I risultati del report Ocse Education at a Glance 2019 nel contesto italiano

Non c’è sviluppo sostenibile senza un’educazione di qualità, anche per gli adulti

Al contempo l’espansione dell’istruzione terziaria sarà sostenibile se l’offerta di laureati corrisponderà alle richieste del mercato del lavoro: l’Italia non è messa bene su nessuno dei due fronti

Gli indicatori sviluppati per la descrizione e il confronto tra i diversi sistemi formativi esaminati nel rapporto Ocse Education at a Glance 2019 sono collocati entro la prospettiva dell’Agenda Onu per lo sviluppo sostenibile adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni unite il 25 settembre 2015. In particolare guardando al quarto dei 17 obiettivi elencati, “Quality education”, che recita: Fornire un’educazione di qualità, equa e inclusiva, e promuovere opportunità di apprendimento per tutti, e per tutta la vita.

L’esigenza di abilità e competenze di livello sempre più elevato è ormai al centro dello sviluppo economico e sociale del mondo globale. Questa esigenza viene così tematizzata: il tasso di occupazione di chi ha un livello terziario di istruzione è di 9 punti superiore rispetto a quello di chi ha solo il diploma di secondaria superiore; mediamente il salario è spesso più del doppio (57% in più);  la popolazione più “colta” sembra godere di miglior salute, di essere più capace di aver cura dell’ambiente e di partecipare alla vita sociale e pubblica e i paesi in cui vive appaiono più  impegnati a risponderealle trasformazioni economico –ambientali, ai progressi delle  tecnologie, ai cambiamenti climatici ed alle migrazioni.

Questa è la prospettiva, un po’ troppo ottimistica forse, che è sottesa all’analisi dei dati raccolti ed esposti. Aspetto fondamentale è l’enfasi con cui si riafferma che il capitale umano è diventato la risorsa di maggior valore ai nostri giorni e che, quindi, l’educazione terziaria gioca un ruolo centrale per tutti i paesi che si trovano ad affrontare imprevedibili trasformazioni.

Tra le grandi “incertezze” rispetto al futuro si colloca il ruolo dell’intelligenza artificiale, che dovrebbe accrescere produttività in moltissimi settori, cambiare il lavoro stesso e il modo di formazione “al e per il” lavoro. Se infatti l’accesso all’informazione rende più facile l’apprendimento, nello stesso tempo accelera il tempo e il modo del cambiamento ed è proprio la globalizzazione che, mentre produce molte opportunità, provoca una sorta di drammatica “competizione” tra l’acquisizione e l’utilizzo di abilità e competenze necessarie, il cui prezzo “umano” è spesso sottovalutato.

Occhi puntati quindi su quanto i paesi sono in grado di mettere in campo per promuovere e rendere efficaci, per numeri sempre più ampi di popolazione, percorsi di istruzione post diploma. È bene ricordare che già nel 1996 la conferenza dei ministri del Comitato dell’educazione dell’Ocse, sviluppando la prospettiva di apprendimento per tutta la vita per tutti e tutte Lifelong learning for all, indicava come condizione necessaria per tutti i paesi partecipanti la necessità di garantire percorsi di livello terziario, e legava a questa l’esigenza di interventi specifici rivolti alla popolazione adulta.

Possibili risposte e pratiche attuate/ attuabili:

  1. Rendere più agevole l’accesso all’ educazione e all’apprendimento (supporto finanziario, alleggerimento del peso economico relativo alla prosecuzione degli studi, prospettive di ritorni economici e/o varie opzioni di rimborso).
  2. Graduale sostituzione della progressione lineare dell’educazione dalla primaria alla terziaria in una visione olistica del lifelong learning.
  3. Percorsi più flessibili che intreccino formazione e lavoro attraverso accordi e partnership tra università, centri di ricerca e formazione e mondo del lavoro, perché la richiesta di competenze sempre più pressante evolve più rapidamente di quanto i sistemi educativi possano anticipare.

