Jefta, l’accordo di libero scambio col Giappone che piace ai sovranisti italiani

Il Parlamento europeo l’ha approvato nei giorni scorsi, dopo essere passato per lo scrutinio dal Consiglio europeo (e quindi dai Governi nazionali)

In uno dei momenti più difficili per Strasburgo e per l’Europa, con l’ennesimo stato di emergenza antiterrorismo, il Parlamento europeo – con 474 voti a favore, 152 contrari e 40 astenuti – ha scelto di approvare il Jefta, l’Accordo di liberalizzazione commerciale con il Giappone, dando il definitivo via libera al trattato nonostante la preoccupazione e le critiche espresse da un’ampia coalizione della società civile, da sempre impegnata sui temi della giustizia economica e sociale.

A differenza di altri accordi, come il Ceta con il Canada che prevede capitoli di competenza nazionale e che quindi richiedono la ratifica dei Parlamenti degli Stati membri, il Jefta è stato progettato come “EU-only”, cioè con competenze specificamente comunitarie, e quindi con procedure di approvazione più spedite. Prima della ratifica dell’Europarlamento infatti, l’accordo è passato per lo scrutinio dal Consiglio europeo, e quindi dei Governi nazionali, dove tutti i membri (nessuno escluso, nemmeno i sovranisti Orban o il pentaleghista Conte) hanno espresso il loro sostegno. «Un buon accordo» dichiara Tiziana Beghin, europarlamentare pentastellata da sempre in prima linea contro trattati come Ttip e Ceta. Ma è veramente così?

La campagna Stop Ttip Stop Ceta Italia, in collaborazione con le reti internazionali sulla TradeJustice, ha elaborato un dossier specifico (Jefta, affari a tutti i costi: una riforma commerciale che scavalca la democrazia), dove vengono evidenziate le criticità del trattato e il motivo per cui quell’approvazione “non s’aveva da fare”. L’accordo con il Giappone riprende nella sua struttura trattati più conosciuti come il Ceta o il Ttip, sebbene non sia presente (ancora e per scelta) il capitolo specifico sugli investimenti e con l’arbitrato Isds/Ics, che avrebbe permesso alle imprese e agli investitori di citare in giudizio i Governi in caso di regolamentazioni giudicate troppo restrittive e distorsive del mercato. La mancanza di un tale dispositivo – almeno per ora, visto che potrà essere approvato in un secondo momento – ha permesso di evitare la ratifica degli Stati membri, procedura molto delicata in un momento di crescente euroscetticismo.

La ratifica del Parlamento europeo ha dato il via libera a un testo che prevede l’istituzione di una dozzina di comitati tecnici, i quali, d’ora in poi, lontano dal controllo pubblico, prenderanno in esame regole e tutele in vigore nel nostro e negli altri Paesi coinvolti, per indebolirle laddove frenassero gli scambi commerciali.

Un processo chiamato “cooperazione regolatoria” e che rischia di indebolire il potere di controllo dei cittadini, che, assieme alla non cogenza del capitolo sulla protezione dei diritti, è uno degli aspetti più controversi di questi trattati. In caso di controversia sugli aspetti legati al diritto del lavoro (il Giappone che non ha ancora aderito a due delle Convenzioni, la 105 sull’abolizione del lavoro forzato e la 111 sulle discriminazioni all’assunzione e sul lavoro) o sulla protezione ambientale, tutto potrà essere risolto solamente da panel consultivi, senza alcuna possibilità di sanzione o sospensione dei benefici commerciali.

Sul lato servizi, nel Jefta come nel Ceta, l’Unione europea ha stabilito di usare per la liberalizzazione la redazione una lista negativa, elencando nell’Allegato tutti i servizi esclusi dalla liberalizzazione. Tutto ciò che non sia specificamente in elenco è aperto alla concorrenza da parte delle imprese giapponesi e, quindi, potenzialmente disponibile alla privatizzazione. Inoltre la clausola di pubblica utilità contenuta nel Jefta menziona solo  i  monopoli  pubblici e i loro diritti esclusivi  come  possibili  restrizioni per  gli  operatori  esteri.

Nonostante le promesse inserite nel “contratto di governo”, l’Italia (al Consiglio europeo) e gli europarlamentari legati alla maggioranza hanno deciso di dare il via libera al trattato, che vedrà una sua applicazione concreta nei mesi successivi. I riflettori, adesso, si spostano sul Ceta e sul suo prossimo passaggio al Parlamento italiano.

La Campagna “Stop Ttip Stop Ceta” Italia sta chiedendo che il Parlamento si esprima prima delle elezioni europee, tenendo fede alle promesse elettorali e, di fatto, bocciando il trattato. Una prospettiva che fermerebbe il processo di approvazione e rimetterebbe in discussione non solo l’accordo col Canada, ma tutta l’agenda commerciale europea, riportando al centro dell’agenda politica una sua necessaria riforma,più focalizzata alla tutela dei diritti e allo sviluppo di un commercio più equo.

di Alberto Zoratti, referente “economia sociale” per Cospe