Le scoperte nel nostro giardino di casa, il Sistema solare, si dimostrano ancora una volta rivoluzionarie

Nuovi mondi: il 2015 incredibile dei pianeti nani, tra antichi dei e grandi esplorazioni

Oggi dalla Nasa nuove foto di Plutone scattate da New Horizons. Il senso di un viaggio lungo 5 miliardi di chilometri

Nientedimeno, avanti di parlarne aspettai la sera del 4, in cui ebbi la soddisfazione di vedere che si era mossa colla stessa legge che tenuto aveva nei giorni precedenti”. Giuseppe Piazzi, scopritore di Cerere, 1801.

Il 2015 è l’anno in cui abbiamo visitato la Tombaugh Regio e Occator, e in cui abbiamo cominciato a interrogarci riguardo gli enigmi scientifici che propongono, la loro origine e i meccanismi che li mantengono equilibrio sulla superficie. La Tombaugh Regio e Occator sono diventati “luoghi” reali nella consapevolezza, sono stati  fotografati e mappati e hanno a poco a poco preso il loro posto nei luoghi “sperimentati” dall’umanità.

La Regione di Tombaugh e il cratere Occator sono aree geografiche e geologiche che si trovano rispettivamente su Plutone e su Cerere, due corpi solidi del Sistema Solare accomunati dal fatto di essere stati entrambi dapprima considerati pianeti a tutti gli effetti, per poi essere riclassificati come “pianeti nani” nella combattutissima conferenza della Iau (Unione astronomica internazionale) di Praga nel 2006.

Se la storia “umana” del lontano Plutone è piuttosto lineare, con la sua scoperta da parte di Clyde Tombaugh nel 1930 e la sua immediata classificazione come pianeta fino al 2006, quella di Cerere è più travagliata, quantomeno dal punto di vista della nomenclatura: scoperto a Palermo dal valtellinese Piazzi nel 1801, Cerere è dapprima classificato come pianeta e poi, in ragione della scoperta di molti altri corpi nella stessa area orbitale (i primi saranno Giunone, Pallade e Vesta tra il 1802 e il 1807), a metà del XIX secolo è riclassificato come il primo e il principale degli asteroidi, fino al momento di essere entrare tra i “pianeti nani” nel 2006.

Plutone sfugge alla riclassificazione semplicemente in ragione della sua distanza: corpo lontano e con un orbita molto eccentrica, al perielio si trova a 30 UA dal Sole, ossia si trova a 30 volte la distanza media tra la Terra e la nostra stella: occorreranno 62 anni per trovare un altro corpo celeste a quella distanza dal Sole, e 73 anni per scoprire Eris, corpo solido (e pianeta nano) di dimensioni pressoché identiche a quelle di Plutone.

Plutone è entrato nell’immaginario collettivo molto facilmente: come nono pianeta veniva studiato a scuola e il suo nome veniva recitato a memoria quando si elencavano i pianeti del Sistema solare. Dal punto di vista osservativo, però, Plutone è rimasto un flebile punto di luce anche per il telescopio Hubble fino a maggio del 2015, quando la sonda New Horizons ha restituito le prime immagini a risoluzione migliore di Hubble del lontano pianeta nano, dando a tutti l’appuntamento per il 14 luglio, data del flyby e del massimo avvicinamento. Nel frattempo, allontanatasi da Vesta e dai suoi crateri dedicati alle vergini vestali romane, la sonda Dawn si avvicinava a Cerere e rimandava immagini sorprendenti: ci si attendeva che le immagini di superficie ricordassero una piccola Luna, o un piccolo Mercurio, grigio e intensamente craterizzato: non ci si attendeva i “punti brillanti”, aree fortemente riflettenti che, nel cratere Occator, appaiono come un paio d’occhi luminosi. Si tratta di degassamento – ossia di fuoriuscita di materiale – con ogni probabilità acqua, dall’interno del pianeta nano oppure di superfici solide fortemente riflettenti, composte possibilmente da ghiaccio d’acqua o sali? La Nasa ora propende per la seconda ipotesi. Occator, divinità romana dell’erpice e aiutante di Cerere, attende di darci risposte, mentre Dawn continua la sua orbita e la sua mappatura, disseminando di nomenclatura agricola la superficie, non così grigia come ci si aspettava, dell’asteroide-pianeta nano.

Plutone attende di darci risposte forse ancor più coinvolgenti. Le immagini centellinate a partire dal 14 luglio ci mostrano un mondo complesso, con una geologia sorprendentemente giovane e un rimodellamento superficiale inatteso. Un cuore biancastro, la Regione di Tombaugh, appare formata da depositi di azoto, metano e ossido di carbonio, che mostrano ai loro margini strutture da flusso glaciale analoghe nella forma, ma non certo nella composizione, ai depositi di flusso glaciale alpini e himalayani. Tombaugh Regio è, inoltre, limitata da catene montuose sorprendentemente alte per un pianeta nano il cui diametro è più piccolo alle dimensioni in longitudine dell’Australia: i monti Hillary e Norgay, dal nome dei primi scalatori a raggiungere la cima dell’Everest, sfiorano rispettivamente i 2000 e i 4000 m di quota, ponendo l’interessante questione di quali siano i meccanismi geologici, su un corpo solido così piccolo, in grado di determinare orogenesi tanto significative.

Le scoperte planetologiche nel nostro giardino di casa, il Sistema solare, si dimostrano ancora una volta rivoluzionarie. Dopo Titano, il satellite di Saturno che, con i suoi laghi e i suoi mari di etano e metano ha rivoluzionato il nostro modo di intendere l’idrosfera superficiale, dopo Encelado con i suoi geyser d’acqua e la conferma dell’oceano subsuperficiale di Europa, il nostro Sistema solare perde sempre più l’immagine fredda e sterile in cui spiccava, unico, il gioiello vitale della Terra, ma ci regala mondi con equilibri geofisici complessi e ci prepara ancor meglio alle sorprese che quasi quotidianamente ci giungono dagli esopianeti, un bestiario vario e vertiginoso di quasi 2000 pianeti, grandi e piccoli, in cui la vera domanda non è quanto sarà simile alla Terra il prossimo pianeta scoperto, ma quanto riuscirà a essere talmente diverso e inatteso da lasciarci con enigmi nuovi e nuovi luoghi da conoscere.

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