Il riscaldamento globale sta già danneggiando la pesca in tutto il mondo

Due studi mostrano dove le popolazioni ittiche sono state colpite più duramente e quanti danni potrebbero essere evitati se gli obiettivi dell’Accordo di Parigi venissero rispettati

[1 Marzo 2019]

Secondo due studi pubblicati questa settimana, il riscaldamento di mari e oceani ha già  acque oceaniche ha già avuto un grosso impatto sulla pesca mondiale, che peggiorerà se le emissioni di gas serra continueranno a crescere al ritmo attuale. Lo studio “Impacts of historical warming on marine fisheries production” pubblicato su Science da un team di ricercatori statunitensi, ha scoperto che, con il riscaldamento degli oceani avvenuto dal secolo scorso, le catture massime sostenibili sono significativamente diminuite. L’altro studio, a con il riscaldamento degli oceani nel secolo scorso. L’altro studio, “Benefits of the Paris Agreement to ocean life, economies, and people” pubblicato su Science Advances da un team di ricercatori canadesi, ha scoperto che riuscire a limitare il riscaldamento globale a non più 1,5 gradi Celsius contribuirebbe a proteggere milioni di tonnellate di future catture, per un valore di miliardi di dollari.

Uno degli autori dello studio che ha esaminato l’impatto del clima sulle risorse ittiche negli ultimi decenni, il canadese Malin Pinsky della Rutgers University, ha sottolineato: «Siamo rimasti sbalorditi nel constatare che le industrie ittiche di tutto il mondo hanno già risposto al riscaldamento oceanico. Questi non sono cambiamenti ipotetici in futuro». Lo studio pubblicato su Science ha esaminato l’impatto dell’innalzamento delle temperature oceaniche su 124 specie marine rappresentative di circa un terzo della pesca globale dal 1930 al 2010. In 80 anni, l’aumento delle temperature marine ha ridotto la produttività di alcune attività di pesca dal 15% al ​​35%- Anche se in alcune aree i pesci prosperano perché le acque più calde stanno diventando più adatte alla loro presenza, l’effetto netto è che gli oceani del mondo non possono produrre più risorse ittiche in maniera sostenibile come avveniva prima- E gli scienziati avvertono che la situazione «probabilmente peggiorerà con l’accelerazione del riscaldamento globale negli oceani». La cosa positiva che emerge dallo studio è che le attività di pesca ben gestite sono più resilienti di fronte all’aumento della temperatura e Rainer Froese, del GEOMAR Helmholtz-Zentrum für Ozeanforschung. Che non ha partecipato allo studio, aggiunge: «Dobbiamo smettere di pescare troppo per permettere al pool genetico di sopravvivere, in modo che [il pesce] possa adattarsi ai cambiamenti climatici».

Dato che i pesci sono animali a sangue freddo, rispecchiano la temperatura dell’acqua in cui nuotano, quando l’acqua è troppo calda, gli enzimi che utilizzano per la digestione e altre funzioni sono meno efficienti, compromettendone la crescita e la riproduzione. Inoltre, l’acqua calda contiene meno ossigeno, un ulteriore fattore di stress.

Basandosi su un database scientifico delle valutazioni di stock che rappresentano circa un terzo del pesce catturato in tutto il mondo, Chris Free dell’università della California – Santa Barbara, ha creato un modello computerizzato del modo in cui le popolazioni ittiche rispondono alla temperatura e ora, mentre è passato, sta cercando di capite come questi stock abbiano risposto ai cambiamenti della temperatura superficiale del mare.

Secondo i ricercatori gestire uno stock di pesce è come prelevare contanti da un conto bancario: ogni anno i pescherecci possono prelevare una certa quantità senza esaurire lo stock (la reasa massima sostenibile). «Ade esempio – dicono gli scienziati – una pesca più produttiva, dove la temperatura dell’acqua è ottimale e il cibo abbondante, è come un conto bancario con un tasso di interesse più elevato, il che significa che più pesce può essere catturato in modo sostenibile». Ma il cambiamento climatico ha stravolto la sostenibilità del prelievo ittico. Il team di Free ha scoperto che sui 235 stock analizzati, 9 i sono diventati in media il 4% più produttivi. Si tratta di stock che si trovano in aree, come quelle a nord e il a sud dell’equatore, in cui l’aumento delle temperature ha reso l’acqua che era troppo fredda più adatta per i pesci.  Per esempio, in Canada, al largo delle coste di Terranova e del Labrador, dal 1930 il rendimento massimo sostenibile è aumentato del 14% e lì la pesca potrebbe migliorare ancora. Secondo il nuovo studio, con ogni grado in più la produttività dell’halibut della Groenlandia aumenterà del 51%.

