Le competenze: un nodo non risolto in Italia

Il concetto di competenza è alla base delle politiche per un’occupabilità sostenibile e per una cittadinanza attiva e responsabile

Il rapporto sul tema delle competenze nella formazione pubblicato da “Il Mulino” (1) è frutto della collaborazione tra la fondazione Agnelli e l’Associazione per Scuola democratica, learning for democracy, impegnata a promuovere, documentare e produrre dibattito scientifico/culturale sui temi della istruzione, della formazione, nella scuola, nel lavoro, e nei processi di lifelong learning. Il titolo del testo chiarisce bene il senso della scelta metodologica operata dagli autori: fare il punto su una questione cruciale, tra dibattito teorico, interno alle scienze pedagogiche e della formazione, policies, che ne assumono le implicazioni per tradurle in direttive per le istituzioni formative, e impatto sulle attività e sulle prassi del lavoro concreto delle scuole.

Il rapporto illustra e riflette la situazione italiana, ma il ‘tasto dolente’, evocato dall’intreccio tra teorie politiche e prassi in ambito educativo, è presente e diffuso a livello europeo in forme abbastanza simili.

Fonti e riferimenti

Il primo capitolo (A. Viteritti), a partire dall’incerta codificazione semantica del termine ‘competenza’ (basti pensare ai contesti in cui gioca l’oscillazione competenza/competenze), accompagna il lettore in una documentata ricostruzione dei luoghi, dei modi e dei significati che, a partire dagli anni Settanta, occupano mondi, linguaggi, obiettivi e aspirazioni propri dell’educazione. Si identificano lavoro e formazione, come ambiti sociali in cui il costrutto prende forma, e i tre raggruppamenti delle discipline scientifiche interessate (scienze del lavoro, dell’organizzazione e del management; scienze dell’educazione e dell’apprendimento; scienze linguistiche).

Nel capitolo si intrecciano problematicità e possibili soluzioni, riferimenti teorici e di sviluppo in un mondo globalizzato/globalizzante, e si disegna nella bibliografia di riferimento lo stato dell’arte delle molte questioni aperte. Si parte dalla declinazione del tema competenze nel mondo del lavoro, e si pone attenzione alle modalità di passaggio dal concetto di welfare state (nella accezione delle politiche sociali e del lavoro) allo sviluppo di politiche attive, tese all’empowerment del lavoratore; su questo terreno si colloca il tema della formazione di competenze, come spazio di costruzione di esperienze e di riflessioni sul loro significato e sulle loro potenzialità, si illustrano i diversi processi di formazione verso la managerialità e sugli effetti di questi su assetti socio-culturali e più propriamente politici. Entro queste cornici di riferimento si chiarisce la necessità di operare standardizzazioni e di produrre definizioni normative, che consentano trasparenza e leggibilità di processi nella costruzione di programmi, valutazioni condivise, trasferibilità e spendibilità di patrimoni professionali.

La declinazione delle competenze in campo educativo è preceduta da un breve excursus sulle diverse fonti disciplinari di riferimento che tornano a premiare usi plurali del termine competenze, reperendoli nella psicologia, nell’economia, nella sociologia e valorizzano la sistematicità di elenchi e di tassonomie. Gli argomenti tematizzati toccano la gestione delle risorse umane, la configurazione di queste in quanto risorse di tipo cognitivo ed etico-morale, la crisi dei saperi disciplinari e dei ruoli professionali, e le potenzialità insite nel superamento di interpretazioni settoriali in direzione della definizione di ambiti formativi e istruttivi trasversali e flessibili.

Le polarità del costrutto

Luciano Benadusi affronta il problema secondo due prospettive, sviluppate nel secondo capitolo, Definizione e polarità in tema di competenze, e nel quarto, Le competenze nei sistemi educativi e formativi. La potenzialità, ma anche la debolezza teorica del costrutto competenze nelle scienze umane e sociali risiede nella sua polisemia. Se da un lato è possibile collocarlo entro dimensioni molteplici, dall’altro il rischio di produrre usi impropri è sempre presente.

Questo punto di vista è esemplificato in sei paragrafi che raccolgono, sotto la categoria di ‘tensione vs polarità’, gli estremi che delimitano contrapposizioni ma ne ampliano i significati:

– competenza potenziale vs competenza prestazione (dal processo al risultato);

– approccio atomistico vs approccio olistico (da una concezione additiva alla mobilizzazione di risorse;

– competenze specifiche vs competenze trasversali (dal carattere situato della conoscenza/competenza alla trasferibilità di questa);

– competenza individuale vs competenza sociale (il richiamo a Le Boterf – competenza collettiva = competenze individuali + cooperazione);

– competenze cognitive vs competenze non cognitive (se hard e soft sembrano distinguibili in modo netto, come definire l’empatia se non come una fusione di emotività e cognizione?);

– singolare/incomparabile vs standardizzato/ comparabile (come è possibile comparare una performance in vista di una classificazione, se proprio la performance è accessibile solo attraverso l’interpretazione del singolo caso?).

