Assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani, come funziona?

Se non c’e’ anche il limite quantitativo il regolamento comunale è illegittimo e la Tari non è dovuta

I rifiuti speciali assimilati agli urbani prima del Dlgs 152/2006

Analogamente all’attuale regolamentazione già il D.P.R.. n. 915/82 prevedeva l’intervento statale per la determinazione dei “criteri generali per l’assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani”, ex art. 4, comma 1, lett. e)[1], del D.P.R.. n. 915/82, nonché un regolamento comunale, ex art. 8, stesso decreto, con cui si dovevano specificare i rifiuti speciali effettivamente assimilati , in ciascun ambito comunale, in funzione delle potenzialità e caratteristiche dei servizi di cui ogni ente locale era dotato. Con delibera del Comitato interministeriale del 27 luglio 1984, il Governo introduceva dei criteri di assimilabilità dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani (v. par. 1, punto 1.1.) di “natura tecnologica”,  cioè ai soli fini di consentire che il rifiuto speciale potesse essere smaltito in impianti destinati ai rifiuti urbani, fermo restando che essi restavano sul piano giuridico (cioè della disciplina amministrativa, fiscale e penale cui erano sottoposti) dei “rifiuti speciali”.

Con successiva delibera del 13 dicembre 1984, lo stesso Comitato interministeriale aggiungeva però un quarto capoverso al punto 1.1. in cui faceva “salva la potestà regolamentare dei comuni di assimilare determinati rifiuti speciali ai rifiuti urbani”.

1.1 – Criteri generali per l’assimilabilità dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani 

Le disposizioni del presente paragrafo disciplinano ipotesi di assimilabilità rientranti nella lettera e) dell’art. 4 del decreto del D.P.R. n. 915/1982. In particolare, si stabiliscono criteri di assimilabilità di natura tecnologica rivolti a permettere, senza maggiori rischi per la salute dell’uomo e/o per l’ambiente, lo smaltimento di rifiuti speciali in impianti aventi le caratteristiche minimali stabilite in funzione dello smaltimento, nei medesimi, di rifiuti urbani. Nel caso in cui i rifiuti speciali, assimilati ai sensi di tali criteri, vengano conferiti ai soggetti che gestiscono il servizio pubblico, i termini e le modalità di conferimento, nonché il compenso per lo smaltimento, saranno definiti da apposita convenzione ai sensi dell’art. 3, terzo comma, del D.P.R. n. 915/1982.

Resta salva la facoltà dei comuni di disciplinare, nell’ambito del regolamento di cui all’art. 8, secondo comma, del D.P.R. n. 915/82, l’assimilabilità dei rifiuti derivanti da attività agricole, artigianali, commerciali e di servizi, nonché da ospedali, istituti i cura ed affini, sia pubblici che privati, ai fini dell’ordinario conferimento dei rifiuti medesimi al servizio pubblico e della connessa applicazione delle disposizioni di cui agli articoli da 268 a 298 del testo unico per la finanza locale, approvato con regio decreto 14 settembre 1931, n. 1175, e successive modificazioni ed integrazioni.

1.1.1. I rifiuti speciali di cui ai punti 1), 3), 4), 5) del quarto comma dell’art.2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 915/1982 possono essere ammessi allo smaltimento in impianti di discarica aventi le caratteristiche fissate al punto 4.2.2, se rispettano le seguenti condizioni:

