Cop21, Cospe: «Accordo non adeguato per sfida più grande di tutti i tempi»

Un accordo declamato dalla maggioranza politica e mediatica come un successo, una svolta  epocale. Ma il risultato della Conferenza delle parti delle Nazioni Unite (Cop21) che si è svolta a Parigi questo dicembre, ha avuto ben poche ambizioni. “Cambiare tutto per non cambiare niente”, si potrebbe dire come espresso più volte da diverse realtà della società civile, perché la nuova architettura che si è andata delineando nel sistema negoziale di lotta al cambiamento climatico rivedrà fin dalle sue basi la filosofia che ha ispirato gli ultimi vent’anni di negoziato climatico.

Si sta passando da un sistema vincolante, in cui gli stessi impegni di riduzione delle emissioni erano per alcuni Paesi dei veri e propri obblighi (stiamo parlando del Protocollo di Kyoto e dei Paesi Annesso 1, quelli industrializzati), a un accordo vincolante, nel senso che tutti i governi dovranno sottostare a un meccanismo di monitoraggio e di verifica degli impegni proposti a livello nazionale, senza che per questo esista un dispositivo sanzionatorio per imporre ai Paesi il rispetto degli  obiettivi indicati. Il rischio, sottolineato da diverse organizzazioni della società civile, è che non si riesca a rispettare il target di rimanere sotto i 2°C di aumento medio della  temperatura rispetto all’epoca preindustriale, visto che le tendenze generali, sommando tutti i piani di riduzioni proposti alle Nazioni Unite (oltre 160), parlano di  oltre 3°C. Uno scenario preoccupante che rischia di esporre comunità umane ed ecosistemi a impatti non prevedibili, con la diminuzione della produttività agricola soprattutto per  l’Africa subsahariana, di sempre minore disponibilità di acqua messa oltretutto a rischio da politiche di water grabbing [accaparramento idrico] che attraverso diverse forme di sottrazione di gestione e utilizzo della risorsa intesa come bene comune, mettono in discussione il diritto umano all’acqua. Scenari che dovrebbero prevedere risorse messe a disposizione dei Governi del Sud del mondo, che erano state considerate in 100 miliardi di dollari all’anno al 2020, ma che ad oggi non sono state mobilizzate come si dovrebbe dai Paesi donatori.

La parte dell’accordo che si riferisce al fondo per il clima è ben sviluppata, sottolineando come quella cifra già proposta, altro non possa essere che una base da cui partire. Da cui in verità non si è ancora sostanzialmente partiti in maniera efficace. Rispetto alle aspettative generali, un obiettivo è stato raggiunto: tenere tutti a bordo. Cina, India e Stati Uniti, tra i principali inquinatori, stanno all’interno di un accordo che metterà le basi di un nuovo sistema di lotta al cambiamento climatico a partire dal 1° gennaio 2021. Il problema vero è che ad oggi non è adeguato a  rispondere alla più grande sfida di tutti i tempi. Per questo la società civile e i movimenti sociali hanno scelto di creare una vera e propria agenda dal basso, che è stata presentata nello spazio liberato dello Zac (Zone action climatique) con l’organizzazione di eventi e di momenti di confronto. La necessità è quella di riconnettere i fili e di ritornare sui territori, creando  le condizioni per una vera e propria transizione ecologica e sociale praticata dal basso. La lotta contro le infrastrutture, come gli oleodotti o i pozzi estrattivi e  le miniere, la difesa del territorio grazie allo sviluppo di pratiche agroecologiche, la lotta contro la privatizzazione e alienazione del controllo di beni comuni come l’acqua, sono state le priorità di realtà come la Global convergence, che si è riunita durante la Cop21 dopo un percorso che ha visto anche i Forum sociali di Dakar e Tunisi come tappe della riorganizzazione. La partecipazione alle mobilitazioni a Parigi, anche se ridimensionate a causa dello stato di emergenza e di polizia in seguito agli attentati del novembre scorso, ha dimostrato come la questione del cambiamento climatico sia sempre più al centro delle preoccupazioni dei cittadini. E come sia necessario, ora più che mai, cambiare rotta. Partendo dai nostri stili di vita quotidiani, per arrivare a ridefinire, una volta per tutte, le regole che sottostanno alla governance globale.

di Marirosa Iannelli – Cospe