Il seguente testo è stato redatto per il settimanale ambientale de "il manifesto", Il Gambero verde, con cui greenreport ha attiva una collaborazione editoriale

Alla ricerca delle origini dell’economia circolare

Dall’esempio della natura da seguire all’esercizio di razionalità: «Non ci si deve troppo illudere perché tutte le operazioni di economia circolare generano, a loro volta, altri rifiuti e scorie»

Le radici dell’economia circolare, diventata di gran moda negli ultimi dieci anni, si possono trovare nel libro del biologo americano Barry Commoner (1917-2012) intitolato “Il cerchio da chiudere” (The Closing Circle), pubblicato negli Stati Uniti nel 1971 e subito tradotto da Garzanti nel 1972, con una seconda edizione aggiornata nel 1986, in entrambi i casi curato da Virginio Bettini.

La tesi è semplice: nel mondo biologico non ci sono rifiuti; la vita è basata su flussi di materia e di energia che cominciano con i vegetali che si formano dalla reazione, alimentata dall’energia solare, fra l’anidride carbonica, presa dall’atmosfera, l’acqua presa dall’atmosfera e dal suolo, e alcuni sali presenti anch’essi nel suolo. Quando i vegetali hanno completato il loro ciclo vitale, foglie, steli, tronchi, radici, eccetera, nel suolo sono trasformati, da organismi decompositori, in anidride carbonica che torna nell’atmosfera e nei sali che, nel suolo, tornano a disposizione di altri vegetali. Una parte dei vegetali è usata come nutrimento dagli animali i quali ne trasformano le molecole, mediante l’ossigeno preso dall’aria, in energia vitale con formazione di anidride carbonica; gli escrementi e le spoglie sono trasformati, dagli organismi decompositori del suolo e delle acque, in anidride carbonica, acqua e sali inorganici che servono di nutrimento ai vari vegetali, e così via, con cicli complessi ma sostanzialmente chiusi. Cicli simili si svolgono nei mari. Tutto quello che è preso dalla natura è restituito alla natura, in tempi più o meno lunghi, più o meno nella stessa quantità.

Gli esseri umani, questi animali speciali, traggono dalla natura vegetali, animali e altri materiali come minerali, rocce, combustibili fossili, e li trasformano in acciaio, plastica, vetro, pesticidi, carne in scatola, giornali, detersivi, eccetera. Quando questi oggetti, le merci, estranei ai cicli naturali, sono stati utilizzati vengino buttati via, sono rifiutati ma non scompaiono; gli organismi decompositori del suolo e delle acque non li conoscono non sono in grado di degradarli e i rifiuti si accumulano nella tecnosfera. A questo punto, se non si vuole che i rifiuti ci soffochino, bisogna seppellirli sottoterra, o bruciarli o vedere se contengono qualcosa di utile che posa essere recuperato e commerciato. Sono le operazioni che chiamiamo di riciclo, note da tempi lontanissimi quando venivano riciclati gli stracci, i rottami, le ossa dei macelli e che oggi sono l’oggetto dell’economia circolare. Utili senza dubbio, suscettibili di continui perfezionamenti perché i residui delle produzioni industriali, della stessa agricoltura e dei “consumi” ammontano, nel mondo, ad alcuni miliardi di tonnellate all’anno, anche se non ci si deve troppo illudere perché tutte le operazioni di economia circolare generano, a loro volta, altri rifiuti e scorie e il ciclo non si chiude mai. La tecnosfera, nel rigonfiarsi di merci, si rigonfia anche di rifiuti, da quelli solidi, ai gas che, accumulandosi nell’atmosfera, creano le anomalie climatiche con cui dobbiamo fare i conti, a quelli che inquinano le acque dei fiumi e del mare.