a) Abbiano una composizione merceologica analoga a quella dei rifiuti urbani o, comunque, siano costituiti da manufatti e materiali simili a quelli elencati nel seguito a titolo esemplificativo:
imballaggi in genere (di carta, cartone, plastica, legno, metallo e simili);
– contenitori vuoti (fusti, vuoti di vetro, plastica e metallo, latte e lattine e simili);
– sacchi e sacchetti di carta o plastica; fogli di carta, plastica, cellophane; cassette, pallets;
– accoppiati quali carta plastificata, carta metallizzata, carta adesiva, carta catramata, fogli di plastica metallizzati e simili;
– frammenti e manufatti di vimini e di sughero;
– paglia e prodotti di paglia;
– scarti di legno provenienti da falegnameria e carpenteria, trucioli e segatura;
– vibra di legno e pasta di legno anche umida, purché palabile;
– ritagli e scarti di tessuto di fibra naturale e sintetica, stracci e juta;
– feltri e tessuti non tessuti;
– pelle e simil-pelle;
– gomma e caucciù (polvere e ritagli) e manufatti composti prevalentemente da tali materiali, come camere d’aria e copertoni;
– resine termoplastiche e termo-indurenti in genere allo stato solido e manufatti composti da ali materiali;
– rifiuti ingombranti analoghi a quelli di cui al punto 2) del terzo comma dell’art.2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 915/1982;
– imbottiture, isolanti termici ed acustici costituiti da sostanze naturali e sintetiche, quali lane di vetro e di roccia, espansi plastici e minerali, e simili;
– moquettes, linoleum, tappezzerie, pavimenti e rivestimenti in genere;
– materiali vari in pannelli (di legno, gesso, plastica e simili);
– frammenti e manufatti di stucco e di gesso essiccati;
– manufatti di ferro tipo paglietta metallica, filo di ferro, spugna di ferro e simili;
– nastri abrasivi;
– cavi e materiale elettrico in genere;
– pellicole di lastre fotografiche e radiografiche sviluppate;

– scarti in genere della produzione di alimentari, purché non allo stato liquido, quali ad esempio scarti di caffe, scarti dell’industria molitoria e della pastificazione, partite di alimenti deteriorati, anche inscatolati o comunque imballati, scarti derivati dalla lavorazione di frutta e ortaggi, caseina, sanse esauste e simili;
– scarti vegetali in genere (erbe, fiori, piante, verdure, ecc.), anche i derivanti da lavorazioni basate su processi meccanici (bucce, baccelli, pula, scarti di sgranatura e di trebbiatura, e simili);
– residui animali e vegetali provenienti dall’estrazione di principi attivi.”

Le disposizioni della Delibera aggiunte il 13 dicembre 1984 (quarto capoverso cit.) risultano però sicuramente in contrasto con l’art.43 della Costituzione, che dispone:

“Art. 43.A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.”

Il cit. dettato costituzionale enuncia chiaramente che, al fine di riservare originariamente ad enti pubblici (nel caso di specie: i comuni)  determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali (com’è il servizio  relativo alla gestione dei rifiuti urbani) è necessaria una legge dello Stato. L’estensione della privativa comunale sui rifiuti (e conseguentemente anche il pagamento della tassa sui rifiuti che vengono qualificati come “urbani” e dunque sottratti al libero mercato degli “speciali”) non può quindi essere individuata da una mera “norma tecnica” priva di forza e di valore di legge, come è  la cit. Delibera interministeriale.

Lo  scenario relativo all’assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani, sotto la vigenza del decreto Ronchi (Dlgs 22/97), si caratterizza negli stessi termini in cui era disciplinato il regime di assimilabilità (tecnologica) nel sistema del D.P.R. n. 915/82, prima delle modifiche dell’art. 39 della legge n. 146 cit.(abrogato).In tal senso si esprime anche la  Circolare del Ministero delle Finanze, datata 7 maggio 1998  secondo la quale:

“L’abrogazione, ora disposta (dell’art. 39 della l. 146/94) fa venir meno l’assimilazione legale predetta, per cui dalla data di entrata in vigore della legge, i rifiuti delle attività economiche di cui all’art. 7, comma 3 del Dlgs n. 22 del 1997, ivi compresi i rifiuti precedentemente ritenuti urbani ordinari (ad es. quelli degli uffici e dei locali relativi ai servizi ed alla mensa, ecc.), sono da qualificare speciali, con la conseguente intassabilità, ai sensi dell’art. 2, comma 3, del Dlgs n. 507 del 1993, delle superfici ove di regola si producono, per struttura e destinazione, i predetti rifiuti speciali che, dalla medesima data, non dovranno essere quindi conferiti al servizio pubblico, ma avviati allo smaltimento o al recupero dagli operatori economici a proprie spese”.

I rifiuti speciali assimilati agli urbani nel Dlgs 152/2006

Per quanto attiene alla disciplina dei rifiuti speciali assimilati agli urbani, il Dlgs n. 152 del 2006 non ha introdotto modifiche rispetto all’abrogato Dlgs 22 del 1997 in merito alla  struttura dell’assimilazione , che rimane individuata nel modo seguente:

  • enunciazione normativa dell’esistenza di rifiuti speciali assimilabili agli urbani, 2) decreto ministeriale sui criteri di assimilazione; 3) concreta individuazione nel Regolamento comunale delle tipologie e/o delle quantità dei rifiuti assimilati.