Le competenze in educazione

Il secondo contributo, di L. Benadusi, risponde, con ampia argomentazione, alla questione relativa a una pretesa estraneità del concetto di competenza al settore delle discipline educative, come se queste si stessero arrendendo di fronte all’assalto di logiche aziendali/economicistiche, pronte a travolgerne finalità e valori. Ma è possibile fermarsi alla querelle tra trasmettitori di conoscenze e valori e propugnatori di modelli produttivistici, declinati entro teorie neoliberiste? Qui il richiamo a Perrenoud (competenze lette entro le pratiche sociali che riguardano lavoro, regole della vita quotidiana, reti di relazione, trama delle pratiche di cittadinanza attiva) guida un excursus sulle logiche sottese ai sistemi di educazione e formazione.

Già nel 1916 John Dewey (Democracy and Education) muove dalle pratiche laboratoriali, dalle pratiche del lavoro verso le pratiche della cittadinanza democratica. Dewey è il precursore dei progressivi ‘spostamenti’ dell’elaborazione pedagogica che dagli anni ’60-’70, negli Stati Uniti, ma non solo, muoveranno dalla teorizzazione della definizione di obiettivi formativi verso lo sviluppo della pedagogia delle competenze (opportuno il caveat in relazione ai molti usi impropri del termine di competenza, laddove viene attribuito a uno spezzone di conoscenza ben controllata).

Oltre il dilemma conoscenze-competenze

La contrapposizione tra conoscenza attiva e conoscenza inerte, facendo tesoro degli apporti del costruttivismo e del socio-costruttivismo, consolida fino agli anni più recenti il passaggio dal ‘primato’ del knowledge a quello del knowing e allo sviluppo delle pedagogie learner centered. Il lettore è qui accompagnato a seguire un excursus che si misura con le critiche alla scuola tradizionale e con la comparsa del tema delle competenze in tutti gli snodi, in cui si sviluppano i tentativi di produrre innovazione efficace per dare ‘senso’ al lavoro scolastico, prima di tutto nei riguardi degli studenti.

Le capabilities (il riferimento a Amartyan Sen è esplicito) cosa sarebbero se non capacità di scegliere e di progettare la vita cui il soggetto dà valore e le relative capacità di agire (agency)? Le urgenze che le istituzione formative rivolgono, spesso in forme provocatorie e o di sollecitazione, alle elaborazioni teoriche, trovano spunti interessanti nella riflessione su competenze, modelli curriculari, traduzione didattica e problemi legati alle metodologie di valutazione (queste producono un allontanamento della competenza dall’agire del soggetto, che la padroneggia, all’oggetto che deve essere misurato e comparato e quindi definito).

Le competenze nel mondo del lavoro

Il capitolo su “Le competenze e il mondo del lavoro” (S. Meghnagi e F. Mora) ricolloca, dopo gli entusiasmi suscitati dal costrutto negli anni Ottanta e Novanta presso consulenti, dirigenti di aziende e responsabili di risorse umane, in una posizione più defilata, ma ne evidenzia bene la valenza nell’aver focalizzato alcune dimensioni di prestazione lavorativa, quali, ad esempio, l’expertise, che, pur avendo fondamentali connessioni con la acquisizione e la formazione dei saperi, non è esplorabile e concettualizzabile nei periodi e nei luoghi specificamente dedicati allo studio e alla formazione.

Una serie di interessanti interviste a esperti, stakeholder e responsabili aiuta a seguire questo percorso che registra il passaggio dalla valorizzazione della singola figura professionalmente esperta, all’attenzione ai comportamenti, di fronte agli enormi cambiamenti organizzativi in corso; queste trasformazioni infatti sollecitano la ricomposizione di technical skill e soft skill, la necessità di legare le capacità tecniche alla persona che agisce, per evitare il collasso delle nuove dimensioni organizzative delle aziende.

Capacità tecnica e capacità di visione

L’analisi delle trasformazioni dell’impresa nell’era digitale, il legame tra cultura dei big data e capacità di interpretarli e di agire tra trasformazione e competizione, riporta ai temi dell’apprendimento continuo in un ambiente lavorativo, inteso nel senso più esteso; non basta infatti il possesso di una capacità tecnica, serve piuttosto una ‘visione’ che prefiguri il risultato al di là dei contesti immediatamente presenti. Questa visione dovrebbe diventare patrimonio dei lavoratori e delle parti sociali.

Dimensione lavorativa e dimensione educativa non possono essere trattate separatamente, se non si vuole assecondare la pericolosa deriva del make or buy, per cui il make si opera entro l’azienda, ma, nel ridurre le spese per l’aggiornamento necessario alla crescita interna all’impresa, si fa ricorso al buy, alla esternalizzazione, che, alla lunga, produce un pericoloso impoverimento per il mondo del lavoro.

