L’Italia vieta la pesca delle oloturie

Cnr: un importante passo avanti per la difesa del mare. Finisce così il saccheggio dei fondali per rifornire i mercati dell’Asia orientale

[26 Aprile 2018]

Con un decreto il  ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf) ha vietato la pesca delle oloturie, echinodermi chiamati “cetrioli di mare”, presenti nel Mar Mediterraneo con numerose specie e che in Asia orientale sono considerati una prelibatezza.

Infatti, come spiegano al Cnr, «Le ragioni del divieto sono da ricercare nella pesca incontrollata di questi organismi marini che vengono esportati nei Paesi orientali dove rappresentano un alimento “di lusso” nella cucina tradizionale. Ma i ‘”cetrioli di mare” svolgono un ruolo ecologico troppo importante e il depauperamento delle popolazioni di oloturie comporta il rischio di sconvolgere gli equilibri degli ecosistemi marini costieri».

In Asia, e in particolare in Cina, le oloturie, oltre ad essere una costosa prelibatezza gastronomica, vengono utilizzate anche nel settore farmaceutico e cosmetico e la fortissima domanda di questi invertebrati alimenta un notevole giro d’affari: le oloturie seccate vengono vendute tra 10 e 600 dollari al Kg, arrivando fino a 3.000 dollari/Kg per le specie più rare e richieste.

E’ a causa di questa richiesta crescente di oloturie proveniente dai nuovi ricci asiatici che la pesca delle oloturie, iniziata nei mari asiatici negli anni ’50, si è  estesa esponenzialmente a tutti i mari, fino ad arrivare nel Mediterraneo (dove le oloturie erano tutt’al più utilizzate come esche). Un fenimeno diventato preoccupante anche per la mancanza di una regolamentazione delle catture di questi strani ma utilissimi animali spazzini,

Al Cnr ricordano che «Le prime coste ad essere interessate da questa pesca indiscriminata sono state quelle di Turchia, Grecia e Spagna. Negli ultimi anni la pesca incontrollata di questi organismi marini ha interessato anche le coste italiane. Già nel 2016, a seguito di un grosso sequestro di oloturie, le considerazioni scientifiche fornite dalla Sede di Taranto dell’Istituto per l’ambiente marino costiero avevano supportato il Tribunale di Taranto nel denunciare che “la pesca abusiva di tonnellate di esemplari di oloturie, asportando totalmente dai fondali marini tale specie, causa un grave danno alla biodiversità presente nei tratti di mare interessati, nonché l’alterazione grave ed irreversibile dell’ecosistema marino”».

Ora, dopo anni di sollecitazioni e denunce da parte di ricercatori e associazioni ambientaliste,  il DM n.156/2018 stabilisce il divieto di «Pescare (catture ‘bersaglio-target’ e/o ‘accessorie-by catch’), detenere a bordo, trasbordare, ovvero sbarcare, esemplari di oloturie fino a dicembre 2019».

I ricercatori dell’Iamc-Cnr di GTaranto rivendicano di aver «significativamente contribuito a questo importante risultato fornendo al Mipaaf il supporto scientifico necessario ad emanare questa norma. In particolare, è stato evidenziato il ruolo ecologico delle oloturie: sono dei detritivori che, proprio come i lombrichi di terra, ingeriscono il sedimento e si nutrono delle particelle di materiale organico (microalghe, batteri, ecc.) in esso contenuto».

La ricercatrice dell’Iamc-Cnr Loredana Stabili, evidenzia che «Le oloturie sono dei veri biorimediatori naturali, capaci di assimilare e abbattere i batteri, compresi quelli potenzialmente patogeni, e di fornire alle popolazioni rivierasche un servizio “eco-friendly”  di depurazione degli inquinanti batterici presenti nell’ambiente marino». Nella dettagliata relazione, che la Stabili ha compilatato per il  Mipaaf insieme alla collega Ester Cecere, sono state forni tanche le evidenze scientifiche su altre importanti funzioni svolte dai cetrioli di mare nell’ecosistema marino, come il contributo dato da questi animali ad impedire l’insorgere di crisi anossiche e a favorire l’insediamento delle fanerogame marine, Posidonia oceanica e Cymodocea nodosa, importantissime specie degli ambienti marini e salmastri. È stato così sottolineato che «La pesca eccessiva ed indiscriminata di oloturie può compromettere la stabilità dell’ecosistema di riferimento che viene reso, quindi, più vulnerabile alle varie pressioni cui è sottoposto, antropiche e non. In aggiunta, si può determinare la perdita di numerosissimi “servizi” resi agli ecosistemi stessi.

In assenza di una legge o di un decreto ministeriale, che prevedesse il divieto di pesca e commercializzazione delle oloturie, si era dovuta pronunciare la Suprema Corte di Cassazione che, con una sentenza del 20 aprile 2017, aveva stabilito che anche se le oloturie non sono tra le specie in via d’estinzione, «il depauperamento dei fondali è tale da far ritenere verosimile l’ipotesi che la pesca delle oloturie stia portando all’estinzione della specie nei fondali marini italiani».

Il Cnr conclude: «Finalmente, oggi possiamo dire che è stato sciolto questo nodo e che è stato compiuto un passo importante in difesa del mare. Non possiamo quindi che accogliere con entusiasmo il divieto di pesca delle oloturie, tenuto anche conto che le risorse marine sono un bene prezioso per l’intera comunità e non possono diventare un vantaggio per pochi».