Costituzione, cosa cambierebbe? La riforma spiegata in pillole

 

La Costituzione
La Costituzione della Repubblica italiana è divisa in due parti: la prima contiene i «principi fondamentali», la seconda l’«ordinamento della repubblica», e cioè la “forma di governo”.

Il progetto di revisione
Il progetto di revisione, che sarà sottoposto a referendum popolare ai sensi dell’art. 138 della Costituzione stessa (come accadde nel 2001), non solo non tocca i principi fondamentali, ma nemmeno modifica la forma di governo, giacché interessa direttamente soltanto pochi articoli.
I punti della revisione riguardano:
– la trasformazione del Senato con il superamento del bicameralismo paritario;
– l’introduzione di limiti alla legiferazione tramite decreti legge e la previsione di un tempo più certo per l’esame di alcuni disegni di legge d’iniziativa governativa;
– l’introduzione di nuove regole per lo svolgimento dei referendum;
– la riscrittura delle competenze legislative tra Stato e Regioni;
– l’abolizione del Comitato nazionale economia e lavoro;
– l’abolizione delle Province.

Il “nuovo” Senato
Per quanto attiene alla trasformazione del Senato, è il caso di ricordare che il “bicameralismo paritario” sta a significare che le due camere sono distinte non per funzioni, ma solo per composizione (numero dei parlamentari che vi siedono), età per l’elettorato attivo e passivo (gli elettori devono possedere 25 anni per il Senato, 18 anni per la Camera; i candidati devono avere compiuto 40 anni per il Senato, 25 anni per la Camera), sistema elettorale (per cui i senatori sono eletti per circoscrizioni su base elettorale: ed il meccanismo, per ciò e per via del diverso numero dei parlamentari, è comunque tale da provocare la determinazione di maggioranze anche sensibilmente diverse nella composizione della Camera rispetto a quella del Senato).
La revisione prevede la generale trasformazione del Senato in “camera di rappresentanza delle istituzioni territoriali”, dove siedono 95 senatori che vengono direttamente eletti, con metodo proporzionale, dai consigli regionali (e dai consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano) fra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, fra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori. In questo modo il Senato risulterà composto da 74 consiglieri regionali e 21 sindaci. Ciò costituisce una novità, giacché in alcun modo, prima d’ora, il Senato poteva dirsi rappresentativo delle autonomie territoriali. Con legge ordinaria, da emanarsi entro sei mesi dall’entrata in vigore della revisione costituzionale, saranno stabilite le modalità di elezione dei membri e di ripartizione dei seggi. I senatori, così eletti, rimarranno in carica per una durata pari a quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti e riceveranno solo l’indennità che già percepiscono in quanto sindaci o consiglieri regionali.
Una ulteriore novità, nella diversa composizione del Senato, attiene alla figura dei senatori a vita, oggi di fatto un po’ indefiniti nel numero massimo e comunque destinati a permanere in parlamento, appunto, “a vita”, i quali invece (per il numero meglio stabilito di cinque in totale) dureranno in carica solo sette anni e non potranno essere nuovamente nominati.
Il Senato così composto esce fuori dalla parità di funzione legislativa con la Camera, divenendo fulcro per specifici poteri e competenze.
In tal senso, concorrerà (come in passato) con la Camera solo per alcuni argomenti legislativi, come:
– le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali;
– le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari propositivi e di indirizzo;
– le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni;
– le leggi che stabiliscono le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea;
– le leggi che determinano i casi di ineleggibilità e di incompatibilità per i senatori;
– la legge che regola le modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato tra i consiglieri e i sindaci, nonché quelle per la loro sostituzione, in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale o locale;
– le leggi che autorizzano la ratifica dei trattati relativi all’appartenenza dell’Italia all’Unione europea;
– alcune leggi contemplate dalla nuova riscrittura degli artt. 116 e 117 Cost in tema di autonomia normativa delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano e di gestione patrimoniale delle Regioni, dei Comuni e delle Città metropolitane;
– le leggi che disciplinano l’esercizio dei poteri sostitutivi statali verso gli organi delle Regioni delle Città metropolitane e dei comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, “ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili”;
– le leggi che disciplinano i principi fondamentali del sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali, e l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza;
– le leggi che disciplinano la possibilità di passaggio, mediante referendum locale, di uno o più comuni da una regione ad un’altra limitrofa.
Tali leggi dovranno essere approvate sia della Camera sia del Senato e potranno essere abrogate, modificate o derogate solo seguendo la medesima procedura.
Camera e Senato approveranno anche le leggi che autorizzano la ratifica dei trattati relativi all’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.
In ogni caso, al Senato è rimesso un potere di chiusura sulla funzione legislativa della Camera, giacché potrà, con deliberazione adottata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, richiedere alla Camera dei deputati di procedere all’esame di un disegno di legge proposto dallo stesso Senato.
Ancora, ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato può deliberare proposte di modificazione del testo.
Inoltre, il Senato può svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all’esame della Camera dei deputati.
In termini più generali, il Senato “valuta le politiche pubbliche e l’attività delle pubbliche amministrazioni e verifica l’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori”, nonché “concorre ad esprimere pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge e a verificare l’attuazione delle leggi dello Stato”.
Restano invariati i poteri esercitati dal Parlamento in seduta comune per l’elezione del Presidente della Repubblica e la sua eventuale messa in stato di accusa, con la partecipazione paritaria sia dei membri della Camera sia di quelli del Senato.

