Novel food, gli insetti arrivano sulle tavole d’Europa

Cambia la normativa Ue di riferimento, aprendo le porte all’entomofagia: come reagiranno i consumatori italiani?

Durante le feste di fine anno l’orgia del consumo si raffina quando la corsa all’acquisto del pacco regalo sublima nel più nobile desiderio di offrire ai propri affetti più cari una tavola imbandita – per chi se la può permettere – con ogni ben di dio. Dagli agnolotti al capitone, dai fegatini al panettone, la voglia dei sapori della tradizione può pescare in Italia da un menù ricchissimo. Ma se è vero, come diceva Mahler, che “tradizione non è culto delle ceneri ma custodia del fuoco”, dal 2018 sui fornelli della nonna potrebbe scoppiare la rivoluzione. E i piatti riempirsi di insetti, cucinati come leccornie.

Dal 1 gennaio si aggiorna infatti il regolamento Ue sul cosiddetto novel food, ovvero quei nuovi alimenti o ingredienti per i quali non è stato dimostrato un consumo significativo antecedente al 1997, anno di prima stesura per la normativa di riferimento: la novità più succosa è proprio quella che apre le porte all’entomofagia, ovvero il consumo di insetti da parte dell’uomo.

Novità che, sottinteso, è tale solo alle nostre latitudini. Secondo l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (la Fao) nel mondo si consumano oggi «più di 1.900 specie» di insetti: coleotteri soprattutto (nel 31% dei casi), ma anche lepidotteri (come i bruchi, 18%), api, vespe e formiche (imenotteri, 14%), seguiti a ruota da cavallette, locuste e grilli (ortotteri, 13%) e tanto ancora. Non si tratta solo di scelte estreme, dovute alla carenza di altre proteine nobili. Gli insetti nel mondo – e soprattutto in alcune parti dell’Asia, Africa e America Latina – piacciono tanto da essere considerati cibi per palati raffinati.

Una scelta gastronomica che si trova oggi ad assecondare le necessità di un’umanità sempre più vorace. «Nel 2030 dovranno essere nutrite più di 9 miliardi di persone, assieme ai miliardi di animali allevati annualmente per l’alimentazione o per fini ricreativi come gli animali da compagnia», ricorda la Fao, e consumare insetti unisce alcuni vantaggi per la salute umana con quelli per la salute del pianeta.

Per ottenere 1 kg di carne dagli insetti, ad esempio, occorrono infatti solo 2 kg di nutrimento in fase d’allevamento, mentre per un bovino ne occorrono 8; allevare insetti consuma inoltre molta meno acqua, e comporta un’emissione di gas serra ridotta. «I suini – snocciolano al proposito dalla Fao – producono 10-100 volte più gas serra per kg di peso di quello prodotto dai vermi della farina». Al contempo, gli insetti forniscono proteine «di alta qualità e nutrienti paragonabili a quelli forniti dalla carne e dal pesce».

Ma non è affatto detto che i commensali gradiscano: la barriera più resistente da abbattere prima di pensare che gli insetti entrino a far parte in modo significativo della nostra dieta è tutta culturale. In occasione dell’approvazione da parte del Parlamento Ue dell’accordo sul novel food, un’analisi Coldiretti è andata a sondare l’opinione pubblica in una delle case d’onore della buona cucina italiana – la Toscana –, raccogliendo scetticismo: solo l’8% dei toscani (circa 300mila cittadini, in ogni caso) assaggerebbero insetti. Più recentemente, Coldiretti è tornata alla carica estendendo l’indagine al campo nazionale, confermando che in pochissimi si dicono favorevoli alla possibilità di mangiare insetti interi – un po’ meglio è andata con la farina di grilli o larve – e che l’ingresso degli insetti tra i novel food «vede contrari il 54% degli italiani che li considerano estranei alla cultura alimentare nazionale, mentre sono indifferenti il 24%, favorevoli il 16% e non risponde il 6%».

La statica fotografia scattata dai sondaggi potrebbe però cambiare presto. Il sushi o i kebab, antesignani di tutta una serie di piatti etnici che anche in Italia riscuoto ormai un crescente successo, fino a non molti anni fa erano accolti con sdegno dagli alfieri della gastronomia italiana dura e pura. Oggi sono invece prodotti di massa. «Laddove non esiste una cultura entomofagica, questa deve essere creata – riconoscono dalla Fao – Dalla creazione di nuove ricette e menu nei ristoranti all’ideazione di nuovi prodotti, l’industria alimentare ha un ruolo importante da giocare nel proporre gli insetti come cibo».

Magari gioverebbe ricordare che c’è stato un tempo – per non parlare dell’attualissimo Casu Frazigu, il formaggio sardo con i vermi, per fare un esempio – in cui anche l’Occidente mangiava insetti. Con gusto. Sulla Bibbia se ne parla nel Levitico (XI, 20-25), mentre Aristotele cita il consumo di cicale nel suo Historia Animalium; nell’altra celebre Historia (Naturalis) di Plinio il Vecchio compare invece il Cossus, piatto tipico romano a base di larve e – venendo a tempi più recenti – Leonardo da Vinci ha inserito “grilli, api e alcuni bruchi” tra gli insetti da potersi trovare nel piatto.

E se oggi non è più così, ciò dipende appunto dal “solo” fattore culturale. Determinante ma flessibile. Agli ebrei e musulmani praticanti non è permesso mangiare maiale, le vacche sono tabù in India e la carne di cavallo o coniglio in alcuni Paesi del blocco occidentale – come la vicinissima Gran Bretagna – è assai malvista, mentre in Italia è consumata volentieri. E l’ondata montante della globalizzazione, prima ancora delle motivazioni ambientali, potrebbe finire per rimescolare ancora una volta le carte in tavola, riportando gli insetti nel piatto.

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