Il comma secondo, lett.b) dell’art.184 classifica come rifiuti urbani   “i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli di cui alla lettera a)[2], assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, ai sensi dell’articolo 198, comma 2, lettera g)”.

L’attuale disposto del richiamato articolo 198 detta:“Spetta inoltre allo Stato:

..e) La determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l’assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali e dei rifiuti urbani. 

Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con il Ministro dello sviluppo economico, sono definiti, entro novanta giorni, i criteri per l’assimilabilità ai rifiuti urbani;”

Non si può non evidenziare, in primo luogo, la probabile esistenza di un refuso nel primo periodo della  lettera e) dove è scritto testualmente in Gazzetta Ufficiale:

“ La determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l’assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali e dei rifiuti urbani”.

Tale disposto assume un significato logico e giuridico comprensibile solo se sostituiamo alle parole “e dei” la parola “ai”. Diversamente il nuovo testo risulterebbe del tutto incomprensibile in quanto non si comprende la necessità di assimilare agli urbani rifiuti che sono già urbani.

Il cit. articolo  ha subìto varie modifiche nel corso del tempo, che ne hanno variamente modificato il significato[3].

Rifiuti assimilati agli urbani e tassa rifiuti-Tari

Come sopra rilevato l’esatta individuazione dei rifiuti speciali che sono assimilati agli urbani delimita il campo d’azione della privativa comunale e dunque anche l’importo della tassa che le utenze non domestiche devono pagare ai Comuni per il servizio di raccolta e di smaltimento dei rifiuti. Sotto tale profilo la giurisprudenza di legittimità si esprime in modo univoco ormai dal 2012.  Di recente il TAR Puglia, con sentenza  n. 351 del 1 marzo 2018 ha dichiarato che “Il rifiuto assimilato rappresenta quella tipologia di rifiuto che, nonostante sia stato prodotto da un’attività economica e nonostante non rientri nell’elenco di cui all’ art. 184, c. 2, D.Lgs. n. 152 del 2006, è stato assimilato al rifiuto urbano con apposita deliberazione comunale. Pertanto, l’ente, con la delibera di assimilazione apporta una trasformazione nel rifiuto, il quale, da rifiuto speciale, diviene rifiuto urbano, conferibile al servizio comunale e rientrante nella privativa dell’ente e, pertanto, soggetto a tassazione”.

Il TAR ha sottolineato che “ L’art. 198, c. 1, T.U. ambientale D.Lgs. n. 152 del 2006 stabilisce che gli enti devono concorrere alla gestione dei rifiuti limitatamente ai rifiuti urbani e possono estendere tale diritto attraverso il potere dell’assimilazione di un rifiuto speciale non pericoloso prodotto dalle utenze non domestiche, trasformandolo, in urbano.

Pertanto, il potere comunale di assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani trova la sua fonte primaria nelle norme dettate dal Testo unico dell’ambiente, mentre le norme tributarie che riguardano i rifiuti speciali assimilati disciplinano il prelievo connesso a questa speciale categoria di rifiuti, una volta assimilati.

Classificare il rifiuto considerando “chi lo ha prodotto”, implica che il rifiuto generato dalle utenze domestiche deve essere classificato rifiuto urbano, ed indipendentemente dalla composizione merceologica e dalla quantità prodotta, lo stesso rientra nella privativa dell’ente e soggetto a tassazione, mentre il rifiuto che viene prodotto dalle utenze non domestiche, è classificato come rifiuto speciale al cui smaltimento i produttori devono provvedere autonomamente attraverso l’utilizzo di ditte specializzate nel settore.

Il rifiuto assimilato rappresenta quella tipologia di rifiuto che, nonostante sia stato prodotto da un’attività economica e nonostante non rientri nell’elenco di cui all’ art. 184, c. 2, D.Lgs. n. 152 del 2006, è stato assimilato al rifiuto urbano con apposita deliberazione comunale.