Ma queste buone notizie locali sono controbilanciate dai 19 stock che in media sono l’8% meno produttivi di prima. Molti sono al largo del Nord Europa e del  Giappone e probabilmente continueranno a diminuire mentre gli oceani Atlantico e Pacifico continuano a riscaldarsi. La pesca al merluzzo bianco nel Mare d’Irlanda va incontro a un futuro buio: secondo i ricercatori   «Il rendimento massimo sostenibile di questo stock si ridurrà del 54% per ogni ulteriore grado di riscaldamento».

Mettendo insieme  vincitori e vinti, attualmente il rendimento complessivo massimo sostenibile dei 235 stock è inferiore del 4% rispetto al 1930. Si tratta di circa 1,4 milioni di tonnellate di pesce in meno rispetto a quelle che potevano essere catturate prima in modo sostenibile. «A prima vista, sembra una cifra limitata- evidenzia Free – ma è un grosso problema per le vite delle persone che dipendono da loro».

E probabilmente il calo degli stock ittici è sottostimato perché ci sono pochi dati sui tropici. Froese ricorda che «I pesci dei tropici vivono già nell’acqua calda, quindi hanno probabilmente sofferto di più degli aumenti di temperatura recenti rispetto ai pesci nella zona temperata. I pesci sono già con le spalle al muro rispetto alla temperatura. Ci aspettiamo che i tropici siano i più colpiti».

In un commento allo studio pubblicato su Science, Éva Plagányi della Commonwealth scientific and industrial research organisation dell’Australia, scrive che queste scoperte «Sono un importante progresso. Lo studio offre una solida base per prevedere come l’aumento della temperatura inciderà su determinati stock in particolari luoghi».

Probabilmente il declino degli stock ittici è destinato ad aumentare: dal 1930 a oggi le temperature medie della superficie del mare sono aumentate di circa 0,5° C, entro la fine di questo secolo, se andrà bene, cresceranno tre volte di più e le ondate di caldo marine diventeranno più frequenti. Free  avverte, «Anche se le temperature diventeranno più favorevoli per pescare in acque a latitudine più alte, questi benefici non possono durare per sempre. Probabilmente c’è un punto critico».

Ma lo studio evidenzia che gli stock ittici sono più colpiti dall’aumento della temperatura se sono stati pesantemente sovrasfruttati.  Froese, conclude: «Questo è sorprendente, dice perché la pesca tende a rimuovere selettivamente i pesci più grandi e gli stock pesantemente pescati si evolvono per essere più piccoli e per maturare più velocemente. Questi pesci più piccoli, che sono più efficienti nell’utilizzare l’ossigeno, potrebbero, in teoria, essere meglio in grado di affrontare l’acqua più calda che ha meno ossigeno. Ma il nuovo studio suggerisce che questi stock sono meno resistenti agli aumenti di temperatura. Una ragione potrebbe essere che l’eccesso di pesca ha spazzato via i geni per far fronte alle temperature più calde, Qualunque sia il meccanismo, gli scienziati della pesca sanno che limitare la pesca eccessiva porta a catture più grandi e più sostenibili. Ma ridurre la pesca eccessiva non è un gioco da ragazzi».

Lo studio pubblicato su Science Advances  dal team guidato dall’università della British Columbia (UBC), ha confrontato l’ecosistema marino  e gli impatti economici dello scenario 1,5° C  dell’Accordo di Parigi  rispetto all’attuale scenario “business as usual”, che ci sta portando dritti verso i più  3,5° C, e i ricercatori hanno concluso che «Il rispetto dell’accordo di Parigi comporterebbe benefici per il 75% dei Paesi marittimi, con i maggiori guadagni realizzati nei Paesi in via di sviluppo».

Il principasle autore dello studio, Rashid Sumaila, direttore dalla Fisheries economics research unit dell’UBC e dell’OceanCanada Partnership, ha sottolineato che  «Raggiungere l’obiettivo dell’Accordo potrebbe aumentare le entrate globali dei pescatori di 4,6 miliardi di dollari all’anno, il reddito dei lavoratori dell’industria del pesce di 3,7 miliardi di dollari e ridurre le spese per le specie ittiche di 5,4 miliardi di dollari. I maggiori guadagni si avranno nelle acque dei Paesi in via di sviluppo, come Kiribati, Maldive e Indonesia, che sono a maggior rischio a causa del riscaldamento delle temperature e che fanno più affidamento sul pesce per la sicurezza alimentare, i redditi e l’occupazione».