Gli apprendimenti nelle rilevazioni internazionali

Utile e documentato il testo dedicato alle ricerche comparative “Le indagini internazionali come standardizzazione delle competenze” (O. Giancola e D. Lovecchio), che segue il passaggio dagli studi comparativi degli esiti dei diversi curricoli scolastici (prime indagini Iea) alla ricostruzione e definizione delle competenze necessarie nel mondo attuale. L’accuratezza nella ricostruzione dei framework di riferimento, soprattutto lo sviluppo di questi nelle indagini Ocse, da Pisa a Piaac, mostra la consapevolezza dei rischi insiti nella standardizzazione di strumenti valutativi, che potrebbe indurre omologazione in un’educazione e formazione a senso unico.

Il richiamo all’indagine DeSeCo – Definition and Selection of Competencies fotografa un punto di partenza teorico solido, mentre al rischio dell’imporsi di una pedagogia ‘eterodiretta’, rispondono le parti del capitolo, che evidenziano come la ciclicità e la continuità del processo avviato dalle indagini Ocse con sentano il progressivo ampliamento, se non la rimessa in discussione, di definizioni, finalità obiettivi e strumenti.

Politiche scolastiche e adempimenti formali

Il capitolo finale, “La lunga marcia delle competenze nella politica scolastica italiana”, presenta questo tema attraverso i risultati di un questionario rivolto a esperti, sulle decisioni e i provvedimenti assunti dalla politica scolastica e le esperienze, valutazioni e reazioni della scuola, che si vede destinataria ed esecutrice di queste decisioni, ma sicuramente non protagonista di un processo di cambiamento.

La sottolineatura vuole evidenziare due drammatici problemi del sistema educativo e formativo italiano: la debolezza dell’autonomia scolastica, che, seppur normata, non trova un’adeguata legislazione di sostegno, e l’assenza di una chiara ridefinizione organizzativa della scuola e quindi di una ricollocazione appropriata dei ruoli di gestione e di professionalità in tutto il settore.

Queste considerazioni non vogliono essere una critica agli estensori di questo capitolo che, anzi, riescono ad accostare ai comportamenti e alle reazioni degli addetti i lavori, interpellati attraverso interviste, lo sviluppo di provvedimenti amministrativi, di linee guida, di piani e progetti ministeriali, di indicazioni per la valutazione di aspetti non solo curricolari e di innovazioni di prassi; permettono così di cogliere le ragioni di incomprensioni e resistenze degli operatori e quindi della sostanziale immodificabile immobilità del sistema educativo italiano.

La mappa “per orientarsi” descrive bene la caratteristica di fondo della politica scolastica italiana: il tema delle competenze non è stato presentato come necessaria risposta ai bisogni nuovi che la scuola italiana deve affrontare. Di fronte alla difficoltà di interpretare nuove domande di istruzione, la scuola non riesce a percorrere la via dell’innovazione e quindi sceglie quella della ‘aggiunzione’ di adempimenti.

Un costrutto per affrontare il futuro

Le conclusioni (L. Benadusi e S. Molina) riprendono e rilanciano il tema delle competenze al di là dell’ambito propriamente lavorativo e fanno emergere bene la contraddizione del sistema: l’affermazione, talora retorica, delle competenze nella normativa scolastica e nelle produzioni ministeriali, contrapposta alla vita reale della scuola (2); di qui la stasi dei processi di traslazione dalle politiche alle pratiche. Due domande concludono il testo: “di cosa parliamo quando parliamo di competenze?” e “le competenze sono una moda passeggera, o resteranno di attualità anche nei prossimi decenni?”. La prima positiva risposta è contenuta nell’ampia disamina teorica contenuta nel volumetto; la seconda, con buona pace di quanti si preoccupano di un possibile declassamento dei sistemi formativi ed educativi tradizionali, evoca prospettive di lungo periodo, in cui il tema delle competenze non potrà non essere presente nelle politiche e nelle prassi volte a garantire occupabilità sostenibile e solide basi per una cittadinanza attiva e responsabile. Una conclusione alla fine ottimistica, forse un po’ troppo fiduciosa nella capacità del sistema di acquisire una ‘visione’ di futuro per il lavoro e per contesti di vita democratica, obiettivi che richiamano a precise responsabilità l’università e la scuola.

Note

  1. L. Benadusi e S. Molina (a cura di), Le competenze. Una mappa per orientarsi, Il Mulino, Bologna, 2018.
  2. I tedeschi di “Cicero” parlano non a caso di Klutf, siamo quindi in buona compagnia!

Questo articolo è stato pubblicato anche nell’ultimo numero del bimestrale “Rivista dell’istruzione”