Questa è la scommessa su cui Education at a glance 2019 si misura; se è vero infatti che la percentuale di giovani che conseguono livelli di istruzione terziaria è in aumento, la quota degli adulti che possiedono questi titoli è molto più limitata. La distribuzione della popolazione 25-64 anni per titolo di studio (media Ocse – media EU 23 – Italia ) offre questo quadro (tab.1):

Titolo di studio

 

OCSE EU23 ITALIA
Sotto il diploma

 

21%

 

18%

 

39%

 

Diploma

 

38%

 

41%

 

42%

 

Livello terziario

 

44%

 

40%

 

18%

 

Nel decennio 2008-2018 la popolazione 25-34 anni ha “studiato di più” in tutti i paesi (si prende come riferimento l’età di conclusione della formazione iniziale e del primo ingresso nel mondo del lavoro), e l’impegno delle donne nello studio appare dovunque evidente. La (tab. 2) riporta il confronto riguardante la popolazione 25-34 anni per titolo di studio e genere:

Titolo di studio

dal 2008 al 2018

OCSE EU23 ITALIA
Sotto il diploma

 

 

Da 19% a 15%

M21-17      F18-13

 

Da 18 % a 14%

M 20-15  F 16-12

 

Da 31% a 24%

M35 -27   F 27-21

 

Diploma

 

 

Da 46% a 41%

M49-46      F43-36

 

Da 49%  a 44%

M52-48    F  46- 38

 

Da 49% a 48%

M49-51   F 49-45

 

Livello terziario

 

Da 35 % a 44%

M31-38     F40- 51

 

Da 33%a 43%

M28-36     F 38-50

 

Da 20% a 28%

M15- 22%  F24-34

 

 

Si vede bene come il mondo globale, negli ultimi dieci anni, sia stato attraversato da importanti processi di istruzione inclusiva, processi presenti anche in Italia, Il nostro Paese tuttavia evidenzia ancora molti problemi: un numero di laureati limitato, un tasso di abbandoni scolastici in crescita soprattutto negli ultimi due anni (fino al 14,5%), competenze poco solide (vedi i risultati delle indagini Ocse-Piaac sulla popolazione 16-65 anni e  Pisa sui quindicenni) e consistenti differenze territoriali a svantaggio del Mezzogiorno.

Il 27,9% dei giovani 30-34enni possiede un titolo terziario, raggiungendo l’obiettivo previsto da Europa 2020 (26-27%), e le  giovani donne completano il livello di studi terziario più degli uomini (tab.2); tuttavia sebbene anche Italia un titolo di istruzione terziaria nel gruppo di discipline Stem (Science, technology, engineering and mathematics, ndr) garantisca tassi di occupazione comparabili con la media Ocse (più dell’80% di occupati), la quota di adulti con questi titoli è bassa (15% sull’insieme della popolazione adulta), lievemente più alta per i neolaureati (17%), mentre le discipline più frequentate sono sempre quelle “artistico-umanistiche, le scienze sociali, l’informazione ecc. (29%)”; settori in cui le occasioni di impiego sono decisamente più basse. Tali discipline restano apprezzate dalle generazioni più giovani (il 31% dei neo-laureati ha scelto le discipline artistiche e umanistiche, le scienze sociali e il settore dell’informazione),  scelta confermata anche dagli studenti stranieri (37%).

Nel rapporto emergono altre peculiarità della situazione italiana:

Il tasso di occupazione dei giovani adulti 25-34enni con un titolo di studio terziario, che nel 2018 sono ormai il 28% (addirittura il 34% di giovani donne) è pari al 67%, contro l’81% della popolazione più anziana. Fenomeno tipico italiano, condiviso solo in parte con Austria, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca e Svezia, è la propensione a proseguire, dopo il conseguimento del titolo terziario di primo livello, nel percorso specialistico (nel 2017 il 22% dei giovani, media Ocse 18%). Questi comportamenti dipendono prevalentemente dalla difficoltà che i neolaureati incontrano nella transizione tra formazione e lavoro e dalla scarsità di interventi specifici in molti settori produttivi.

In tutti i paesi la formazione post diploma, non accademica, garantisce a quote di giovani superiori al 10% titoli di specializzazione terziaria, facilitandone così l’ingresso nel mercato del lavoro. Gli Istituti tecnici superiori (Its) sono molto pochi in Italia, tanto che solo l’1,7% dei diplomati iscritti a percorsi post diploma scelgono gli Its.

I titolari di un dottorato (0,5% dei laureati contro media Ocse del 1,2%) hanno opportunità di occupazione maggiori rispetto ai possessori di un titolo terziario di secondo livello. Le donne più  degli uomini  conseguono  un dottorato in alcuni settori disciplinari (53% in scienze naturali, matematica e statistica, il 58% nelle discipline artistiche e umanistiche e il 64% nei settori della sanità e della previdenza sociale), mentre gli uomini conseguono dottorati in ingegneria, industria manifatturiera ed edilizia al 64%; tuttavia  la percentuale di donne italiane in questo campo (36%) è comunque superiore alla media Ocse (32%).