Decreti legge e proposte di legge d’iniziativa governativa
E’ notorio che il ricorso alla decretazione d’urgenza, sovente, si sia trasformato in uno strumento di abuso e di superamento della funzione legislativa del Parlamento, chiamato alla continua conversione dei decreti legge emanati dal Governo (spesso dal contenuto estremamente vario e con previsioni del tutto estranee ai requisiti di necessità ed urgenza che informano siffatto esercizio di potere legislativo governativo).
A seguito della revisione costituzionale, il Governo vedrà limitati i propri poteri di decretazione d’urgenza, in quanto non potrà incidere sulle materie costituzionali ed elettorali, di delegazione legislativa, di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi.
Il Governo, non potrà, tramite decreto legge: reiterare disposizioni adottate con decreti non convertiti in legge e regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei medesimi, né ripristinare l’efficacia di norme di legge o di atti aventi forza di legge che la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi per vizi non attinenti al procedimento.
Inoltre, i decreti legge non potranno possedere più un contenuto disomogeneo e non coerente con il titolo (es.: “milleproroghe”, “omnibus”, ecc.) o recare discipline che non siano di reale “immediata applicazione”. Tale garanzia è assicurata anche nella fase di conversione, posto che: nel corso dell’esame di disegni di legge di conversione dei decreti non possono essere approvate disposizioni estranee all’oggetto o alle finalità del decreto.
Nel caso di disegni di legge d’iniziativa governativa, poi, è previsto che il Governo potrà chiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro 5 giorni dalla richiesta, che il disegno di legge sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera entro 60 giorni dalla deliberazione. La previsione non si applica per le materie per le quali la funzione legislativa è esercitata collettivamente da Camera e Senato, per la materia elettorale, per l’autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, per le leggi di amnistia e indulto e di bilancio.

I referendum
Il testo vigente della Costituzione contempla soltanto il ricorso al referendum popolare c.d. “abrogativo”, e cioè destinato all’abrogazione totale o parziale di atti aventi il valore di leggi ordinarie in vigore (con l’esclusione delle leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali).
La proposta di referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. Il quorum deliberativo, in considerazione dell’elevato astensionismo elettorale, è risultato essere, di frequente, un ostacolo alla effettività di tale strumento di democrazia diretta.
Di qui la nuova previsione che aggiunge, al dato normativo esistente, una possibilità in più: se la richiesta di referendum abrogativo sarà avanzata da 800.000 elettori (al posto di 500.000), il referendum sarà valido se parteciperà la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera dei deputati anziché la maggioranza degli aventi diritto al voto. Il collegamento tra l’elevato numero di proponenti e la stabilizzazione del quorum sugli effettivi votanti, corrisponde una maggiore coerenza con l’impiego effettivo di tale strumento.
Il nuovo art. 71 prevede altresì, con notevole rilevanza, la possibilità di svolgere altre forme di consultazione a mezzo referendum, anche “propositivi e d’indirizzo” secondo quanto sarà appositamente stabilito con separata legge costituzionale.

