Una conversazione sulla riforma costituzionale: appunti sparsi nell’ottica del Naturschutz

Non è necessario scomodare Pirrone di Elide. Preferisco ricordare che un mio cliente è stato indagato, imputato e processato per sette anni, fino – per fortuna – a una sudata assoluzione, perché ritenuto responsabile di un consistente spaccio di sostanze stupefacenti, quasi un grossista del mercato, in forza di “evidenti” prove costituite da ferree intercettazioni, dove figuravano i termini “bianca”, si parlava di grosse quantità, in kilogrammi, e di prezzi. Quel mio cliente vendeva vernici! E, dal canto suo, aveva soltanto avuto la sfortuna, per un breve periodo, di essere diventato assuntore di eroina e di aver frequentato noti piccoli spacciatori.

Certe esperienze, ben al di là di tanta teoresi giuridica, impongono di guardare e leggere con i propri occhi ciò che si ha davanti, per possederne una opinione innanzitutto personale, con la consapevolezza che difficilmente potrà essere scoperta la verità. Verità che giammai possiamo recepire dalle opinioni e dalle parole degli altri. I pubblici ministeri, nel caso appena raccontato, avevano tutta la presunzione e la certezza di sbattere in galera il mio cliente, con un’apparente granitica evidenza probatoria… che invece consisteva nella semplice vendita di vernici.

E la regola della sképsis informa anche il mio valutare la riforma costituzionale ormai alle porte del referendum. Ho avuto contratti d’insegnamento universitari per almeno otto anni nelle materie del diritto pubblico. So bene, quindi, di non sapere affatto un’infinità di cose. Ma sono certo di aver avuto sempre un’enorme difficoltà a spiegare le ragioni di ineluttabilità del “bicameralismo perfetto”. Soprattutto allorquando si supera la visione naïf secondo la quale nella Camera siederebbero i “giovani” propositivi e nel Senato i più attempati saggi. Allo stesso modo ho sempre avuto difficoltà a spiegare la ragnatela di equilibri a doppio (e triplo e quadruplo) senso tra le “Supreme magistrature”, il Presidente della Repubblica, il Governo e la Corte costituzionale.

Quando sono diventato “più grande” mi sono trovato a percepire discussioni di lottizzazioni di tali organi sulla base di “correnti”, anche e soprattutto di quelle interne alla magistratura, per cui i magistrati, da semplici dispensatori di giustizia, diventavano pedine e determinatori dell’alta politica istituzionale. Una maggiore “anzianità di servizio” mi ha portato a censurare più volte l’operato del tutto politico della Corte costituzionale, giacché mi sembrava il luogo tipico ed organico di corto circuito istituzionale di quell’equilibrio tra poteri/organi di cui ho poc’anzi detto e che davvero graficamente spiegavo sulla lavagna ai miei studenti.

Occupandomi di ambiente, di violate competenze delle Province autonome di Trento e di Bolzano e di “caccia sulla neve” (con una decisione tanto assurda quanto sbagliata finanche nel merito dei fatti, come quella resa da Corte cost.  n. 106/2012), mi sono facilmente accorto che la Consulta ha progressivamente e a colpi di piccone del tutto vanificato la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001. I giudici costituzionali (ma più spesso anche quelli di Piazza Cavour) hanno sterilizzato molte riforme limpidamente sgorgate tra i banchi parlamentari, al punto che più volte mi sono chiesto fino a che punto ciò fosse legittimo, posto che i poteri di controllo di costituzionalità sono stati dilatati, stravolti, ben oltre i chiari limiti stabiliti dalla Carta.

Ma non intendo andare oltre. Vorrei tentare una disamina limitata al Naturschutz, cioè agli interessi della tutela dell’ambiente (i vocaboli stranieri, a volte, semplificano il linguaggio!). Tutta la riforma lavora su due perni. Da un lato l’abolizione del Senato, mediante la sua sostituzione con una camera territoriale; dall’altro la riscrittura dell’art. 117 Cost., quanto al riparto di competenze tra Stato centrale e potestà normativa regionale.