Il ritorno economico dell’istruzione terziaria è pari al  39% in più rispetto a quello dell’ istruzione secondaria superiore (nei paesi Ocse la differenza è il 57% in più). L’incentivo a  completare un’istruzione terziaria in Italia non è particolarmente attraente per i giovani adulti: il vantaggio in termini di reddito rappresentato da un’istruzione terziaria scende al 19% per i 25-34enni (media Ocse 38%) e le donne guadagnano in media il 30% in meno rispetto agli uomini (media Ocse 25%).

I Neet, ovvero i giovani che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in un percorso di formazione, in Italia sono il 26% dei giovani 18-24enni (media Ocse  14%). Nella fascia di età 15-19 anni sono l’11%, nella fascia 20-24anni le donne sono il 29%, gli uomini il 28%. La quota dei Neet varia inoltre secondo il livello d’istruzione. I Neet di 25-29 anni con un livello d’istruzione terziaria sono il 23% (peggio di noi solo Grecia e la Turchia) mentre la media Ocse è 11%; i giovani con un livello d’istruzione secondario superiore o post-secondario non terziario sono il 28%, il 51% non ha un diploma. Nel gruppo dei Neet sono calcolati sia gli inattivi (non cercano lavoro), sia i disoccupati). L’Italia e la Colombia sono gli unici due Paesi dell’Ocse con tassi superiori al 10% per le due categorie

Il corpo docente italiano  è il più anziano nei paesi Ocse (mediamente più di 50 anni di età). Tra il 2015 e il 2017 i vari provvedimenti volti a ridurre le quote di precariato hanno ridotto dal 64% al 59% la percentuale degli ultra 50enni, ma si prevede comunque che nei prossimi 10 anni metà del corpo docente dovrà essere sostituto; nel 2017 solo lo 0,5% di docenti della primaria e secondaria si trovava nella fascia di età 25-34 anni. Sulla base dei dati disponibili dall’indagine Talis si rileva la massiccia presenza femminile, più del 78%, cui corrisponde – per esempio nella scuola media – solo una percentuale del 69% di  dirigenti donne; l’accesso alla professione non viene analizzato in termini compartivi, vista la peculiarità del fenomeno delle “graduatorie di accesso”, di riconoscimenti successivi di titoli di studio “obsoleti” ecc, mentre il problema della retribuzione appare, agli insegnanti italiani, una priorità assoluta (68% dei docenti italiani, contro il 66% della media Talis). I salari di inizio carriera sono il 91% di quelli medi Ocse nella scuola secondaria superiore di indirizzo generale e il 97% di quelli della scuola dell’infanzia, mentre la progressione salariale tra inizio e fine carriera evidenzia un rapporto di 1,5 contro  l’1,7 della media Ocse.

L’istruzione pre-primaria in Italia (3-5 anni) per il 72% dei bambini è erogata dal pubblico, ed è frequentata dal 94% dei bambini, valore superiore della media Ocse (87%); il numero di alunni è di 12 per docente (15 media Ocse). In Italia, come in altri paesi, esistono anche programmi per bambini con meno di tre anni, ma questi nonsono calcolati tra gli indicatori Ocse. Per la scuola fino a 14 anni invece l’Italia ha una scolarizzazione che copre più del 90% dei giovani in età.

Qualche considerazioni finale

Se è vero che le modalità di ammissione ai livelli di istruzione post secondaria sono decisivi per l’accesso dei diplomati alla istruzione terziaria, diversi criteri, tradizioni culturali e stratificazioni sociali rendono difficile una comparazione; alcuni paesi hanno sistemi non selettivi di ammissione, altri hanno criteri relativi alle competenze acquisite nel percorso di studi precedente, tanto che sembrerebbe possibile concludere che le modalità di completamento dei percorsi possono risultare simili al di là dei criteri di accesso adottati.  Guardando agli esiti finali, ma i dati non sono disponibili per tutti i paesi (Italia compresa), si può dire che in  media il 39% dei paesi Ocse registra laureati entro la durata teorica dei percorsi di studio, mentre un 28% lo farà negli anni successivi.