Pertanto, l’ente, con la delibera di assimilazione apporta una trasformazione nel rifiuto, il quale, da rifiuto speciale, diviene rifiuto urbano, conferibile al servizio comunale e rientrante nella privativa dell’ente e, pertanto, soggetto a tassazione.
Il criterio di assimilazione e di assimilabilità dei rifiuti non urbani ossia per i rifiuti provenienti da attività artigianali, commerciali e di servizi è stato definito con l’ art. 60 del D.Lgs. n. 507 del 1993, il quale disponeva che i comuni con apposito regolamento comunale potevano assimilarli definendone la qualità e quantità. In seguito, con la L. n. 146 del 1994, sono stati assimilati tutti i rifiuti speciali indicati al punto 1.1.1, lett. a) della Deliberazione Comitato Interministeriale del 27/7/1984 previsto all’art. 5 del D.P.R. n. 915 del 1982. Questa deliberazione però considera solo l’aspetto qualitativo e merceologico del rifiuto, non considerandone la quantità e la provenienza del rifiuto.

È  entrato poi in vigore il D.Lgs. n. 22 del 1997 , il quale, all’art. 21, c. 2, lett. g, ha fornito all’ente la possibilità di assimilare, limitatamente ai rifiuti non pericolosi, mediante l’approvazione del regolamento comunale nel rispetto dei principi di qualità e quantità.

Il D.Lgs. n. 152 del 2006, successivamente intervenuto ha poi disposto, agli artt. 184, c. 3 e 198, c. 2, al punto g), “l’assimilazione, per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, secondo i criteri di cui all’art. 195, c. 2, lett. e), ferme le definizioni di cui all’art. 184, c. 2, lett. c) e d)”. Con l’art. 2, c. 26, lett. a), D.Lgs. n. 16 del 2008, è stato infine sancito che ” Spetta allo Stato la determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l’assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali e dei rifiuti urbani”.

Il regolamento comunale è illegittimo se non contiene i criteri quantitativi di assimilazione oltre ai qualitativi

Infine il TAR ha ribadito una posizione già assunta costantemente dalla giurisprudenza della Cassazione affermando che: “In ordine ai criteri di assimilabilità dei rifiuti speciali a quelli urbani, la Corte di Cassazione (sent.n. 9631 del 13/06/2012) ha chiarito che il regolamento comunale relativo alla Tarsu debba contenere non solo le caratteristiche qualitative dei rifiuti considerati assimilati, ma anche i criteri quantitativi, per poter essere ritenuto valido.”

La giurisprudenza di legittimità afferma dunque, già dal 2012, che nei Regolamenti Comunali sulla tassa-tariffa rifiuti i criteri di assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani devono essere sia di ordine qualitativo, che di ordine quantitativo. Se manca il parametro quantitativo, cioè il parametro-soglia oltre il quale il rifiuto non è più assimilato, il Regolamento  è illegittimo. La conseguenza è che tale Regolamento può essere impugnato da chi vi abbia interesse (nel caso di specie i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani) e sarà annullato in quanto privo del criterio quantitativo. Si deve rilevare che, nell’ambito dei comuni italiani, la maggior parte non ha inserito il criterio quantitativo e dunque ha Regolamenti sicuramente illegittimi[4].

 

[1] “Art. 4. Competenze dello Stato. Allo Stato competono: e) la definizione dei criteri generali per l’assimilabilità di rifiuti speciali ai rifiuti urbani, nonché, se necessario, la definizione di norme tecniche per lo smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi separatamente da ogni altra materia e residuo;”.

[2] Rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione.

[3] Per approfondimenti sul tema mi permetto di rinviare ai miei “LA GESTIONE DEI RIFIUTI DOPO IL DLGS 205/2010,  ed. Maggioli, aprile 2011” e  “Guida alla gestione dei RAEE, delle pile e dei Centri di raccolta”, con P.Paoli, ed. IPSOA, marzo 2011.

[4] Nella “Ricerca sulla applicazione della Tassa sui Rifiuti (TARI) e sulla conformità dei regolamenti comunali nei Comuni della provincia di Arezzo, Grosseto e Siena (ATO Toscana Sud)” del giugno 2016, prodotta da Confindustria Toscana sud, si legge che “il 72% dei Comuni della Toscana Sud non ha assimilato correttamente i rifiuti speciali non pericolosi agli urbani perché manca la definizione del criterio quantitativo.