Lo studio ha anche rilevato che, restando nei confini dell’Accordo di Parigi, «La massa totale, o biomassa, delle specie ittiche che producono maggiori entrate aumenterebbe globalmente del 6,5%, con un aumento medio dell’8,4% nelle acque dei Paesi in via di sviluppo e un diminuzione marginale dello 0,4% nelle acque dei Paesi sviluppati».

Uno degli autori dello studio, Travis Tai dell’Institute for the oceans and fisheries dell’UBC, fa notare che «Una maggiore biomassa ittica e una maggiore produttività degli oceani significa un maggiore potenziale di cattura quindi, con l’eccezione dell’Europa, tutti i continenti trarranno beneficio dall’Accordo di Parigi. I Paesi in posti come l’Europa settentrionale, d’altra parte, stanno guadagnando più pesce mentre si dirige  verso i poli in cerca di acque più fredde a causa del riscaldamento globale. Se limitiamo il riscaldamento ne otterranno di meno, ma in molti casi le perdite saranno ammortizzate dagli aumenti dei prezzi del pesce».

Per esempio, si prevede che, se riusciremo a mantenerci entro gli 1,5° C e a non raggiungere i 3,5° C, la Russia  vedrà una riduzione delle catture del 25% a causa della diminuzione degli stock di merluzzo dell’Alaska e merluzzo. Ma un altro autore dello studio, William Cheung, della Nereus Program della Nippon Foundation – UBC,  è convinto che «Tuttavia, un aumento del 19% dei prezzi del pesce, noto come” effetto prezzo, dovrebbe comportare una perdita complessiva trascurabile inferiore al 2% nelle entrate dei pescatori in Russia. Viceversa, per gli Stati Uniti, si prevede che i proventi della pesca diminuiranno dell’8% a causa degli effetti sui prezzi, ma saranno compensati da un aumento del potenziale di cattura del 21%».

Le associazioni ambientaliste dicono che i due studi sottolineano l’urgente necessità di affrontare i cambiamenti climatici e migliorare la gestione della pesca. Lisa suatoni, senior scientist dell’Oceans division del Natural Resources Defense Council, ha evidenziato che «Per la salute degli oceani e del pianeta, l’accordo di Parigi è il modo migliore per ridurre le nostre emissioni di carbonio. Per aiutare i nostri oceani ad adattarsi ai cambiamenti in arrivo, dobbiamo  anche prendere provvedimenti, come la creazione di aree marine protette, perché forniscono un supporto vitale essenziale alle comunità costiere e alle economie di tutto il mondo».

Nel mondo la pesca dà lavoro a circa 260 milioni di persone, molte delle quali nei grandi Paesi in via di sviluppo, e i prodotti ittici restano un prodotto di esportazione fondamentale per molti Paesi in via di sviluppo. Merrick Burden, senior ecomomist del Fishery solutions center dell’Environmental Defense Fund, ha detto che «I due studi sono causa sia di speranza che di allarme. Se riusciamo a mantenere il riscaldamento entro un frange moderato – e i limiti stabiliti dall’Accordo di Parigi sul clima sono un buon punto di riferimento – se possiamo rimanere lì dentro, c’è motivo di sperare. Ma se il cambiamento climatico inizia davvero a scapparci di mano, non ci sarà nulla che possiamo fare. Le nazioni delle isole del Pacifico meridionale che raccolgono le royalties dal leasing del diritto di pesca nelle loro acque saranno particolarmente colpite. Questo è quel che sostiene quasi tutto, tutti i loro sistemi di sicurezza sociale e infrastrutture, scuole e altre cose. Se lo perderanno sarà l’intera società a soffrire. C’è un immenso prezzo umano da pagare legato ai cambiamenti climatici: non lo vediamo ora, ma arriverà e interesserà davvero milioni di persone in modi molto indesiderabili e consequenziali».

Sumaila  conclude: «Un rifornimento costante di pesce è essenziale per sostenere questi posti di lavoro, la sovranità alimentare e il benessere umano. L’adattamento agli attuali effetti dei cambiamenti climatici e l’attuazione dell’Accordo di Parigi sono fondamentali per il futuro della pesca oceanica del pianeta, affrontando al contempo le crescenti sfide per  sostenere società sane e pacifiche in futuro».