Il primo vantaggio che si nota è dato dal superamento della duplicità, a mio parere ormai più che inutile, del procedimento legislativo che supponeva il doppio passaggio nelle due camere con il rischio d’innesco di un’inutile navetta, finanche per le inezie. Il risultato è ovvio, e cioè quello di un’accelerazione netta dei termini di esercizio della funzione legislativa. Il distacco dai fantasmi del passato è impedito da tutta una serie di bilanciamenti che preservano un ruolo pesante del Senato, comunque rappresentativo su base elettorale. I nuovi artt. 70 e 71 Cost. appaiono più che chiari in questo senso. Personalmente non vedo “pericoli” concreti di sorta, ma solo finalmente una possibilità di un Parlamento che possa cominciare ad operare senza tempi biblici e impossibili (si pensi alla riforma della legge quadro sulle aree protette, che a tratti si sveglia, cammina per un po’ e poi si riaccomoda in letargo, ma sempre rimanendo, al momento limitata in “una” sola camera).

Piuttosto, sulla base di quanto appena affermato, mi preoccupa il possibile controllo preventivo di legittimità costituzionale: strumento esistente in alcuni ordinamenti d’altri paesi, ma che nel nostro potrebbe rappresentare un’ennesima ed ingiustificata deferenza (e spostamento di potere) verso la magistratura.

Altri, troppi dettagli, mi appaiono una difficoltà ad operare con un colpo d’ascia semplicemente il taglio netto di una camera e, quindi, sembrano costruiti per evitare una cesura netta, ma non per questo pericolosa, con il passato.

L’altro perno, cioè l’art. 117 Cost., null’altro persegue se non un adeguamento fattuale a quel che della riforma del Titolo V residua in esito alle demolizioni operate dalla Consulta. Vi sono ulteriori e forti elementi di ritaglio di competenze in favore dello Stato, secondo il sequel delle decisioni dei giudici costituzionali. Il mio appunto critico è su una eccessiva complicazione linguistica della nuova norma. È scomparsa, invece, ragionevolmente, l’inutile e difficile “legislazione concorrente”, che è stata più fonte di contenziosi che di vantaggi. Quanto alla tutela dell’ambiente (e dell’ecosistema), la lettera s) dell’art. 117 Cost. non è stata modificata sul punto, ma anzi oggi contiene, a danno del prefigurato (e mai nato) regionalismo, la tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, l’ordinamento sportivo e le disposizioni generali e comuni sulle attività culturali e sul turismo. Positivi alcuni appunti ulteriori, come il chiarimento della riserva allo Stato, ad esempio, quanto alla potestà legislativa in materia di ordinamento delle professioni (su cui vi sono tanti buchi neri nelle legislazioni regionali a volte esistenti, a volte no, e sovente difformi tra loro) o alle infrastrutture energetiche ecc.

A questo punto la riflessione scivola su di un terreno di puro merito istituzionale, per capire, cioè, se il nostro Paese è predisposto o comunque maturo per una deriva federalista (contraria allo spirito della riforma), mai dal 1861 nemmeno accennata di esecuzione, ovvero se è preferibile recuperare un centralismo dirigista, migliorato dallo snellimento ed alleggerimento della funzione legislativa e del recuperato rapporto diretto tra esecutivo e camera. Si tratta di un argomento dalla difficile risposta. Di un dato sono decisamente certo, e cioè dell’effetto dirompente, positivo, della riforma costituzionale, verso un’uscita da una situazione di stallo che è ormai vecchia di sessantotto anni e che, se nel dopoguerra poteva avere una ragione, nelle logiche di compromesso e di eterodirezionalità del Paese, oggi deve per forza sbloccarsi nel recupero della possibilità concreta di avere un paese “normalmente” governabile.

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