Abolire turn over in strutture accademiche e di ricerca presupposto per rilanciare occupazione

Poca conoscenza, ma anche troppa: il paradosso tutto italiano dell’overeducation

Jobs Act, il rapporto tra capitale umano e lavoro non è buono. Lo spiega l’economista Daniela Palma

Le statistiche sull’istruzione e sulla ricerca scientifica mostrano che da anni l’Italia ha rinunciato a investire nel suo “sistema della conoscenza” collocandosi in posizioni di sempre maggiore retrovia nell’ambito dei paesi industrializzati. Ma l’aspetto paradossale di questa tendenza è che, se si guarda il fenomeno dal lato della domanda di lavoro ad alta qualificazione, i tassi di disoccupazione sono persino più elevati di quelli relativi alle qualifiche di livello medio-basso.

Ciò sta a significare che si è determinato un fenomeno di overeducation, ossia la presenza di una qualificazione dell’offerta di lavoro maggiore di quella che caratterizza la domanda da parte del sistema produttivo. Sotto questo punto di vista, l’arretramento del Paese nelle classifiche dell’alta formazione e del personale di ricerca sembrerebbe dunque coerente con le caratteristiche del suo sistema produttivo, mentre in assoluto la dotazione di risorse umane ad alta qualificazione appare persino ridondante. Gli allarmi che puntualmente vengono lanciati per denunciare il declino dell’Italia nella sfera del “capitale umano” sarebbero quindi ingiustificati, o necessiterebbero per lo meno di spiegazioni aggiuntive. In assenza di ulteriori osservazioni, sollecitare politiche di rilancio del sistema formativo e della ricerca apparirebbe infatti uno spreco piuttosto che un investimento, visti i magri risultati in termini di occupazione.

In realtà, indebolire ulteriormente il “sistema della conoscenza” del Paese sarebbe un errore ferale. E’ necessario piuttosto un suo irrobustimento, in stretto coordinamento con politiche industriali volte a orientare la specializzazione produttiva verso settori a più elevato contenuto di conoscenza, notoriamente indicati come decisivi nell’aumentare la capacità di generare reddito ed occupazione da parte di un paese. Le tendenze in corso, che ne restringono sempre più la portata, svolgono peraltro un’azione demolitrice, nel senso di privare il Paese delle fondamenta minime su cui deve poter contare. Ma l’aspetto più pernicioso del declino in atto sta nella non immediata reversibilità dei processi che sono a capo della produzione di conoscenza, una volta che ne siano alterati i meccanismi di base del loro funzionamento. Porre rimedio ai danni arrecati al sistema della conoscenza in termini di sottrazione di risorse richiede tempi molto lunghi e tali da rendere inefficaci interventi direttamente orientati all’ammodernamento del sistema produttivo.

Tra le attuali misure che danneggiano strutturalmente il “sistema della conoscenza” dell’Italia, quella del porre dei vincoli agli incrementi di organico nelle strutture accademiche e in quelle degli enti di ricerca si configura certamente tra i più deleteri. Le misure di limitazione del cosiddetto turn over (sebbene recentemente riviste e ammorbidite per gli enti di ricerca) impongono infatti una sistematica riduzione delle risorse umane (già di per sé – come segnalato dalle statistiche internazionali – scarse) presenti nelle strutture accademiche e in quelle degli enti di ricerca. Non ha senso, peraltro, far passare questo tipo di operazione come un risparmio (posto che abbia senso  operare “risparmi” negli investimenti in ricerca), dal momento che i vincoli di turn over sono posti indipendentemente dalle misura finanziaria del bilancio delle singole istituzioni, o in altri termini a prescindere dalla capacità di spesa per le proprie risorse che ciascun bilancio esprime. L’abolizione di qualunque tipo di vincolo di turnover nelle strutture accademiche e in quelle degli enti di ricerca risulta dunque essere un primo fondamentale passo da compiere.

Tra le attuali misure che danneggiano strutturalmente il sistema della conoscenza dell’Italia, quella del porre dei vincoli agli incrementi di organico nelle strutture accademiche e in quelle degli enti di ricerca, si configura certamente tra i più deleteri. Le misure di limitazione del cosiddetto turn over (sebbene recentemente ammorbidite) impongono infatti una sistematica riduzione delle risorse umane (già scarse) presenti nelle strutture accademiche e in quelle degli enti di ricerca. Non ha senso, peraltro, parlare di risparmio dal momento che i vincoli di turnover sono posti a prescindere dalla capacità di spesa per le proprie risorse che ciascun bilancio esprime. L’abolizione di qualunque tipo di vincolo di turnover nelle strutture accademiche e in quelle degli enti di ricerca risulta dunque essere un primo fondamentale passo da compiere per iniziare ad invertire il declino del suo “sistema della conoscenza” nel quale l’Italia già da troppo tempo si è immessa.