Tra il 2005 e il 2016 la spesa per questo livello di istruzione è aumentata mediamente nei paesi Ocse più del doppio delle iscrizioni degli studenti; questo ha attivato talora l’incremento di fonti private, ma la presenza di modelli molto diversi di rapporto  pubblico/privato, nei percorsi post diploma, evidentemente complica una lettura comparativa e  ne rende difficile l’interpretazione. In Italia l’88% degli studenti frequenta università pubbliche e solo in alcune si applica il numero chiuso; anche dove ci sono limitazioni alle ammissione, una quota di posti è riservata a studenti stranieri ( l’Italia occupa l’11esimo posto tra i 16 paesi che vengono registrati dall’Ocse, precedendo Olanda, Arabia Saudita, Argentina , Austria e Corea, mentre ai primi posti si collocano nell’ordine Usa, Uk, Australia, Russia, Germania e Francia).

Interessante una riflessione che emerge in vari punti del Rapporto 2019: l’espansione dell’istruzione terziaria sarà sostenibile se l’offerta di laureati corrisponderà alle richieste del mercato del lavoro e, comunque, questo livello di istruzione dovrà essere promosso sempre, ma mai a scapito di tutte le altre qualifiche tecnico-professionali il cui apporto è oggi fondamentale. Indicazione che suona come caveat  significativo in relazione alla situazione italiana.

Per completare il percorso di riflessione che muove in direzione dell’obiettivo 4 del Sustainable development goal on education il Rapporto insiste molto su due aspetti: l’accesso precoce a percorsi formativi di qualità e il coinvolgimento in attività e percorsi di lifelong learning della popolazione adulta. I servizi di educazione e cura per i bambini da 0 a 3 anni, anche se in crescita, sono molto limitati, quando ormai è chiaramente dimostrato che è proprio la primissima infanzia il momento in cui interventi di tipo compensativo possono essere efficaci ed avere effetti duraturi; non si tratta solo di misure a tutela del tempo di vita e di lavoro delle madri, ma di arricchire patrimoni linguistici e di esperienze sollecitanti, coinvolgendo tutti bambini, soprattutto quelli  che vengono da situazioni di marginalità e deprivazione socio-culturali.

Education at a Glance conferma infine  dati Piaac sulla partecipazione degli adulti al lifelong learning. Per la popolazione 16-65 anni si tratta del 24% in Italia (52%  media Ocse); gli occupati (81%) intendono migliorare la  posizione professionale, in genere frequentando corsi fuori dall’orario di lavoro se si tratta di istruzione formale, o all’interno dell’orario di lavoro se si tratta di formazione non formale; i disoccupati sono  solo il 7%  dei partecipanti e il 12% non appartiene alle forze di lavoro. Al solito si evidenzia bene la  stretta correlazione tra titolo di studio posseduto e disposizione ad apprendere: il 42% di chi partecipa ad attività formative ha un titolo di studio pari al diploma, il 31% ha un titolo di studio pari alla laurea o superiore, mentre il 26% ha un titolo di studio inferiore al diploma. Due osservazioni: 1) la partecipazione all’Eda in termini di qualità e quantità dipende dalla qualità e quantità della formazione iniziale, e dalla presenza/ assenza  di attività mirate a recuperare chi “si è perso per strada” dal percorso scolastico e/o  dal livello terziario; 2) la debolezza del sistema produttivo e della qualità/quantità di servizi, soprattutto in alcune aree del nostro paese, si accompagna alla tipologia delle richieste del lavoro in termine di abilità di literacy e numeracy (le abilità testate da Piaac),  che in Italia appaiono molto limitate.

Al proposito dopo la pubblicazione dei dati Piaac una commissione interministeriale, presieduta dal prof. De Mauro (14/02/2014), fu chiamata a fare proposte. Progettare  esperienze, guidandole e  valutandone  i risultati. Questa la sintesi del documento: Pilotare e valutare sono i due concetti chiave “in presenza di scarse risorse e nella consapevolezza di dover continuamente operare valutazioni sulle situazioni specifiche“; […] si dovrà prevedere l’istituzione di un “osservatorio permanente, che renda sistemica la messa in relazione della formazione e del lavoro, occupandosi del monitoraggio e dell’analisi della formazione delle competenze e del loro utilizzo nel mercato del lavoro e nella vita sociale, valutando l’impatto delle politiche e fornendo indicazioni per potenziarne gli effetti”. La commissione concludeva  auspicando una stretta collaborazione tra i due ministeri, Lavoro e Istruzione, e anche il coinvolgimento  di amministrazioni regionali, enti locali ecc. perché “lo sviluppo delle competenze degli adulti è un obiettivo strategico dell’intero Paese“. Era il 2014, ma non sembra che si sia agito o che si intenda  agire in queste direzioni.