I leader di 195 paesi si riuniscono oggi a Parigi per la Conferenza sul clima

Cop 21, per tagliare le emissioni bisogna prima abbattere l’ipocrisia

Renzi: «L'Italia vuole stare tra i protagonisti della lotta all'egoismo». Ma le scelte di governo parlano d’altro

«Mai prima d’ora una responsabilità così grande è stata nelle mani di così pochi. Il mondo vi guarda. Il mondo conta su di voi». Christiana Figueres, a capo della Unfccc – l’organismo Onu che organizza la Conferenza sul clima – ha salutato con queste parole l’arrivo dei leader mondiali riunitisi a Parigi per dare avvio alla Cop 21. Circa 150 capi di stato e negoziatori provenienti da 195 paesi diversi tratteranno fino al 12 dicembre con lo scopo di mantenere il pianeta vivibile per la nostra specie così come lo è adesso.

Un risultato che a oggi è tutt’altro che scontato. Dall’inizio dell’era pre-industriale a oggi la temperatura media globale si è già innalzata di un grado a causa delle attività umane, e basta salire di un solo altro grado perché si infranga quella barriera che ci separa da un mondo dominato da cambiamenti climatici disastrosi e irreversibili. Un mondo più ostile alla specie umana, un mondo più povero, un mondo più disuguale. Un mondo che oggi possiamo però ancora evitare.

«Sono ragionevolmente ottimista e convinto che in questa Cop 21 i leader mondiali adotteranno un accordo sui cambiamenti climatici universale e molto ambizioso – ha affermato il leader dell’Onu, Ban Ki-moon, alla vigilia dei negoziati – La scienza ha reso chiaramente evidente che i cambiamenti climatici sono causati dal comportamento umano, e dovrebbe essere naturale per noi umani cambiare il nostro comportamento in modo sostenibile. Dobbiamo farlo. Noi non abbiamo tempo da perdere. È per questo che sto sollecitando i leader mondiali a dimostrare la loro leadership morale e politica per l’umanità».

L’evento in corso a Parigi non ha precedenti nella storia umana. Il celebre Protocollo di Kyoto, che trova i suoi natali nella Cop 3 del 1997, riuniva i paesi emettitori del 12% delle emissioni di gas climalteranti. Oggi, la quota delle emissioni rappresentate a Parigi arriva al 94%. «Sono venuto di persona come rappresentante della prima economia mondiale e del secondo inquinatore per dire che noi, Stati Uniti – ha dichiarato il proposito il presidente Barack Obama –  non solo riconosciamo il nostro ruolo nell’aver creato il problema ma che ci assumiamo anche la responsabilità di fare qualcosa in proposito. Possiamo cambiare il futuro qui e adesso».

Il problema è che gli impegni finora presentati dai Paesi riuniti nella Cop 21 non arrivano a centrare l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro 2 °C. Gli impegni internazionali sul clima disegnano un mondo dalla temperatura più alta di 3,5 °C rispetto all’era preindustriale, ed è un mondo che la nostra specie non può permettersi.

La nostra generazione si trova così a fronteggiare due forze primordiali, entrambe iscritte nel nostro Dna. Lo spirito di autoconservazione contrapposto al corto-terminismo, ossia il prevalere di un’ottica di breve periodo nelle umane scelte, per di più fomentata oggi dalla ricerca a ogni costo del profitto a brevissimo termine tipica del mondo finanziario. Tra queste due forze in lotta non è per niente scontato che vinca la prima.

Davanti a un tale rischio, ognuno è chiamato a fare la propria parte. «C’è una sfida che riguarda tutti noi, il futuro del pianeta – è il commento del premier italiano Matteo Renzi – Senza allarmismi inutili dobbiamo prendere atto che siamo ad un bivio. L’Italia vuole stare tra i protagonisti della lotta all’egoismo, dalla parte di chi sceglie valori non negoziabili come la difesa della nostra madre terra». Il presidente del Consiglio si è però dimenticato di ricordare come l’Italia non possa annoverarsi tra i primi della classe: dopo anni di crisi economica che hanno abbattuto sia le nostre emissioni di gas serra sia la produzione di rifiuti interna al Paese, ai primi timidissimi segnali di ripresa economica entrambe sono tornate a crescere, dimostrando quanto ancora sia lontana l’inversione di rotta verso un nuovo modello di economia circolare, e le scelte politiche del governo non facilitano certo il cambiamento. Perché abbia davvero successo, la Cop 21 dovrà prima svestirsi di molta ipocrisia. Come osserva oggi la scrittrice canadese Naomi Klein su The Guardian che “i potenti del mondo sono chiusi nel loro bunker”, ed è questa l’impressione che i leader dovrebbero assolutamente evitare di dare, soprattutto se vogliono davvero combattere il terrorismo e il riscaldamento globale, perché senza consenso e partecipazione, senza porre fine alle ingiustizie sociali e climatiche, sono destinati al fallimento: a governare un mondo caotico nel quale la globalizzazione si trasforma in incubo per lo stesso capitalismo neoconservatore.