e buona, ma l’1% rimane in classe scarsa. Per quanto riguarda il rischio da proliferazione cianobatterica, in alcune acque lacustri, si osserva «La presenza di diversi generi potenzialmente tossici, tra le quali la microcistina risulta la cianotossina più diffusa nelle acque dolci».

Nel 2017, rimane vergognosa la percentuale delle aree verdi pubbliche «con valori inferiori al 4% in 84 delle 116 città per cui è disponibile il dato. La maggioranza dei Comuni indagati ha una disponibilità di verde pubblico pro capite compresa fra i 10 e i 30 m2/ab e le tipologie di verde più diffuse sono quello attrezzato e quello storico, seguite dalle aree boschive e dal verde incolto».

Rimane molto scarsa anche la pianificazione del verde: «Appena 10 Comuni hanno approvato un Piano del verde, a segnalare la difficoltà dei Comuni italiani a riconoscere il verde quale elemento strutturale e funzionale strategico di resilienza urbana».

Ma nel 2018 c’è stata una buona notizia: la nascita del primo elenco nazionale degli alberi monumentali. «In 60 comuni sui 120 analizzati  – si legge nel rapporto – è stato censito almeno un albero monumentale per un totale di 413 segnalazioni. A scala metropolitana il totale degli alberi monumentali ammonta a 456 localizzati in tutte le città metropolitane eccetto Messina».