Il diritto umano all’acqua visto dall’Africa

Nel corso del ‘900 il Ghana ha assistito a una sottrazione delle risorse idriche comunitarie, attraverso politiche di centralizzazione e di privatizzazione della gestione dell’acqua. Dopo il periodo coloniale, vi fu una fase di “statalizzazione” dell’acqua, che ha visto l’ente pubblico Gwsc (Ghana water and serwerage corporation) come unico gestore dell’acqua per tutto il paese. Negli anni ‘90, con la cosiddetta “riforma”, l’acqua non ritornò alle comunità, ma si costituì un modello di gestione dell’acqua plasmato sulla base delle politiche della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale, proponendo il partenariato pubblico/privato come soluzione più efficace per le risorse idriche. Da allora le politiche ghanesi si sono orientate in questa direzione, e questo processo è culminato nell’accordo del 2006 quando il governo ghanese, grazie a un finanziamento della Banca mondiale per la privatizzazione delle risorse idriche, ha co-gestito l’acqua del Paese insieme alla multinazionale olandese-sudafricana Avrl (Aqua vitens rand limited).

Grazie alle proteste della società civile, nel 2011 (anno conclusivo del contratto tra la Gwsc e Avrl), l’acqua è tornata in mano al settore pubblico, e tale scelta è rimasta invariata fino ad oggi. Nonostante questo in Ghana sussistono ancora forti carenze e discriminazioni nel sistema di gestione dell’acqua, e moltissime persone tutt’oggi non possono permettersi l’accesso all’acqua potabile. Un esempio di ciò è il sistema “pre-paid”, che esclude dal servizio chiunque non abbia i soldi per poter pagare in anticipo l’acqua che consuma, impedendo a priori l’erogazione dell’acqua alle popolazioni più povere.

Di tutto questo abbiamo parlato con Leonard Shang-Quartey, advocacy officer dell’integration association development center (Isodec), una delle principali Ong ghanesi che si occupa di acqua.

Leonard, insieme alla sua associazione e a Cospe Onlus, collabora per rafforzare la gestione delle risorse idriche e i servizi igienici, con l’obiettivo non solo di migliorare la qualità dell’acqua e della sua fornitura, ma anche quella di coinvolgere la popolazione locale nelle politiche per la sua gestione.

Come e perché sei diventato un advocacy officer

«Quando ero all’università del Ghana iniziai a avere a cuore ai problemi relativi al diritto all’acqua e mi resi conto che le imprese private cominciavano a guardare con interesse all’acqua, la nostra acqua, che prima era amministrata dal settore pubblico, ma che voleva dare in gestione ai privati. Questo per me significava che la gente, soprattutto quella povera, non avrebbe avuto più la possibilità di accedere all’acqua. Questa fu una delle motivazioni che portò alcuni di noi ad unirsi alla human rights water campaing (Ncap) in Ghana. Questo accadeva nel 2003, e già da allora promuovevamo il diritto umano all’acqua».

Qual è la situazione attuale per quanto riguarda il diritto all’accesso all’acqua in Ghana?

«Attualmente in Ghana le statistiche ufficiali mostrano un quadro positivo per quanto riguarda l’accesso all’acqua: circa l’80% delle persone nelle zone urbane hanno accesso all’acqua, mentre nelle zone rurali l’accesso all’acqua è del 65%/70%. Ma tutto questo rappresenta soltanto la copertura del sistema idrico, non il numero di persone che possono aprire i rubinetti e avere acqua corrente: ci sono molte comunità che non hanno accesso all’acqua, ci sono tante case che non hanno l’acqua corrente, altre che non hanno proprio le tubature. Anche nelle città la gente deve uscire di casa e comprare l’acqua per qualsiasi attività quotidiana come lavarsi, cucinare e bere. Per le zone rurali la situazione è simile. Prima della riforma l’acqua delle campagne dipendeva interamente dalle zone urbane. Dopo gli anni novanta il sistema idrico delle zone rurali è stato reso indipendente, e la campagna si è ritrovata a dover contare solo su sé stessa; non avendo abbastanza risorse per la propria sopravvivenza, le zone rurali hanno iniziato a dipendere dai donatori e dalla carità: siamo così diventati dei “cacciatori di donazioni”, in attesa di fondi che spesso non arrivano.

Tutti, governo compreso, sono d’accordo a fare qualcosa per questa situazione, sia per quanto riguarda l’acqua rurale sia per quella urbana. C’è molto che si può fare, ma bisogna agire subito perché la gente non può aspettare in eterno per il diritto umano all’acqua.