Il nuovo riparto di competenze tra Stato e Regioni
La Costituzione repubblicana non costruisce l’ordinamento dello Stato secondo forme federali o, più lievemente, attribuendo ampia autonomia alle realtà locali e territoriali, Regioni in primis.
Una prima attuazione del “regionalismo” si deve al d.p.r. 616/1977.
Nel 2001, la modifica del Titolo V della Costituzione ha tentato l’apertura di una nuova era.
Purtroppo, però, la figura della legislazione concorrente, troppo ambigua, e gli interventi reiterati e distruttivi della Corte costituzionale, reazionari, iterativi ed espansivi delle istanze centraliste dello Stato hanno finito per porre nel nulla la riforma. Con ogni conseguenza in ordine alla certezza, per i legislatori regionali, di poter adempiere alla propria funzione legislativa senza vedersi il prodotto normativo caducato dai giudici costituzionali entro breve termine.
La riscrittura dell’art. 117, in particolare, mira a far cessare questo stato d’incertezza.
E’ stata, per ciò, eliminata la categoria delle materie oggetto di “legislazione concorrente”, per lo più restituite allo Stato, senza però modificare la clausola di riserva secondo cui spetta alle Regioni la competenza legislativa “in ogni materia non espressamente riservata alla competenza esclusiva dello Stato”.
Principalmente, oggi, compete alle Regioni la “potestà legislativa in materia di rappresentanza delle minoranze linguistiche, di pianificazione del territorio regionale e mobilità al suo interno, di dotazione infrastrutturale, di programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali, di promozione dello sviluppo economico locale e organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese e della formazione professionale; salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, in materia di servizi scolastici, di promozione del diritto allo studio, anche universitario; in materia di disciplina, per quanto di interesse regionale, delle attività culturali, della promozione dei beni ambientali, culturali e paesaggistici, di valorizzazione e organizzazione regionale del turismo, di regolazione, sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale, delle relazioni finanziarie tra gli enti territoriali della Regione per il rispetto degli obiettivi programmatici regionali e locali di finanza pubblica”.

L’abolizione del Cnel e delle Province
Secondo l’art. 99 il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, composto da “esperti e rappresentanti delle categorie produttive, in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa”, è “organo di consulenza delle Camere e del Governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono attribuite dalla legge”, inoltre “ha l’iniziativa legislativa e può contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge”. Peccato che non abbia mai sostanzialmente funzionato! Né quale organo di consulenza né quanto al potere d’iniziativa legislativa. Rimane, però, un ente molto costoso. L’abolizione era, da tempo, scontata e annunciata.
Le Province sono state già sostanzialmente svuotate di contenuti e di competenze ad opera della l. 56/2014 (legge “Del Rio”): la cancellazione dal testo costituzionale può dirsi una logica e necessitata conseguenza.

Corollari
Minimali le modifiche tralasciate di trattazione, tra queste quelle che sono solamente una conseguenza di adattamento linguistico-normativo alla modificazione dei poteri e delle funzioni del Senato (ad es.: “La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sono eletti per cinque anni”/”La Camera dei deputati è eletta per cinque anni”).
Resta soltanto da aggiungere che (e la storia dell’abrogazione del “porcellum” da parte della Corte costituzionale vi funge da illuminante precedente) è introdotta la possibilità di un ricorso preventivo di legittimità alla Corte costituzionale (c.d. “controllo preventivo”) avverso l’emanazione di leggi elettorali. Il ricorso è proposto da un terzo dei componenti del Senato oppure un quarto dei componenti della Camera entro dieci giorni dall’approvazione della legge.
Inoltre, per quanto concerne l’elezione del Presidente della Repubblica, cambiano lievemente e matematicamente i quorum per l’elezione, giacché: dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dell’assemblea. Dal settimo scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti. Tutto ciò in forza della nuova composizione numerica del Senato. Secondo la precedente formulazione dell’art. 83, dopo il terzo scrutinio era sufficiente la maggioranza assoluta dei componenti dell’Assemblea. Ovviamente, data la nuova rappresentanza senatoria, non partecipano più, all’elezione, i delegati regionali (tre per ogni regione, uno per la Valle d’Aosta).

Leggi qui gli altri articoli del nostro think tank pubblicati su Ecoquadro: https://www.greenreport.it/nome-rubrica/eco2-ecoquadro/