I sussidi alla pesca industriale fanno male al mare e anche a noi

Ai pescatori dei Paesi in via di sviluppo 1 dollaro di sussidi per ogni 7 dollari che vanno a quelli dei Paesi sviluppati

[9 Aprile 2019]

Un oceano in salute è essenziale per la salute umana e finora i leader mondiali non hanno fatto abbastanza per garantire la sostenibilità a lungo termine dell’ambiente marino. Come scrive Tom Dillon di The Pew Charitable Trusts (PeW) su Environmental Health News, «Chiedete alle persone cosa è più importante per loro e ci sono buone possibilità che vi diranno: “Essere sin salute e mantenere la mia famiglia in salute”. Ma potrebbero non rendersi conto che la salute, il benessere economico e la sicurezza delle loro famiglie e comunità dipendono molto dalla salute dei nostri oceani, che coprono il 70% della terra e affrontano minacce che vanno dal riscaldamento delle acque, dalla diminuzione degli stock ittici fino all’inquinamento da plastiche e alle barriere coralline morenti. Proteggere questo ecosistema è fondamentale per la salute umana: l’oceano filtra la nostra aria, controlla il clima e fornisce cibo a miliardi di persone».

Secondo Dillon, uno di primi passi da compiere da parte di chi governa i Paesi del mondo  sarebbe quello di «Porre fine alle sovvenzioni che consentono la pesca eccessiva e la pesca illegale». La Fao dice che «Oggi, un terzo di tutti gli stock ittici è sfruttato a livelli insostenibili e un altro 60% è sfruttato a pieno regime».  .

Una parte significativa di questa pesca eccessiva è sostenuta da sussidi statali, la maggior parte dei quali vanno gli armatori di flotte da pesca di grandi dimensioni per contribuire a pagare carburante, attrezzature e la costruzione dei pescherecci.

Dillon fa notare che «I pescherecci che fanno affidamento su sussidi per viaggiare più lontano e più a lungo di quanto potrebbe essere altrimenti redditizio rappresentano una pressione inarrestabile sull’oceano. Inoltre danneggiano le migliaia di comunità artigianali (pesca tradizionale su piccola scala spesso per scopi commerciali) e di sussistenza (quelle che pescano solo per nutrire le loro famiglie) in tutto il mondo che dipendono da popolazioni di pesci sane. Immaginatevi i proprietari di una piroga di 50 piedi in un villaggio dell’Africa occidentale. Probabilmente tornano dalle loro incursioni quotidiane con un numero sempre minore di pesci se i pescherecci a strascico industriali da 300 piedi con bandiera straniera si trovano a poche miglia dalla costa, trainando reti da pesca larghe come un campo di calcio. E mentre la pesca diminuisce, milioni di persone affrontano maggiori difficoltà economiche; rischiano una minaccia imminente di insicurezza alimentare. Sempre di più, gli equipaggi artigianali non solo non riescono a catturare abbastanza pesce per ottenere un profitto, ma non ne catturano nemmeno abbastanza per nutrire se stessi e le loro famiglie».

E questo è un bel problema, visto che in molte comunità costiere, i pesci sono la fonte primaria di proteine ​​e gli scienziati dicono che oltre il 10% della popolazione mondiale, in particolare nei Paesi in via di sviluppo, potrebbe affrontare carenze di micronutrienti come ferro, zinco, acidi grassi omega-3, e che le vitamine ottenute grazie al pesce diminuiranno nei prossimi decenni.

Dillon ricorda che «Questo potrebbe portare all’aumento di problemi gravi che vanno dalla mortalità infantile al deterioramento cognitivo. I governi spendono annualmente 35 miliardi di dollari per sostenere le loro flotte pescherecce, 20 miliardi dei quali vanno ad espandere o a sostenere le loro attività in contrasto con l’economia di base».

Nel giugno 2018 un team di ricercatori statunitensi, canadesi e australiani ha pubblicato su Science Advances  lo studio “The economics of fishing the high seas”, un lavoro fondamentale che ha rivelato che «Senza sussidi il 54% della pesca in alto mare non sarebbe redditizia, il che costringerebbe queste compagnie a basarsi rigorosamente sul valore delle loro catture, riducendo le dimensioni delle loro flotte e a pescare meno per restare redditizie»  Dillon fa notare che «Questa riduzione, unita a una spinta concertata per una gestione della pesca diffusa ed efficace, a sua volta aiuterebbe gli stock sovrasfruttati a recuperare e a mantenere la pesca sostenibile per tutti i pescatori – artigianali, di sussistenza e industriali – anche in un lontano futuro».

L’esponente del Pew evidenzia che «Il divario tra pescatori industriali e di sussistenza o artigianali si rispecchia nel divario tra Paesi poveri e Paesi ricchi. I pescatori nei Paesi in via di sviluppo ricevono 1 dollaro di sussidi per ogni 7 dollari che vanno a quelli dei Paesi sviluppati. Ciò rappresenta una barriera allo sviluppo proprio nelle regioni in cui è più necessario».

Ma per Dillon «Fortunatamente, una soluzione è a portata di mano: nel 2017 i membri dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) si sono impegnati a negoziare e adottare un accordo sulle sovvenzioni alla pesca entro la fine del 2019. Sia l’impegno dell’Omc che l’Obiettivo di sviluppo sostenibile 14.6 dell’Onu  richiedono di ridurre i sussidi che contribuiscono alla sovracapacità e alla pesca eccessiva, eliminando nel contempo quelli che contribuiscono alla pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata. Ovviamente, questi obiettivi – che costituiscono una risposta ai rapporti pubblicati sui pericoli che affliggono il nostro oceano – non sono garanzia di azione. Ridurre gli effetti nocivi della pesca sovvenzionata è stato all’ordine del giorno dell’Omc per quasi due decenni, durante i quali il problema è solo aumentato. Ma con il poco tempo a disposizione per ripristinare la vitalità del nostro oceano, questi negoziatori potrebbero compiere un enorme passo avanti per garantire una pesca sostenibile, un ecosistema marino vibrante di vita e un pianeta sano».