Il governo ha risposto in qualche modo alle richieste della popolazione?

«Sì, il governo ha risposto positivamente, impegnandosi con la popolazione ghanese. Ma quello che la società civile vuole è l’impegno finanziario del governo, che attualmente non sta avvenendo. E questo significa molto di più del semplice impegno verbale».

Perché è importate la presenza della società civile nella lotta dell’accesso all’acqua?

«Per quanto riguarda l’accesso all’acqua per tutti, il coinvolgimento della società civile diventa fondamentale, perché mentre il settore del “business” è ben organizzato, è difficile che i cittadini lo siano.  Associazioni come Isodec e Cospe cercano di riempire questo gap, aiutando nella creazione di network che sono capaci di rendere visibile la volontà dei cittadini, i loro problemi e le possibili soluzioni.  Se tutto va bene, queste idee influenzeranno i processi politici».

Secondo lei i trattati commerciali internazionali, ad esempio quelli tra Africa e Unione europea o il Ttip (Transatlantic trade and investment partnership) possono incidere negativamente sul diritto umano all’acqua?

«Sì, alcuni degli effetti che vediamo della globalizzazione economica sono contrari agli interessi della gente comune. È interessante vedere come il capitale globale stia cercando, con trattati internazionali come il Ttip, di prendere il controllo dell’acqua in Europa, come è già successo in Ghana con un accordo bilaterale che ha introdotto la gestione pubblico/privato. L’accordo è stato usato per promuovere un approccio liberale ai beni e sevizi, e il governo l’ha usato per far competere liberamente le aziende, anche estere, su questi servizi».

Adesso sei qui per raccontare la tua esperienza di attivista in Ghana per il diritto all’acqua agli studenti italiani. Può essere un esempio per gli italiani?

«Sì, è interessante condividere suggerimenti, esperienze del Ghana con dei giovani qui in Italia. Qualcuno è rimasto scioccato da alcune immagini che mostrano la sofferenza di alcune popolazioni del Ghana: in molti luoghi del mio paese l’acqua corrente non c’è, devi pendere il tuo gallone, la tua bacinella e andare alla riva del fiume per prendere l’acqua fresca. Questo è un problema soprattutto per le ragazze, perché nella maggior parte dei casi sono loro che lo fanno rinunciando, per questo, alla loro educazione, mentre i loro colleghi sono in classe.

Quindi è interessante condividere alcune di queste storie, ma lo è anche soffermarsi su come si possono cambiare queste situazioni. Quello che è accaduto in Ghana, dove per lungo tempo hanno privatizzato l’acqua, può accadere in ogni altra parte del mondo. In Europa ora il Ttip include anche i servizi, il che significa che il business vuole subentrare alla gestione dell’acqua, per poter fare quello che vuole con questo diritto. La società civile deve combattere in ogni parte del mondo: non solo i trattati nazionali, ma anche i trattati globali. C’è bisogno di unità della società civile in tutto il mondo per combatterli».

Tornando al “livello locale”, si sta avvicinando la chiusura del progetto Water citizen. Quali sono i risultati di questo progetto, e quale saranno i prossimi passi?

«Penso che il progetto Water Citizen sia stato molto importante e anche molto strategico, in quanto è stato capace di suggerire nuovi modelli per l’amministrazione dell’acqua. Perché se guardi al Ghana, l’intero sistema di gestione e amministrazione dell’acqua è centralizzato. Ciò che il progetto Water citizen fa è cercare di far collaborare tutti gli attori del territorio per risolvere i problemi dell’amministrazione dell’acqua a livello di assemblea di distretto, o a livello locale. È un tipo di decentralizzazione lontano da un modello in cui l’acqua è gestita solo in funzione dei soldi, dove la gente ha un diretto controllo e potere decisionale sulla risorsa idrica. Ma abbiamo anche appreso che dobbiamo fare di più, riuscire a incidere di più sulle istituzioni, per ottenere un governo locale democratico, libero, dove i cittadini siano coinvolti. I modelli proposti da Water citizens possono far comprendere perché la decentralizzazione del sistema di gestione dell’acqua non può aspettare ancora».

di Elena De Zan, Cospe per greenreport.it

Per maggiori informazioni sulla gestione dell’acqua in Ghana:

http://www.cospe.org/wp-content/uploads/2014/03/reportghana_gen2015ita.pdf (ita)

http://www.cospe.org/wp-content/uploads/2014/03/reportghana_ENG.pdf (eng)

Per informazioni sul progetto Water Citizen: http://www.cospe.org/progetto/water-citizen/